Parcheggio a pagamento e sanzioni amministrative

Il giudice di merito, nel decidere su una sanzione amministrativa per violazione del c.d.s., può disapplicare solamente gli atti amministrativi posti a fondamento della sanzione stessa.

Nel giudizio di opposizione alla ordinanza-ingiunzione avente ad oggetto l’irrogazione di sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, il giudice ordinario, al quale spetta la giurisdizione, ha il potere di sindacare incidentalmente, ai fini della disapplicazione, gli atti amministrativi posti a fondamento della pretesa sanzionatoria. La delibera di concessione della gestione del servizio di parcheggio a una determinata società non può essere considerata un atto presupposto della violazione contestata al trasgressore. La fattispecie. Nel caso in esame il Tribunale di Palermo, in riforma della sentenza resa dal Giudice di Pace, aveva rigettato l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione avente ad oggetto la sanzione amministrativa per la violazione dell’art. 7, comma 1 e 5, c.d.s. per non aver apposto lo scontrino del pagamento relativo al parcheggio occupato. A differenza del giudice di prime cure, il Tribunale aveva ritenuto una mera irregolarità l’omessa indicazione, sul cartello stradale, dell’ordinanza istitutiva del parcheggio a pagamento e, comunque, irrilevante la violazione della durata delle convenzioni stipulate con società terze per la gestione dell’area adibita a parcheggio. La vicenda è poi giunta avanti al giudice di legittimità. Disapplicabilità degli atti amministrativi da parte del giudice ordinario. La Corte evidenzia che il giudice ordinario, nel giudizio di opposizione all’ordinanza-ingiunzione avente ad oggetto l’irrogazione di sanzioni amministrative per violazione del c.d.s., ha il potere di disapplicare gli atti amministrativi posti a fondamento della pretesa sanzionatoria. Tuttavia il sindacato di legittimità, ai fini dell’eventuale disapplicazione, può rivolgersi solo nei confronti del provvedimento cosiddetto presupposto e, cioè, quello integrativo della norma la cui violazione è stata posta a fondamento di detta sanzione come, ad esempio, l’ordinanza istitutiva del parcheggio a pagamento che fa sorgere il divieto.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 marzo – 7 aprile 2017, n. 9125 Presidente Petitti – Relatore Criuscuolo Fatto e diritto 1. Il Giudice di Pace di Palermo con la sentenza n. 2096 del 19/7/2012 accoglieva l’opposizione proposta da C.G. avverso l’accertamento del 17 giugno 2011, con la quale gli era stata contestata la violazione dell’art. 7 co. 1 e 5 del CdS, per avere occupato uno stallo blu di sosta a pagamento in Palermo alla via Piazzi, senza esporre la scheda di parcheggio sosta. La decisione del giudice di prime cure si fondava sull’affermazione per la quale alla data dell’accertamento, era ormai scaduta la convenzione intercorsa tra l’AMAT ed il Comune in ordine alla gestione delle aree di sosta a pagamento, sicché l’imposizione del pagamento orario non era più assistita da un valido provvedimento amministrativo. A tale considerazione aggiungeva altresì che la segnaletica apposta sul luogo era carente dell’indicazione degli estremi dell’ordinanza istitutiva del parcheggio a pagamento. 2. A seguito di appello dell’ente locale, il Tribunale di Palermo con la sentenza n. 3997/2015, in integrale riforma della decisione gravata, rigettava l’opposizione. A tal fine rilevava che la legge regionale n. 19 del 2005 aveva prorogato di cinque anni le convenzioni stipulate con le aziende di trasporto per tutti i servizi connessi in senso ampio, dovendo ricomprendersi tra questi anche quelli di gestione delle aree di sosta a pagamento. Inoltre la violazione delle disposizioni relative alla durata delle convenzioni o di quelle che dettano i criteri di selezione del contraente secondo le regole dell’evidenza pubblica, non investono i rapporti con i singoli cittadini autori delle infrazioni, essendo invece attinenti ai soli rapporti tra la PA, la concessionaria ed eventuali altri aspiranti all’affidamento in gestione dei servizi. In merito alla mancata indicazione sul retro della segnaletica degli estremi dell’ordinanza istitutiva dell’area a pagamento, sosteneva che si trattava di mera irregolarità, mentre, quanto alla legittimità della collocazione delle aree a pagamento, riteneva che la nozione di carreggiata, quale evincibile dall’art. 7 co. 3 del CdS, era da intendersi quale porzione della strada destinata al transito veicolare. L’art. 7 co. 4 prevede poi che le aree destinate al parcheggio debbano essere ubicate fuori della carreggiata e comunque in modo da impedire che la sosta dei veicoli ostacoli lo scorrimento del traffico. Nel caso di specie, considerato anche il tenore della previsione di cui all’art. 157 co. 4 CdS, che consente nelle strade urbane a senso unico di marcia di poter sostare lungo il margine sinistro della carreggiata, purché rimanga spazio sufficiente al transito di almeno una fila di veicoli e comunque per una larghezza di tre metri, doveva escludersi che le prescrizione del codice fossero state violate, a nulla rilevando che le porzioni di strada destinate al traffico veicolare siano chiaramente individuate, anziché con una striscia di colore bianco, con una striscia di colore blu. Infine doveva essere disattesa anche l’eccezione relativa alla carenza di potere di accertamento in capo all’ausiliario del traffico autore del verbale, avendo il Comune depositato la delibera di conferimento di incarico a tempo indeterminato in favore del detto ausiliario, in conformità di quanto prescritto dall’art. 17 commi 132 e 133 della legge n. 127/1997. 