Se i provvedimenti del giudice si macchiano di «ignoranza o negligenza inescusabile», ma non creano un danno

Il magistrato può sottrarsi alla contestazione disciplinare dell’aver agito con grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile solo se viene dimostrata l’assenza di qualunque pregiudizio ingiusto o vantaggio indebito quale obiettiva conseguenza del comportamento, di neghittosità di tale condotta e di una lesione del prestigio e della credibilità dell’Ordine Giudiziario.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14550/17 depositata il 12 giugno. Il caso. Un magistrato veniva sottoposto a procedimento disciplinare per aver operato con negligenza inescusabile in alcuni procedimenti assegnati alla propria sezione, in particolare in punto di liquidazione di onorari e compensi per i consulenti tecnici. La Sezione disciplinare del CSM assolveva però l’incolpato sostenendo l’inesistenza del danno ingiusto per le parti posto che nessuna di esse aveva impugnato i provvedimenti in oggetto, né questi erano divenuti esecutivi. La pronuncia viene impugnata in Cassazione dal Ministro e dal Ministero della Giustizia. Illeciti disciplinari a carico del magistrato. L’Avvocatura dello Stato deduce, per quanto d’interesse, violazione di legge poiché la mancata proposizione di impugnazioni avverso provvedimenti giudiziari illegittimi non inciderebbe sull’illecito disciplinare a carico del magistrato. Sul punto la costante giurisprudenza tra cui Cass. SS.UU. n. 9691/13 afferma che le fattispecie di illecito disciplinare previste dall’art. 2, comma 1, lett. a e g , d.lgs. n. 109/2006 che testualmente recita Costituiscono illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni a fatto salvo quanto previsto dalle lettere b e c , i comportamenti che, violando i doveri di cui all'articolo 1, arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti [ ] g la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile non sono rette da un rapporto di specialità, ben potendo un unico comportamento integrare entrambi gli illeciti. La prima ipotesi infatti è connotata dalla conseguenza del danno ingiusto o del vantaggio indebito derivante dalla violazione di doveri primari del magistrato imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona , mentre la seconda si caratterizza per la gravità della violazione di legge e l’inescusabilità dell’ignoranza o negligenza. Da un lato si ha dunque un illecito di evento” e dall’altro un illecito di pura condotta”. Nel caso di specie, il procedimento disciplinare ha portato ad escludere la sussistenza di un danno ingiusto per le parti posto che esse non avevano impugnato i provvedimenti contestati, ma così facendo è stata presupposta la valenza soggettiva del danno ingiusto ritenendo rilevante il fatto che esse abbaino sopportato le violazioni commesse dal magistrato, mentre la lettera della legge connota oggettivamente il danno come ingiusto . Quando il magistrato è esente da responsabilità disciplinare. In conclusione, il Collegio afferma che la condotta del magistrato può sottrarsi all’ambito dell’illecito di cui all’art. 2, comma 1, lett. g , d.lgs. n. 109/2006 solo ove risulti assente qualunque pregiudizio ingiusto o vantaggio indebito quale obiettiva conseguenza del comportamento dell’incolpato, nonché la neghittosità di tale condotta che anzi deve essere sorretta dal convincimento, seppur erroneo, di aver agito per il bene delle parti offese, dovendo inoltre difettare una lesione del prestigio e della credibilità dell’Ordine Giudiziario. La Corte accoglie dunque il primo motivo di ricorso e cassa la pronuncia impugnata con rinvio alla Sezione disciplinare del CSM in diversa composizione per un nuovo esame della vicenda.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 23 maggio – 12 giugno 2017, numero 14550 Presidente Rordorf – Relatore Di Virgilio Fatti di causa Con sentenza del 17/3-12/12/2016, la Sez. disciplinare C.S.M. ha dichiarato il dott. M.L. , giudice in servizio presso il Tribunale di Pisa, assegnato alla sezione esecuzioni immobiliari e alla sezione fallimentare, responsabile dell’illecito disciplinare allo stesso ascritto al primo capoverso della contestazione e rubricato con il numero 1 , condannandolo alla sanzione della censura, e lo ha assolto dalle altre contestazioni ascritte ai capoversi dal secondo al settimo, rubricate ai numeri da 2 a 7 incluso, per essere rimasti esclusi gli addebiti. Il dott. M. era incolpato, con i capi da 1 a 6 , dell’illecito disciplinare di cui all’articolo 2, comma 1, lettera g del d.lgs. 23 febbraio 2006, numero 109, perché aveva adottato con grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile, nei procedimenti indicati, provvedimenti di liquidazione degli onorari per consulenze tecniche in misura superiore a quanto previsto dall’articolo 13 del d.m. 30 maggio 2002, in relazione agli articolo 49-50 del d.P.R. 115 del 2002 applicando per una parte del compenso le tariffe professionali in luogo delle tariffe ministeriali, in violazione degli articolo 49-50 del d.P.R. 115 del 2002 con i criteri di cui all’articolo 13, comma 1, del d.m. 30 maggio 2002, in luogo di quelli di cui al comma 2 di detta norma per la stima di immobili, nell’ambito di procedure per concordato preventivo per attività demandata alle parti secondo l’articolo 567 cod. proc. civ. liquidando per il caso indicato al consulente tecnico la somma di euro 2534,00 per la valutazione di beni mobili, applicando la tariffa di cui all’articolo 11 del d.m. del maggio 2002 in luogo di quella di cui all’articolo 3 dello stesso decreto per avere liquidato le spese in assenza della documentazione atta a provare le stesse, in violazione dell’articolo 56 del d.P.R. 115 del 2002. Col capo 7 , era incolpato di avere adottato, con negligenza ed in violazione dei legge, i provvedimenti sopra indicati, nei procedimenti di cui alle schede da numero 1 a numero 99, liquidando gli onorari e le spese in misura non conforme alla normativa e comunque in misura superiore ai massimi consentiti, così arrecando ingiusto danno alla parte del procedimento tenuta al pagamento dell’importo illecito ex articolo 2 lett. a del d.lgs. 109/2006 . La Sezione disciplinare, premessa la prova documentale dei fatti in senso oggettivo, posto l’orientamento del S.C. inteso a riconoscere il possibile concorso di norme di cui alle lett. a e g dell’articolo 2, comma 1, del d.lgs. 109/2006 nel caso della violazione del dovere di diligenza, ha specificato che il carattere distintivo dell’illecito sub lett. a è dato dall’ingiustizia del danno, che non può ritenersi in via automatica conseguente alla violazione di legge, posto che il provvedimento di liquidazione non ha immediatamente forza esecutiva, che sopravviene solo al decorso dei termini di impugnazione nelle forme previste dal d.P.R. 115/2002 ha rilevato che nella specie non risultava provato il danno ingiusto per le parti che avevano sopportato le spese delle liquidazioni contestate, che anzi nessuna delle parti aveva impugnato i provvedimenti in oggetto né, per quanto risultante dagli atti, aveva formulato alcuna doglianza in relazione al quantum, né era desumibile il danno ingiusto alla stregua degli importi liquidati, che non presentavano di per sé quella discrasia macroscopica idonea a rendere ex se rilevante il danno, trattandosi, secondo le ipotesi dell’Amministrazione in sede ispettiva, di scostamenti contenuti da quanto dovuto. Ha pertanto assolto il dott. M. dall’incolpazione sub capo 7 , e in ogni caso, quanto alle condotte di cui ai capi da 2 a 6 dell’incolpazione, ha escluso l’antigiuridicità, trattandosi di interpretazione di norme, da cui l’esimente di cui all’articolo 2, comma 2 del d.lgs. 109/2006. In particolare, ha ritenuto non censurabili, in quanto dettate da scelte interpretative, le liquidazioni contestate ai capi 2, 3 e 5 che, quanto alla incolpazione sub 4, al limite si sarebbe dovuta contestare la nomina dei consulenti e non già la liquidazione agli stessi dei compensi che la liquidazione delle spese in via forfettaria invece che a seguito della relativa documentazione non travalica i limiti interpretativi dell’articolo 56 del d.P.R. 115/2002. Ha ritenuto sussistente l’illecito contestato col capo 1 , per la reiterata e sistematica liquidazione dei compensi in eccesso rispetto ai limiti di legge. Ricorrono avverso detta sentenza il Ministro ed il Ministero della Giustizia, con ricorso affidato a due motivi. Il dott. M. si è costituito ed ha depositato memoria. Ragioni della decisione Prima di esaminare i motivi di ricorso, va dato conto della questione processuale sollevata dal dott.M. , che, posta la specifica disposizione di cui all’articolo 24 del d.lgs. 109/2006, come modificato dall’articolo 3, lett. o della legge 24 ottobre 2006, numero 269 1. L’incolpato, il Ministro della giustizia ed il Procuratore generale presso la Corte di cassazione possono proporre, contro le sentenze della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, ricorso per cassazione, nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale 2. La Corte di cassazione decide a sezioni unite civili, entro sei mesi dalla data di proposizione del ricorso. e dato conto dell’interpretazione sul punto del giudice di legittimità, che