L’autoliquidazione degli onorari da parte degli arbitri è fonte di obbligazione?

Solo se tutte le parti accettano, anche per facta conludentia, l’autoliquidazione del compenso degli arbitri, essa è fonte di obbligazione nei loro confronti in questo caso, può dar luogo anche ad obbligazioni parziarie, ove i debitori abbiano accettato la divisione dell’obbligazione originaria in due o più obbligazioni di diversa entità, ciascuna posta a carico delle parti del giudizio corrispondenti a diverse frazioni aritmetiche del tutto.

Questo è il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte, sez. II Civile, nella sentenza n. 7772/17, emessa nella camera di consiglio del 1° febbraio e depositata in cancelleria il successivo 27 marzo, in un ricorso depositato nel lontano 2012. Il caso. La questione riguardava l’autoliquidazione dei compensi di un collegio arbitrale per l’attività svolta in un giudizio, a seguito del quale in primo grado gli odierni ricorrenti erano stati condannati in prime cure, in solido tra loro e unitamente alla controparte, al pagamento di € 100.000,00, da ripartirsi nella misura di due terzi a carico della società e la restante parte a loro carico secondo il dictum arbitrale . La Corte d’appello di Torino, decidendo sul gravame degli odierni ricorrenti, aveva parzialmente accolto la loro impugnazione, riducendo la somma complessivamente dovuta agli arbitri nella misura di € 82.362,60, ferme restando le percentuali di ripartizione già fissate a carico degli obbligati, dando anche un nuovo regolamento alle spese legali dei due gradi di giudizio. Con la stessa pronuncia, però, la Corte d’appello rigettava la domanda degli appellanti, volta alla restituzione della maggior somma già versata da loro stessi, in corrispondenza della quota di un terzo rispetto alla prima condanna e quindi pari ad € 33.333,00 oltre accessori , in forza della provvisoria esecutività del titolo ex art. 702- ter c.p.c., in quanto essa era di entità inferiore al compenso liquidato agli arbitri, che va inteso nel suo complesso trattandosi di obbligazione solidale. Contro tale decisione, proponevano ricorso gli allora appellanti, con un unico motivo di ricorso vizio di motivazione su un punto decisivo per il giudizio motivazione contraddittoria, omessa ed insufficiente, omessa valutazione di un documento ritualmente prodotto, cioè la contabile di pagamento della società in favore degli arbitri, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c. Con tale ultimo documento, i ricorrenti avevano dimostrato che i creditori avevano ricevuto la cifra complessiva di € 100.000,00, quindi maggiore a quella dovuta a seguito della sentenza della Corte territoriale, e quindi concludevano per l’esistenza dell’errore del giudice distrettuale nella parte in cui non aveva accolto la domanda di ripetizione dell’indebito, dimostrando in questo modo di non avere esaminato il documento, di cui pure allegava copia al ricorso per cassazione. Il resistente proponeva controricorso. Se accettata dalle parti anche per facta concludentia l’autoliquidazione del compenso arbitrale diventa obbligazione vincolante e solidale, anche per quanto riguarda l’eventuale ripartizione tra le parti stesse. La Cassazione ha ribadito che in tema di obbligazione per il pagamento del compenso arbitrale, l’autoliquidazione degli onorari da parte degli arbitri è fonte di obbligazione nella sola ipotesi in cui essa sia accettata dalle parti, cosa che non è avvenuta nel caso in giudizio, mentre può dirsi avvenuta l’accettazione del frazionamento, che non è mai stata oggetto di ricorso, né in primo e né in secondo grado. La Suprema Corte ha poi accolto il ricorso sul punto della mancata valutazione delle prove, poiché ha determinato che la Corte d’appello non avesse adeguatamente valutato il documento proposto, dichiarando peraltro del tutto ammissibile la domanda di ripetizione dell’indebito, visto che il compenso era stato versato in maniera superiore a quella poi liquidata dalla Corte stessa. Secondo la Cassazione, la domanda proposta per la ripetizione di quanto eccedente il pagamento dovuto ai creditori solidali gli arbitri costituisce domanda di ripetizione di quanto incassato in eccesso, che il giudice è tenuto ad esaminare, in quanto non si tratta di domanda nuova, dato che può essere proposta anche nel giudizio d’appello. Nel caso in esame, quindi, la richiesta di restituzione, essendo stata correttamente formulata, e visto anche che l’autoliquidazione dei compensi era sempre stata contestata, andava considerata come implicita ed è stata ingiustamente respinta. La Cassazione ha quindi accolto il ricorso, rinviando la causa alla Corte d’appello competente.