3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso C.G. sulla base di 5 motivi illustrati anche con memorie ex art. 378 c.p.c Il Comune di Palermo ha resistito con controricorso. 4. Il primo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione della legge regionale della Sicilia n. 19 del 2005. Si osserva che il Tribunale ha ritenuto che tale legge a seguito della modifica apportata dalla legge regionale n. 1 del 2008, contemplava all’art. 27 co. 6 una proroga ex lege della convenzione a suo tempo intercorsa tra il Comune e l’AMAT, un cui dipendente aveva elevato la contravvenzione oggetto di causa. Si rileva tuttavia che, a seguito di impugnativa del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana innanzi alla Corte Costituzionale della previsione concernente la proroga, la norma non era mai entrata in vigore, come peraltro rilevato dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 304 del 1988, con la quale aveva dichiarato cessata la materia del contendere proprio in ragione dell’omessa riproduzione in sede di pubblicazione della disposizione censurata. Ne consegue che l’efficacia della concessione è definitivamente venuta meno alla data del 31 dicembre 2008. Il secondo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione del codice dei contratti pubblici, relativi a lavori, servizi e forniture, in attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. In tale senso la previsione contenuta nella convenzione originariamente intervenuta tra il Comune e l’AMAT, secondo cui alla scadenza dell’affidamento le aree di sosta continuano ad essere gestite in regime transitorio fino alla conferma esplicita da parte del Comune, si pone in insanabile contrasto con la normativa menzionata e con gli obblighi derivanti dalla legislazione comunitaria, che vietano ogni possibilità di proroga o rinnovo dell’affidamento dei servizi pubblici. In tal senso si segnala che l’art. 6 della legge n. 537/1993, che prevedeva una forma di facoltativo rinnovo postumo dei contratti della PA, è stato abrogato dalla legge n. 62/2005 a seguito di una procedura di infrazione comunitaria, e che la successiva giurisprudenza del Consiglio di Stato ha ribadito che il divieto di rinnovo o proroga è ineludibile, imponendosi sempre l’affidamento a seguito di una rinnovata procedura ad evidenza pubblica. Nella fattispecie si verrebbe ad ammettere la possibilità di una proroga tacita del rapporto di affidamento, da reputarsi invalida, con la conseguenza che anche il verbale oggetto di causa sarebbe invalido in quanto emesso da soggetto privo di qualsivoglia potere. Il quarto motivo denunzia poi l’errata, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la valutazione del giudice di merito in ordine alla violazione delle regole dell’evidenza pubblica. Si deduce che erroneamente non si sarebbe presa in considerazione la deduzione del ricorrente circa l’inesistenza di un atto di proroga della convenzione, sicché l’ausiliario del traffico autore dell’accertamento era del tutto privo di poteri, il che rende la contestazione illegittima. 4.1 I tre motivi possono essere congiuntamente esaminati attesa la connessione delle questioni che pongono. In primo luogo deve però rilevarsi l’inammissibilità del quarto motivo nella parte in cui denunzia l’esistenza di un vizio della motivazione facendo chiaro riferimento al testo dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. nella formulazione non più applicabile alla fattispecie che vede impugnata una sentenza pronunziata in data successiva all’entrata in vigore della legge n. 134 del 2012. Passando alla disamina dei primi due motivi, ad avviso del Collegio gli stessi sono evidentemente privi di fondamento. Si reputa a tal fine di dover fare richiamo a quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 22793 del 2014, la cui massima recita che nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione avente ad oggetto l’irrogazione di sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, il giudice ordinario ha il potere di sindacare incidentalmente, ai fini della disapplicazione, soltanto gli atti amministrativi posti direttamente a fondamento della pretesa sanzionatoria, sicché, ove sia stata irrogata una sanzione pecuniaria per la sosta di un autoveicolo in zona a pagamento senza esposizione del tagliando attestante l’avvenuto versamento della somma dovuta, il controllo del giudice non