sposta l’applicazione della disciplina del processo civile alla fase successiva alla fissazione della pubblica udienza, ha posto l’alternativa tra il consentire la presentazione di memoria anche all’intimato o il limitare l’operatività del richiamo ai termini ed alle forme del processo penale alla mera proposizione dell’impugnazione, principale o incidentale, così ammettendosi la possibilità del controricorso ex articolo 370 cod. proc. civ. e delle memorie ex articolo 378 cod. proc. civ A riguardo, va dato conto che questa Corte, specificamente nelle ordinanze interlocutorie del 31 luglio 2007, numero 16873 e del 5 ottobre 2007, numero 20844, si è posta la questione del rispetto del diritto di difesa, come assicurato dal codice di procedura civile, dal momento in cui il processo perviene alle sezioni unite, ritenendo a riguardo che resta assicurata la facoltà di partecipare alla discussione nella udienza pubblica di cui all’articolo 379 cod. proc. civ., nonché di presentare memorie ai sensi del precedente articolo 378 fino a cinque giorni prima di tale udienza della quale deve darsi comunicazione ex articolo 377 cod. proc. civ. alle parti nei cui confronti è stato instaurato il contraddittorio e quindi non soltanto all’avvocato del ricorrente, ma anche a quelle che per quanto detto non hanno potuto proporre il controricorso di cui all’articolo 370 cod. proc. civ. . E da tale indirizzo non v’è ragione di discostarsi. Col primo motivo di ricorso, sotto il profilo dei vizi di violazione di legge e di motivazione, l’Avvocatura dello Stato deduce che non incide sulla configurabilità dell’ipotesi di cui all’articolo 2, lett. a del d.lgs. 109/2006 la mancata proposizione di impugnazioni avverso i provvedimenti illegittimi, richiedendo la norma il danno come elemento obiettivo e non come percepito dalle parti, e che la liquidazione di somma maggiore rispetto a quella che spetta alle parti comporta ex se un danno. Col secondo, si duole dei vizi di violazione e/o falsa applicazione di legge e del vizio di motivazione, per avere la Sez. disciplinare escluso l’illecito disciplinare di cui all’articolo 2, comma 1, lett. g del d.lgs. 109/2006, per le incolpazioni di cui ai nnumero 2-6, sostenendo che l’applicazione di una disciplina diversa rispetto a quella prevista nel testo unico spese di giustizia non può rientrare nell’attività discrezionale del magistrato, visto che la natura pubblicistica dell’incarico comporta necessariamente l’applicazione delle tariffe ministeriali. Il primo motivo di ricorso è fondato. Secondo l’indirizzo di questa Corte, come tra le ultime ribadito nella pronuncia Sez. U. 22/4/2013, numero 9691, le fattispecie di illecito disciplinare previste, rispettivamente, dalle lettere a e g dell’articolo 2, comma 1, del d.lgs. 23 febbraio 2006, numero 109 - che sanzionano l’una la violazione dei doveri di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio e rispetto della dignità della persona che arrechi ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti, e l’altra la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile - non sono tra loro in rapporto di specialità, atteso che l’elemento connotante la prima fattispecie è costituito dalla conseguenza ingiusto danno e vantaggio indebito derivante dalla violazione dei doveri primari incombenti sul magistrato, laddove gli elementi caratterizzanti la seconda fattispecie gravità della violazione di legge e inescusabilità dell’ignoranza o negligenza attengono essenzialmente alla condotta ed all’elemento psicologico dell’illecito, sicché è la loro diversa natura di illeciti di evento e di pura condotta a comportare che un unico comportamento possa integrare entrambi gli illeciti. Ai fini della sussistenza dell’illecito disciplinare previsto dall’articolo 2, comma 1, lett. a , del d.lgs. 23 febbraio 2006, numero 109, è necessaria pertanto la verificazione di un evento costituito dall’ ingiusto danno o dall’ indebito vantaggio per una delle parti del procedimento, non essendo sufficiente la sola condotta del magistrato, consistente nella violazione dei doveri di cui al precedente articolo così la pronuncia Sez. U, 27/11/2013, numero 26548 . Ciò posto, si deve rilevare che il giudice disciplinare ha escluso la sussistenza del danno ingiusto per le parti, rilevando che queste non avevano impugnato i provvedimenti di liquidazione né chiesto la revoca né dedotto a motivo di doglianza l’entità delle liquidazioni e che gli importi liquidati non differivano così macroscopicamente da quelli liquidabili secondo il d.P.R. 115/2002, da costituire di per sé danno rilevante. Così argomentando, la sentenza