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 1 febbraio – 27 marzo 2017, n. 7772 Presidente Ragonesi – Relatore Genovese Fatti di causa 1. La Corte d’Appello di Trento, decidendo sul gravame proposto dai signori P.T.C. , C. e A. nonché da T.B. , già parti in un giudizio arbitrale assieme alla Trento Costruzioni srl, ha parzialmente accolto l’impugnazione dell’ordinanza, ex art. 702-ter c.p.c., pronunciata dal Tribunale di Trento - che, in adesione al ricorso degli arbitri gli avvocati G.C. , S.P. e M.A. , introdotto per il pagamento dei compensi per l’attività svolta nel giudizio svoltosi avanti ad essi, aveva condannato in prime cure, in solido tra loro e unitamente alla società, gli appellanti, al pagamento della somma di Euro 100.000,00 così liquidato il compenso per l’attività prestata per il giudizio arbitrale, da ripartirsi nella misura di due terzi a carico della società e la restante parte a loro carico secondo il dictum arbitrale -, ed ha ridotto la somma complessivamente dovuta agli arbitri nella misura di Euro 82.632,50, ferme le percentuali di ripartizione già fissate a carico degli obbligati, dando un nuovo regolamento alle spese dei due gradi del giudizio. 2. La Corte territoriale, peraltro, con la stessa pronuncia, ha respinto la domanda degli appellanti volta alla restituzione della maggior somma già versata da loro stessi agli arbitri in corrispondenza della quota di un terzo rispetto alla prima condanna che era stata di Euro 100.000,00 e, perciò, pari a Euro 33.333,00, oltre accessori , in forza della provvisoria esecutività del titolo ex art. 702-ter c.p.c., in quanto essa era di entità inferiore al compenso liquidato agli arbitri, che va inteso nel suo complesso trattandosi di obbligazione solidale . 3. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i predetti P.T.C. , C. e A. nonché T.B. , con un unico mezzo, illustrato anche con memoria. 4. L’avv. M. ha resistito con controricorso. 5. La Trento costruzioni srl e gli avv. S.P. e G.C. , non hanno svolto difese. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo di ricorso vizio di motivazione su un punto decisivo per il giudizio motivazione contraddittoria, omessa ed insufficiente omessa valutazione di un documento ritualmente prodotto contabile di pagamento della società Trento costruzioni srl in favore degli arbitri, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. i ricorrenti premesso che la società Trento costruzioni srl, condebitrice, aveva depositato in atti doc. n. 1 della propria produzione in appello la copia del bonifico da essa effettuato, in forza del titolo di cui all’art. 702-ter c.p.c., per la complessiva somma di Euro 67.651,90 ossia 66.666,00, oltre accessori , in favore degli arbitri, sicché tale pagamento, unito a quello da loro eseguito pari ad Euro 33.333,00, oltre accessori , aveva permesso ai creditori di ottenere la somma totale di Euro 100.000,00, quindi maggiore di quella dovuta a seguito della sentenza della Corte territoriale pari a Euro 82.632,50 -, concludevano per l’esistenza dell’errore del giudice distrettuale nella parte in cui non aveva accolto la domanda di ripetizione dell’indebito, con ciò dimostrando di non aver esaminato il documento il predetto doc. n. 1 della produzione in appello della società Trento costruzioni, che non ha svolto difese in questa se , di cui pure allegava copia al ricorso per cassazione. 2. Il resistente ha eccepito l’inammissibilità dell’impugnazione per aver i ricorrenti denunciato non già un vizio motivazionale ma uno di tipo revocatorio, lamentando il mancato rilievo di un documento in atti attestante il pagamento di una cifra maggiore di quella dovuta. 