può estendersi anche agli eventuali vizi di legittimità della deliberazione della giunta comunale di concessione della gestione del servizio ad un’impresa privata, che non si inserisce nella sequenza procedimentale che sfocia nell’adozione dell’ordinanza opposta. Nella motivazione si sviluppano una serie di considerazioni che appaiono sicuramente suscettibili di estensione anche alla vicenda in esame. Ed, infatti, nel precedente citato, il giudice di merito aveva considerato illegittima la delibera di concessione del servizio di gestione dei parcheggi, in quanto adottata dalla giunta comunale anziché dal consiglio comunale. Questa Corte, dopo avere richiamato l’orientamento per il quale Cass. 21173/2006 Cass. 396/95 Cass. Sezioni Unite 5705/1990 , nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione avente ad oggetto l’irrogazione di sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, il giudice ordinario, al quale spetta la giurisdizione, essendo in contestazione il diritto del cittadino a non essere sottoposto al pagamento di somme al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, ha il potere di sindacare incidentalmente, ai fini della disapplicazione, gli atti amministrativi posti a fondamento della pretesa sanzionatoria SU 116/07 , ha però sottolineato che la delibera di concessione della gestione del servizio di parcheggio è un atto amministrativo con cui la giunta comunale si è limitata ad affidare lo svolgimento di un’attività a rilevanza pubblicistica a una società, ma non è atto presupposto della violazione contestata al trasgressore, che è costituito dalla istituzione di una zona adibita al parcheggio a pagamento. Il sindacato incidentale di legittimità, al fine della eventuale disapplicazione, può rivolgersi solo nei confronti del provvedimento cosiddetto presupposto, e cioè quello integrativo della norma la cui violazione è stata posta a fondamento di detta sanzione Cass. civ., 24-01-2013, n. 1742 Cass. n. 21173/06 , come appunto è l’ordinanza istitutiva del parcheggio a pagamento, che fa sorgere la violazione del conseguente divieto. Viceversa la delibera di concessione della gestione del servizio di parcheggio non si pone invece in rapporto diretto con la violazione di quest’ultimo, in quanto i due atti - concessione del servizio e istituzione dell’area con obbligo di ticket - sono inseriti in iter amministrativi differenti e rispondono ad altrettanto diverse finalità con la prima, viene unicamente selezionato il concessionario di un servizio con la seconda, si impone l’obbligo di pagamento della sosta in una determinata zona, obbligo la cui violazione comporta l’irrogazione della sanzione. La delibera di concessione non si inserisce nella sequenza procedimentale che sfocia con l’adozione dell’ordinanza sindacale né condiziona la sussistenza della violazione accertata. L’illegittimità della prima non può, quindi, riverberarsi sulla seconda, né inficiare l’accertamento stesso. In senso conforme si veda da ultimo anche Cass. n. 13659/2016, che ha ribadito che nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa per violazione del codice della strada, nella specie una sanzione per mancato pagamento della sosta e mancata esposizione del tagliando, il controllo del giudice, seppur ampio, non può estendersi sino agli eventuali vizi di legittimità della delibera della giunta comunale sulla concessione del servizio a un’impresa privata, in quanto questa non fa parte della sequenza procedimentale che sfocia nell’adozione dell’ordinanza opposta. Mutatis mutandis, può quindi ritenersi che la contestazione mossa dal C. non attiene al provvedimento con il quale il Comune a suo tempo ha deciso di istituire come area di sosta a pagamento quella oggetto dell’infrazione oggetto di causa, ma alla diversa sequenza procedimentale che concerne l’affidamento del servizio di gestione dell’area medesima, la cui validità anche in punto di legittimità della clausola della convenzione che garantisce un affidamento transitorio del servizio alla scadenza convenzionale non incide sulla sussistenza della violazione accertata in tal senso la stessa giurisprudenza amministrativa richiamata dalla difesa del ricorrente evidenzia chiaramente come l’eventuale violazione delle regole in tema di affidamento dei servizi pubblici ingenera la lesione dell’interesse legittimo degli eventuali altri aspiranti, ma non può riflettersi invece sulla diversa posizione di colui che comunque viene a violare il divieto di sosta su aree a pagamento, la cui individuazione è frutto di diverso provvedimento amministrativo . 