impugnata ha sostanzialmente presupposto la valenza soggettiva del danno ingiusto salva l’esorbitanza sul piano del quantum idonea a configurare ex se il requisito in oggetto , tanto da ritenere rilevante la reazione delle parti che hanno sopportato le violazioni effettuate dal dott. M. , mentre il disposto normativo connota oggettivamente il danno come ingiusto. E il riferimento alla non macroscopica divergenza tra quanto liquidato nei casi indicati e quanto liquidabile normativamente potrebbe se del caso rilevare sotto il profilo della scarsa rilevanza del fatto, ex articolo 3 bis legge cit., che, come ritenuto nella sentenza della Sez. disciplinare C.S.M. del 26/1/2010, numero 16, ha lasciato proprio al giudice il compito di verificare se, ex post ed in concreto, vi sia stata lesione del bene giuridico, e, quindi, di interpretare la fattispecie alla luce del principio di offensività, attraverso una considerazione congiunta dell’aspetto oggettivo, avente riguardo all’esiguità del danno o del pericolo, e dell’aspetto soggettivo, costituito dal grado della colpevolezza, da cui consegue che deve affermarsi l’irrilevanza della condotta anche nel caso in cui sia contestata la fattispecie di cui all’articolo 2, comma 1, lett. g , d.lgs. numero 109/2006, quando ricorrano l’assenza di qualunque ingiusto pregiudizio o indebito vantaggio per alcuno, come conseguenza oggettiva del comportamento dell’incolpato, l’assenza di neghittosità ed anzi il convincimento, sia pure a torto, di avere agito per il bene delle parti offese, nonché il difetto della lesione del prestigio e della credibilità dell’Ordine Giudiziario. Il secondo motivo è infondato. Come affermato tra le ultime nella pronuncia Sez. U, 29/1/2013, numero 7379, il comportamento del magistrato può essere censurato sul piano disciplinare con riguardo ad atti e provvedimenti resi nell’esercizio delle sue funzioni e, quindi, anche con riguardo all’attività interpretativa e applicativa delle norme di diritto, solo quando tale attività riveli scarsa ponderazione, approssimazione, frettolosità o limitata diligenza, idonee a riverberarsi negativamente sulla credibilità del magistrato o sul prestigio dell’ordine giudiziario ex plurimis Cass., sez. unumero , 4 agosto 2000, numero 538 restando invece esclusa la censurabilità dell’attività interpretativa del magistrato allorché pervenga a soluzioni non implausibili ancorché criticabili come non fondate . Ora, il giudice disciplinare ha escluso l’antigiuridicità delle incolpazioni di cui ai capi da 2 a 6, ritenendo che nei casi indicati si trattasse di interpretazione di norme diverso è peraltro l’argomento addotto per escludere la censurabilità della scelta di liquidare onorari ai consulenti per attività asseritamente demandata alle parti, nei cui confronti parte ricorrente non svolge alcuna censura , rientrante nelle facoltà decisionali del magistrato, e di contro a detta valutazione parte ricorrente tenta di far valere come la natura pubblicistica dell’incarico ai consulenti comporti necessariamente l’applicazione delle tariffe ministeriali, per assicurare sia l’assoluta trasparenza delle liquidazioni che la parità di trattamento tra i professionisti chiamati a svolgere compiti ausiliari dell’autorità giudiziaria. Detta tesi evidentemente prova troppo, e oblitera del tutto il profilo interpretativo che, pur a fronte dell’intento della normativa in oggetto, continua a far capo al giudice del merito, come ampiamente riconosciuto nella pronuncia del 19 dicembre 2014, numero 27126, che ha affermato che in tema di compensi spettanti a periti e consulenti tecnici a norma degli articolo 50 e segg. del d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, la determinazione dei relativi onorari costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice del merito, e pertanto, se contenuta tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede motivazione specifica e non è soggetta al sindacato di legittimità, se non quando l’interessato deduca la violazione di una disposizione normativa oppure un vizio logico di motivazione, specificando le ragioni tecnico giuridiche secondo le quali debba ritenersi non dovuto un certo compenso oppure eccessiva la liquidazione. Conclusivamente, va accolto il primo motivo del ricorso, respinto il secondo, e conseguentemente va cassata la pronuncia impugnata, con rinvio alla Sezione disciplinare del C.S.M. in diversa composizione, che si atterrà a quanto sopra rilevato. La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, respinge il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Sezione disciplinare C.S.M. in diversa composizione.