3. Ma l’eccezione di parte controricorrente non ha pregio in quanto la sentenza impugnata ha respinto il gravame, in parte qua, con una ben diversa, seppur sintetica, motivazione ossia, facendo valere non già il mancato adempimento dell’obbligazione da parte dei coobbligati ma la non eccedenza del pagamento parziale, eseguito da alcuni condebitori solidali gli odierni ricorrenti , rispetto all’importo complessivo dovuto anche a seguito della riduzione di esso, così come dettato proprio in sede di giudizio di appello ed alla pacifica natura solidale dell’obbligazione delle parti di un giudizio arbitrale verso gli arbitri cfr. Sez. 1, Sentenza n. 13174 del 1999 . 4. Tuttavia, nella specie, il dictum arbitrale aveva frazionato il debito verso gli arbitri in due segmenti uno di due terzi, posto a carico della società Trento Costruzioni srl uno di un terzo, posto a carico solidale degli odierni ricorrenti. 4.1. E tale frazionamento dell’obbligazione originaria, non solo non è stata messa in discussione dalle parti nel presente giudizio, ma da esse è stata accettata con la ripartizione dettata dagli arbitri nella loro pronuncia. 4.2. Sicché può dirsi che alla originaria obbligazione solidale delle parti del giudizio arbitrale per il compenso degli arbitri, la ripartizione in due obbligazioni parziarie, l’una di due terzi, a carico della società, ed una di un terzo, a carico dei privati, in solido tra di loro, sia stato il frutto del loro dictum, accettato dalle parti che vi hanno prestato adempimento spontaneo, quello della società forzato, quello degli altri condebitori che, tuttavia, in questa sede non contestano il frazionamento in due quote disuguali ma solo l’ammontare della liquidazione . 4.3. Infatti, è insegnamento di questa Corte quello secondo cui, in tema di obbligazione per il pagamento del compenso arbitrale, l’autoliquidazione degli onorari da parte degli arbitri è fonte di obbligazione nella sola ipotesi in cui essa sia accettate da entrambe le parti compromettenti Sez. 1, Sentenza n. 4743 del 2003 così perfezionandosi il regolamento contrattuale Sez. 1, Sentenza n. 3945 del 1999 Sez. 1, Sentenza n. 7601 del 2001 tra le parti. 4.4. Nella specie, l’accettazione del regolamento ha riguardato esclusivamente il frazionamento dell’obbligazione originaria, non la sua quantificazione, atteso che questa ha formato oggetto di ricorso al giudice, sviluppatosi un due gradi di merito, con la formazione del giudicato in ordine all’entità del compenso. 4.5. Infatti, può affermarsi il seguente principio di diritto in tema di obbligazione per il pagamento del compenso arbitrale, l’autoliquidazione degli onorari da parte degli arbitri, che è fonte di obbligazione nella sola ipotesi in cui essa sia accettate da entrambe le parti, può dar luogo anche ad obbligazioni parziarie ove i debitori abbiano accettato anche per facta concludentia la divisione dell’obbligazione originaria in due o più obbligazioni di diversa entità, ciascuna posta a carico delle parti di quel giudizio, corrispondenti a diverse frazioni aritmetiche del tutto, ove le stesse si siano limitate a contestare il solo ammontare complessivo del credito degli arbitri, davanti ai giudici dello Stato, riconoscendo sia la sussistenza dell’obbligazione di pagamento sia la sua misura frazionaria. 5. Una volta chiarito che l’obbligazione delle odierne parti ricorrenti riguardava solo un terzo dell’intero debito verso gli arbitri e che questo è stato definito, in appello, in una misura inferiore a quella stabilita dal primo giudice già corrisposta, la domanda proposta dagli stessi, nel contraddittorio con tutti gli altri condebitrice e creditori , per la ripetizione di quanto eccedente il pagamento dovuto ai creditori solidali gli arbitri , costituisce domanda di ripetizione del sovrappiù verso i creditori che abbiano incassato in eccesso, e che il giudice è tenuto ad esaminare e correttamente interpretare in quanto non si tratta di domanda nuova Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16632 del 2002 e Sez. 3, Ordinanza n. 23260 del 2009 , atteso che la domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado o del decreto ingiuntivo può essere proposta nel giudizio d’appello, senza che ciò implichi violazione del divieto di domande nuove, posto dall’art. 345 del codice di rito Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5787 del 2005 . 