Protezione internazionale per l’omosessuale perseguitato in patria

Legittima la domanda presentata allo Stato italiano. Per il richiedente risultano decisivi due elementi dimostrare la propria omosessualità e certificare i rischi che si correrebbero in caso di ritorno al Paese d’origine, come ad esempio il carcere.

Omosessuale in fuga dal proprio Paese. Lì, difatti, i rapporti tra persone dello stesso sesso non sono semplicemente poco graditi ma anzi addirittura, norme alla mano, perseguiti e puniti con il carcere. Logico, quindi, che l’Italia dia protezione allo straniero Cassazione, ordinanza n. 9946/17, sez. VI Civile, depositata oggi . Detenzione. A battagliare per vedere sancita la legittimità della propria presenza in Italia è un cittadino pakistano, scappato dal proprio Paese perché omosessuale. Consequenziale la sua richiesta di protezione presentata allo Stato italiano e fondata su un dato egli, a causa della sua omosessualità – che è considerata un crimine –, si trova esposto in patria a una condizione di persecuzione e al rischio di una ingiusta detenzione . L’uomo, per rendere ancora più chiaro il pericolo, spiega che in Pakistan l’omosessualità è punibile con la detenzione a vita. Libertà. Prima in Tribunale e poi in appello, però, la domanda di protezione avanzata dallo straniero viene respinta in modo netto. Decisive per i Giudici sono alcune circostanze generiche, contraddittorie e inverosimili presenti nel racconto dell’uomo, racconto ritenuto perciò poco credibile. A ribaltare la prospettiva adottata in secondo grado provvedono i magistrati della Cassazione, che ritengono secondarie i presunti punti oscuri nelle dichiarazioni del cittadino pakistano. Ciò che conta, invece, è accertare la sua omosessualità e verificare la condizione delle persone omosessuali nella società del Paese di provenienza . Solo successivamente sarà possibile pronunciarsi sulla domanda di protezione internazionale . Sempre ricordando, aggiungono in conclusione i Giudici del Palazzaccio, che la circostanza per cui l’omosessualità sia considerata un reato dall’ordinamento giuridico del Paese è rilevante, costituendo una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, ingerenza che compromette la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 13 marzo – 19 aprile 2017, n. 9946 Presdiente Dogliotti – Relatore Bisogni Rilevato che 1. M. J., cittadino pakistano, ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Cagliari con la quale era stata rigettata la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale proposta in quanto egli, a causa della sua omosessualità, considerata crimine punibile con la detenzione a vita nel suo paese di origine, si trovava esposto a una condizione di persecuzione e al rischio di una ingiusta detenzione. Ha contestato l'appellante la valutazione del Tribunale secondo egli avrebbe riferito nel corso del procedimento circostanze generiche, contraddittorie e inverosimili e ha insistito per il riconoscimento della protezione sussidiaria o in subordine per la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. 2. La Corte di appello di Cagliari, con sentenza n. 174/2016, ha confermato la decisione di primo grado rilevando che l'appellante non aveva censurato analiticamente la motivazione ma aveva contestato solo alcune delle affermazioni del Tribunale circa la non credibilità della sua prospettazione. 3. Ricorre per cassazione M. J. deducendo violazione e/o falsa applicazione dell'art. 342 c.p.c, degli artt. 3 e 14 del decreto legislativo 251/2007 e dell'art. 136 n. 2 del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Secondo il ricorrente la prospettazione del suo orientamento sessuale e la grave criminalizzazione della omosessualità costituiscono un rischio grave e concreto di subire una ingiusto carcerazione al suo rimpatrio forzato e avrebbero dovuto costituire un presupposto sufficiente per la Corte di appello al fine di concedere la richiesta protezione sussidiaria o, comunque, quella umanitaria. Al contrario la Corte di appello si era soffermata, alla stregua di quanto già aveva fatto il Tribunale, su contraddizioni o imprecisioni irrilevanti nel racconto che era stato portato all'attenzione dei giudicanti senza tenere conto del principio dell'onere della prova attenuato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza in materia di protezione internazionale. Inoltre il ricorrente lamenta l'ingiustizia della disposta revoca dell'ammissione al gratuito patrocinio per effetto della pronuncia di inammissibilità dell' appello. Ritenuto che 4. Il ricorso è fondato alla luce della giurisprudenza di legittimità Cass. clv. sez. VI-1 ordinanza n. 15981 del 20 settembre 2012 secondo cui ai fini della concessione della protezione internazionale, la circostanza per cui l'omosessualità sia considerata un reato dall'ordinamento giuridico del Paese di provenienza è rilevante, costituendo una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione, tale da giustificare la concessione della protezione richiesta devono, pertanto, essere acquisite le prove, necessarie al fine di acclamare la circostanza della omosessualità del richiedente, la condizione dei cittadini omosessuali nella società del Paese di provenienza e lo stato della relativa legislazione, nel rispetto del criterio direttivo della normativa comunitaria e italiana in materia di istruzione ed esame delle domande di protezione internazionale. 5. Il ricorso va pertanto accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di appello di Cagliari che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Cagliari che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.