Basta una semplice sigla sull’assegno per mettere a repentaglio la diligenza della banca

Stante il canone di diligenza professionale previsto dell’art. 1176, comma 2, c.c., non può dirsi conforme il comportamento della banca che provveda a pagare degli assegni bancari su cui, in luogo della completa sottoscrizione del traente, compaia solamente una sigla.

Lo ha stabilito la Suprema Corte con sentenza n. 27488/17 depositata il 1° giugno. Il caso. La società ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte territoriale che, riformando la sentenza di primo grado, escludeva la sussistenza di una responsabilità della banca in relazione all’avvenuto pagamento di una seria di assegni bancari, presentati ad essa come tratti dal legale rappresentante della società ma che in realtà non erano tali. Sottoscrizione assegni. Gli Ermellini rilevano il principio ormai acquisito della giurisprudenza secondo cui la banca, nel riscontro delle sottoscrizioni cartolari che le vengono presentate, è soggetta alla diligenza qualificata del banchiere, il quale deve svolgere l’attività relativa ai servizi di pagamento secondo i canoni della diligenza professionale di cui all’art. 1176, comma 2, c.c. recante Diligenza nell’inadempimento . Nella fattispecie, il fatto che sugli assegni vi fosse la presenza di una mera sigla in luogo di una firma vergata per esteso, il banchiere avrebbe dovuto procedere ad ulteriore analisi ed indagini, in virtù del parametro di riferimento del canone di diligenza di cui sopra. Pertanto, la Suprema Corte accoglie il ricorso e afferma che la Corte d’appello, nel decidere la controversia, dovrà attenersi, in particolare, al principio di diritto secondo cui non è conforme al canone di diligenza professionale richiesto dalla norma dell’art. 1176, comma 2, c.c. il comportamento della banca che provveda a pagare degli assegni bancari su cui, in luogo della completa sottoscrizione del traente così come prescritta dalla norma dell’art. 11 legge assegni, compaia solamente una sigla .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 16 marzo – 1 giugno 2017, n. 13873 Presidente Ambrosio – Relatore Dolmetta Fatti di causa La Società cooperativa Il Gattopardo ricorre per cassazione nei confronti della Banca di credito cooperativo S. Francesco, svolgendo tre motivi avverso la sentenza resa dalla Corte di Appello di Palermo in data 8 ottobre 2012, n. 1399. Riformando la pronuncia assunta in data 24 aprile 2008 n. 59 dal Tribunale di Agrigento - Sezione distaccata di Canicattì, che aveva ritenuto negligente il comportamento nel concreto tenuto dalla Banca, la Corte territoriale ha invece escluso la sussistenza di una responsabilità della medesima in relazione all’avvenuto pagamento di un’articolata serie di assegni bancari, che le erano stati presentati come tratti dal legale rappresentante della Cooperativa Il Gattopardo, ma che in realtà tali non erano. La Corte, in particolare, ha stimato come la falsità della firma apposta sugli assegni in oggetto - falsità incontroversa - non possa in alcun modo ritenersi percepibile ictu oculi , né peraltro con l’uso di una diligenza più qualificata della diligenza media, venendo in rilievo non già una forma vergata per esteso, ma una mera sigla . Nei confronti del ricorso presentato dalla Cooperativa Il Gattopardo resiste la Banca S. Francesco, che ha depositato apposito controricorso. Ragioni della decisione 1.- I motivi di ricorso sviluppati dalla Cooperativa Il Gattopardo denunziano i vizi qui di seguito richiamati. Il primo motivo lamenta, in specie, violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 2697 cod. civ. e all’art. 11 r.d. n. 1736/1933 ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ. nn. 4 e 3 . Nel collegare la presenza sui titoli in questione della mera sigla riscontrata dalla Corte territoriale in luogo della firma di traenza alla normativa di cui all’art. 11 legge assegni, il motivo si richiama alla circostanza che l’azione esercitata nel merito dal ricorrente è stata rivolta verso l’accertamento della responsabilità della banca trattaria e non già verso un’eventuale dichiarazione di nullità degli assegni. Il secondo motivo assume, poi, violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 cod. civ. in relazione all’art. 2697 cod. civ. ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 . Questo motivo sottolinea in via segnata come la diligenza, a cui nel sistema vigente risulta tenuta la banca trattaria, sia di livello altamente professionale e sia perciò da valutare con particolare rigore , laddove il vizio portato dagli assegni nel caso di specie fosse senz’altro evidente, come rilevabile addirittura a colpo d’occhio. Il terzo motivo denuncia, a sua volta, violazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. , per non avere la Corte territoriale tenuto conto delle indicazioni di allerta , che tempestivamente erano state trasmesse dalla Cooperativa Il Gattopardo alla Banca. 2.- Il primo motivo e il secondo motivo di ricorso vanno trattati congiuntamente, in ragione della complementarietà che li caratterizza sul piano sostanziale. Gli stessi risultano fondati, secondo i termini - e nei limiti - che qui di seguito vengono indicati. 