5. Il terzo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 co. 7 del D. Lgs. n. 150/2011 in tema di onere della prova nei giudizio di opposizione a sanzione amministrava. Si lamenta che erroneamente il giudice di appello ha ritenuto che la mancata indicazione sul retro della segnaletica degli estremi dell’ordinanza sindacale, così come prescritto dall’art. 77 co. 7 del DPR n. 495/1992, costituisca una mera irregolarità, laddove non era stata fornita la prova dell’ordinanza introduttiva del divieto e dell’autorizzazione all’apposizione della segnaletica sul posto. Si deduce che quindi la doglianza non concerneva il mancato rispetto della norma regolamentare circa i requisiti della segnaletica, ma a monte la mancata prova dell’esistenza del provvedimento di individuazione delle aree di sosta a pagamento. Anche tale motivo è infondato. Ed, invero, non appare seriamente contestabile la correttezza della affermazione del giudice di appello circa la inidoneità della violazione della previsione di cui al menzionato art. 77 a determinare l’illegittimità della contestazione, atteso che la giurisprudenza di questa Corte ha, a più riprese, ribadito che l’omessa indicazione, sul retro del segnale verticale di prescrizione, degli estremi della relativa ordinanza di apposizione - come invece imposto dall’art. 77, comma 7, del d.P.R. n. 495 del 1992 e succ. mod. - non determina l’illegittimità del segnale, né, tantomeno, esime l’utente della strada dall’obbligo di rispettarne la prescrizione e, conseguentemente, non comporta l’illegittimità del verbale di contestazione dell’infrazione alla condotta da osservare Cass. n. 7709/2016 Cass. n. 12481/2010 . Quanto invece alla deduzione secondo cui la censura concerneva la stessa prova circa l’esistenza di un provvedimento a monte di individuazione delle aree di sosta, trattasi di questione che non risulta espressamente affrontata dal giudice di merito, sicché, al fine di superare la valutazione in termini di inammissibilità per la novità della questione per la prima volta dedotta in sede di legittimità, sarebbe stato onere del ricorrente specificamente allegare se ed in quale fase del giudizio di merito fosse stata sollevata, tenuto conto altresì del fatto che dalla stessa esposizione dei fatti contenuta in ricorso, nulla si riscontra sul punto in merito al contenuto dell’atto introduttivo pag. 2 , e che anche le difese del C. in sede di appello, come riportate alle pagg. 4 e 5 del ricorso, fanno menzione unicamente del profilo concernente il rispetto della previsione di cui all’art. 77 citato, sembrando dare per scontata l’esistenza dell’ordinanza istitutiva dell’area a pagamento. 6. Il quinto motivo denunzia poi la violazione e falsa applicazione ai sensi del combinato disposto dell’art. 40 ed art. 3 co. 1 n. 23 del CdS e dell’art. 141 del regolamento di attuazione. Si sostiene che l’art. 141 in questione impone che i margini della carreggiata debbano essere segnalati con strisce di colore bianco, e che l’art. 3 co. 1 n. 23 del CdS prevede che la fascia di sosta laterale è quella parte di strada adiacente la carreggiata separata da una striscia di margine discontinua. Infine l’art. 40 CdS vieta la sosta sulle carreggiate i cui margini sono evidenziati da una striscia continua. Nel caso di specie era assente una striscia bianca, essendo segnate unicamente le aree di sosta a pagamento con strisce blu. Ancora si denunzia che l’individuazione di tali ultime aree era avvenuta determinando un grave danno alla circolazione stradale, essendo illegittimo il provvedimento di individuazione delle aree a pagamento ex art. 21 octies della legge n. 241/1990. Il motivo deve essere disatteso. Quanto alla presenza di strisce blu, reputa il Collegio che sia del tutto corretto il richiamo del giudice di merito a quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 4172/2007, che nel definire la nozione di carreggiata , a norma dell’art. 3 del codice della strada, ha ritenuto priva di rilevanza l’assenza della striscia bianca di delimitazione qualora siano presenti le strisce colorate che individuano la parte di strada destinata al parcheggio dei veicoli. Deve pertanto darsi continuità a quanto asserito in tale occasione, rilevandosi inoltre che la deduzione secondo cui la collocazione delle aree a pagamento determinerebbe un grave intralcio alla circolazione contrasta evidentemente con quanto accertato in fatto dal giudice di merito, che ha riscontrato l’esistenza di spazio sufficiente al transito dei veicoli, risolvendosi la doglianza in un’inammissibile sollecitazione ad un diverso apprezzamento dei fatti, compito questo invece riservato al giudice di merito. Ne discende che resta priva di sostegno anche la deduzione di illegittimità del provvedimento di individuazione delle aree a pagamento la quale sarebbe destinata a ripercuotersi sull’ordinanza impugnata. Infine, la incensurabilità della decisione del Comune di individuare le aree di sosta rende evidente anche l’infondatezza dell’ulteriore deduzione sviluppata in motivo secondo cui l’ausiliario del traffico autore della contestazione, avrebbe malamente operato per non avere agito all’interno delle aree tecnicamente qualificabili come parcheggi. Il ricorso deve pertanto essere integralmente rigettato. 7. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. 8. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 710,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, L. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.