5.1. Una tale domanda Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 23260 del 2009 , ad es., nel giudizio introdotto con opposizione a decreto ingiuntivo, deve ritenersi persino implicitamente contenuta nell’istanza di revoca del decreto che ne faccia l’opponente, sicché la richiesta di ripetizione delle somme versate, in forza della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto, non è qualificabile come domanda nuova, ed è conseguenza di tali principi, così che il giudice ha il dovere di esaminarla e verificarne la fondatezza, alla luce di tutta la documentazione versata in atti, costituendo un corollario funzionale all’efficienza del nuovo processo civile ed alla postulazione normativa della provvisoria esecutività della sentenza di condanna resa in prime cure art. 282 c.p.c. ed alle conseguenti previsioni in ordine ai rimedi giustiziali contro di essa artt. 283, 351 c.p.c., ecc. . 5.2. Al punto che Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6457 del 2015 , se la restituzione di quanto pagato in esecuzione di una sentenza provvisoriamente esecutiva può chiedersi, per la prima volta, con lo stesso atto di appello avverso quest’ultima, anche in sede di precisazione delle conclusioni, non potendo tale domanda considerarsi nuova e, quindi, preclusa, il giudice del gravame che ometta di pronunciarsi sulla stessa incorre nella violazione di cui all’art. 112 cod. proc. civ. . 5.3. Nel caso di specie, pertanto, la richiesta di restituzione del pagamento eccedente il dovuto, andava considerata come implicita nella stessa richiesta di riduzione del quantum liquidato dal primo giudice. In ogni caso, essa è stata correttamente formulata in sede di appello ed ingiustamente respinta. 5.5. Così, all’esito del giudizio di appello sulla domanda principale avente ad oggetto la riduzione del quantum liquidato dal primo giudice, ritenuto eccessivo , una volta accolta la domanda e, preso atto che il pagamento di quanto richiesto con la detta ordinanza parzialmente riformata era avvenuto secondo le proporzioni di 1/3 a cura degli odierni ricorrenti e di 2/3 a cura della società Trento costruzioni, l’obbligo restitutorio a carico degli arbitri, per l’illegittima locupletazione calcolabile facendo la differenza tra quanto dovuto e quanto pagato in forza del primo titolo, successivamente ridottosi, in forza del secondo , ha fatto nascere una obbligazione solidale passiva che tale si presume, ai sensi dell’art. 1294 c.c. a carico degli arbitri e in favore dei due gruppi di creditori, ciascuno di essi avente diritto in proporzione - a ripetere quanto pagato in eccesso sul dovuto. 6. La Corte territoriale, per decidere in ordine al merito della richiesta, avrebbe dovuto esaminare i documenti allegati da ciascuna parte ciò che non ha fatto, così incorrendo nell’errore del loro omesso esame, denunciato dagli odierni ricorrenti, dovendosi escludere che tale esame sia stato compiuto perdendo di vista uno o più documenti comprovanti l’integrale pagamento dell’obbligazione solidale originaria, alla luce del principio di acquisizione documentale quand’anche l’atto sia contenuto nel fascicolo di altra parte Cass. Sez. U, Sentenza n. 28498 del 2005 e così verificare l’estinzione delle obbligazioni parziarie nate da quella solidale passiva delle parti verso gli arbitri, rilevando - in conseguenza della indebita locupletazione di essi - la nascita di una consequenziale obbligazione solidale passiva degli arbitri versi i vari debitori che avevano già estinto il loro debito ed anzi pagato in eccesso, rispetto all’importo dovuto ed accertato in sede di appello, così nascendo due o più obbligazioni parziarie restitutorie il cui accertamento era stato tempestivamente richiesto dagli odierni ricorrenti al giudice del gravame. 7. La sentenza deve essere, pertanto, cassata con rinvio, alla Corte a quo, che deciderà, in diversa composizione, anche per le spese di questa fase, in ossequio agli enunciati principi di diritto. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, alla Corte di appello di Trento, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese di questa fase.