3.- In proposito va evidenziato, prima di tutto, come la valutazione compiuta dalla sentenza della Corte territoriale si muova per intero sul piano del riscontro del comportamento in concreto tenuto dalla Banca trattaria, per verificare i termini di effettiva diligenza dello stesso. Senza sconfinare, quindi, in altri e diversi ambiti, quale in particolare quello dell’inesistenza, ovvero nullità ex art. 11 legge assegni, di una dichiarazione cartolare, che risulti composta non già dal nome e cognome o ditta di colui che si obbliga secondo quanto appunto dispone la norma di legge , bensì da una semplice sigla. Difatti, il giudizio della Corte viene in modo espresso, dichiarato, a concentrarsi su un confronto composto dai seguenti termini da un lato, la circostanza che, nella specie, venga in rilievo non già una firma vergata per esteso, ma una mera sigla dall’altro, l’ uso dell’ordinaria diligenza richiesta ad una banca in ordine al riscontro dell’effettiva sussistenza della relativa dichiarazione cartolare nella specie, di traenza . Ora, da questa impostazione - che si manifesta in sé corretta e puntuale - tra le altre in via diretta discendono, per quanto viene qui a rilevare, due conseguenze distinte. La norma di cui all’art. 11 legge assegni viene nella specie in effettivo rilievo, posto che la stessa viene per l’appunto a regolare la conformazione delle sottoscrizioni cartolari dell’assegno bancario, escludendo ogni possibile rilevanza alla semplice sigla secondo quanto emerge in via immediata dal suo testo cfr., comunque, Cass., 15 ottobre 1999, n. 11621 . Nella specie, inoltre, la considerazione della normativa di cui all’art. 11 legge assegni si pone come funzionale alla verifica del rispetto, da parte della Banca S. Francesco, della misura di diligenza in genere richiesta alle banche nel controllo dell’esistenza e regolarità delle dichiarazioni cartolari sottoposte al loro esame. 4.- È principio acquisito della giurisprudenza di questa Corte che, nel riscontro delle sottoscrizioni cartolari che vengono presentate loro, le banche siano soggette alla diligenza qualificata dell’accorto banchiere - in ragione dell’attività propriamente bancaria in cui consiste la prestazione dei servizi di pagamento -, secondo i canoni della diligenza professionale di cui al comma 2 dell’art. 1176 cod. civ. Cfr., tra le più recenti, la sentenza di Cass., 20 marzo 2014, n. 6513, ove pure ampi riferimenti ulteriori. Data questa premessa, non può condividersi l’assunto della Corte territoriale per cui - constatata senza difficoltà la presenza sugli assegni in questione di una mera sigla in luogo di una firma vergata per esteso e cioè composta di nome e cognome , secondo la prescrizione dettata dalla norma dell’art. 11 legge assegni - si poteva, e doveva, procedere a ulteriori analisi e indagini per procedere alla valutazione di diligenza, o meno, del comportamento tenuto nella fattispecie concreta dalla Banca trattaria. In realtà, la constatazione che sugli assegni portatì in pagamento alla banca risulta apposta non già una firma di traenza, bensì una semplice sigla, pone senz’altro termine a ogni tipo di valutazione e controllo della banca medesima, il comportamento di questa risultando allora bloccato . Posta l’insussistenza di una valida dichiarazione del traente, come prescritta dalla norma dell’art. 11, in effetti, la banca trattaria non può comunque provvedere al pagamento ovvero, altrimenti detto, il pagamento, se effettuato, avviene a suo rischio . In effetti, assunto a necessario parametro di riferimento il canone della diligenza professionale di cui all’art. 1176 comma 2 cod. civ., non può ritenersi rispondente a diligenza il comportamento della banca che trascuri di considerare - ovvero ignori - la regolamentazione dettata dalla disposizione dell’art. 11 legge assegni. Tanto più che trattasi di una delle norme primarie espresse da tale legge, di base della stessa e pure di comprensione facile e immediata. 5.- Il terzo motivo di ricorso deve ritenersi assorbito dall’avvenuto accoglimento, nei limiti anzidetti, dei primi due motivi. 6.- In conclusione, il ricorso va accolto nei termini e limiti sopra indicati, con conseguente cassazione della sentenza resa dalla Corte di Appello di Palermo e con relativo rinvio sempre alla Corte di Appello di Palermo che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Nel decidere la controversia la Corte di Appello, così investita, si atterrà ai principi e indicazioni di cui in motivazione e, in particolare, al principio di diritto per cui non è conforme al canone di diligenza professionale richiesto dalla norma dell’art. 1176 comma 2 cod. civ. il comportamento della banca che provveda a pagare degli assegni bancari su cui, in luogo della completa sottoscrizione del traente così come prescritta dalla norma dell’art. 11 legge assegni, compaia solamente una sigla . P.Q.M. La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, assorbito il terzo e cassa la impugnata sentenza della Corte di Appello di Palermo, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.