Non è emulativo l’atto del vicino di casa che vuole tutelare la propria privacy

L’atto emulativo presuppone lo scopo esclusivo di nuocere o recare pregiudizio ad altri in assenza di qualsivoglia utilità per il proprietario, non potendo essere ricondotto a tale categoria l’atto comunque rispondente ad un interesse di quest’ultimo.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12688/17 depositata il 19 maggio. La vicenda. Il pomo della discordia è costituito dalla veduta e dai vasi, apposti su un’area di cortile compresa tra la strada pubblica ed il fabbricato di proprietà della convenuta, condannata dalla Corte d’appello di Firenze alla rimozione del manufatto costruito. I Giudici fiorentini avevano infatti escluso che la domanda di eliminazione delle vedute avesse natura emulativa, essendo invece preordinata alla tutela della privacy della controparte. Atto emulativo. La sentenza viene impugnata in Cassazione per la violazione, per quanto qui d’interesse, degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. nonché dell’art. 2697, 10247, 1058 e 1067 c.c., per aver escluso il carattere emulativo della domanda di eliminazione delle vedute. Sostiene la ricorrente che l’apertura delle vedute su una strada pubblica esclude una potenziale lesione della privacy della controparte. La censura non trova condivisione da parte del Collegio che ribadisce come, ai sensi dell’art. 883 c.c., l’atto emulativo presuppone lo scopo esclusivo di nuocere o recare pregiudizio ad altri in assenza di qualsivoglia utilità per il proprietario, non potendo essere ricondotto a tale categoria l’atto comunque rispondente ad un interesse di quest’ultimo. Nel caso di specie, risulta che il cortile in oggetto sia attraversato da una pubblica via, circostanza che comunque non esclude l’interesse alla riservatezza cui sono preordinate le norme in materia di distanze tra vedute. Per questi motivi la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 22 marzo – 19 maggio 2017, numero 12688 Presidente Migliucci – Relatore Federico Esposizione del fatto M.M.L. , in proprio e quale erede di Mi.Cr., propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti di Br.Pa. e B.A., avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze, numero 289/2012, depositata il 24 febbraio 2012, con la quale, in riforma della sentenza del Tribunale di Pistoia, gli odierni ricorrenti venivano condannati all’eliminazione di una veduta contraddistinta dalla parte colorata in giallo nell’allegato alla Ctu ed alla rimozione di alcuni vasi e della banchina presenti nell’area su cui affaccia il lato est del fabbricato. La Corte d’Appello di Firenze, per quanto in questa sede ancora rileva, ha affermato che l’area tra la strada pubblica via Boccaccio ed il fabbricato della M. rientrava nella particolo 135, di cui risultavano comproprietari i signori B. e Br. e non anche i signori M. e Mi Questi ultimi, inoltre, non avevano assolto all’onere di provare che l’area posta tra la facciata est del loro fabbricato e la via Boccaccio era comunque destinata all’uso pubblico, quale pertinenza della via stessa, posto che non necessariamente una strada pubblica presenta a margine della carreggiata una banchina o un marciapiede. Da ciò la fondatezza della domanda di condanna dei medesimi alla rimozione del manufatto costruito su tale area. Il giudice di appello riteneva altresì fondata la domanda di eliminazione delle vedute nuove o allargate presenti nella facciate est e nord del fabbricato di proprietà della M. , escludendo che la domanda di eliminazione delle vedute stesse potesse qualificarsi come atto emulativo, in quanto preordinata alla tutela della privacy della corte, mentre doveva ritenersi irrilevante la circostanza che gli odierni ricorrenti avessero chiuso delle preesistenti vedute . I signori Br. e B. resistono con controricorso. La ricorrente, in prossimità dell’odierna udienza, ha depositato memorie ex articolo 378 cpc. Considerato in diritto Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione degli artt. 112, 115 e 116 cpc, nonché dell’articolo 2697 c.c. in relazione all’articolo 360 numero 3 , censurando la statuizione della sentenza impugnata secondo cui essi ricorrenti non avrebbero dimostrato che la banchina o marciapiede erano destinati ad uso pubblico. Deducono al riguardo che la natura pubblica di tali aree discende direttamente dal fatto di accedere ad una strada pacificamente pubblica quale via omissis . Il motivo è infondato. La Corte, premesso che l’area tra la strada pubblica ed il fabbricato M. è di proprietà dei signori B. e Br. ha affermato, con valutazione di merito che in quanto adeguatamente motivata si sottrae al sindacato di legittimità, che gli odierni ricorrenti non avevano provato che l’area suddetta era comunque destinata all’uso pubblico, ritenendo al riguardo inidoneo il parere dell’impiegato comunale, non supportato da ulteriori elementi, secondo cui il marciapiede era stato realizzato in un suolo di pertinenza stradale. Deve al riguardo disattendersi la prospettazione della ricorrente, che, nell’affermare che la banchina fa necessariamente parte della struttura della strada ed è dunque destinata ad uso pubblico , fa riferimento alla nozione tecnico-giuridica di banchina prevista dall’articolo 3 D.lgs. 285/1992 , quale parte della strada compresa tra il margine della carreggiata ed il più vicino tra i seguenti elementi longitudinali marciapiede, spartitraffico etc. . Nel caso di specie, peraltro, l’area in oggetto è di proprietà privata, vi risulta costruito un manufatto e non è necessariamente destinata ad uso pubblico, dovendo escludersi che l’area adiacente una strada pubblica urbana costituisca necessariamente un’area di pertinenza stradale, ed in particolare una banchina ai sensi e per gli effetti dell’articolo 3 dlgs. 285/1992. Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando omesso esame ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo, violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 cpc, nonché dell’articolo 2697 c.c., degli artt. 1027, 1058 e 1067 c.c., censura la statuizione della Corte d’Appello di Firenze che ha escluso il carattere emulativo della domanda di eliminazione delle vedute. La ricorrente lamenta, dunque, che la Corte abbia omesso di rilevare che le vedute per cui è causa erano aperte sulla strada pubblica e che dunque non fosse in concreto ravvisabile quella lesione dell’intimità cui sono preordinate le disposizioni in materia di distanze per l’apertura delle vedute. Ribadisce che la sostituzione delle vedute aperte su una facciata nella quale vi erano già finestre e porte, non implica, a fronte dell’eliminazione delle vedute preesistenti, la costituzione di una nuova servitù. Il motivo, prospettato unicamente con riferimento al carattere emulativo della domanda di eliminazione delle vedute, è destituito di fondamento. Si osserva infatti che l’atto emulativo vietato ex articolo 833 c.c. presuppone lo scopo esclusivo di nuocere o di recare pregiudizio ad altri, in assenza di una qualsiasi utilità per il proprietario, sicché non è riconducibile a tale categoria un atto comunque rispondente ad un interesse del proprietario, non potendo il giudice compiere una valutazione comparativa discrezionale fra gli interessi in gioco o formulare un giudizio di meritevolezza e prevalenza fra gli stessi Cass. 1209/2016 . Orbene, nel caso di specie sebbene la corte di cui sono comproprietari gli odierni resistenti, su cui si esercitano le vedute situate nella facciata est dell’immobile della M. , sia attraversata da un pubblica via appare ravvisabile l’interesse alla riservatezza cui sono preordinate le disposizioni in materia di distanze delle vedute, atteso che, una veduta esercitabile da un fabbricato ha ben maggiore idoneità invasiva dell’altrui intimità e dunque anche maggiore idonetà lesiva , rispetto a quello di chi transita sulla pubblica via. Del pari infondato l’ulteriore rilievo degli odierni ricorrenti, secondo cui la mera sostituzione di vedute non avrebbe determinato alcun aggravamento in capo al fondo di proprietà B. e Br. . Premesso che, avuto riguardo al necessario requisito di autosufficienza non risulta in alcun modo provato che le vedute poste in essere dalla ricorrente siano di fatto equivalenti a quelle originarie ed eliminate, si osserva in ogni caso che l’apertura di nuove vedute, in violazione delle distanze di cui all’articolo 905 c.c., pur a fronte dell’eventuale chiusura di quelle preesistenti comporta l’illegittimità delle stesse e la conseguente azionabilità della corrispondente tutela di cui all’articolo 905 c.c Il ricorso va dunque respinto e la ricorrente va condannata alla refusione ai resistenti delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio in favore di Br.Pa. e B.A. , che liquida in complessivi 2.700,0 Euro, di cui 200,00 Euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario per spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.