Nonostante la firma illeggibile del giudice, la sentenza è salva

Fintantoché esiste un elemento di collegamento tra i segni grafici costituenti la sottoscrizione e l’indicazione nominativa del giudice sottoscrivente, la sentenza non è nulla.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5772/17 depositata il 7 marzo. Il caso. Un soggetto proponeva ricorso in Cassazione avverso un’ordinanza emessa dalla Corte d’appello di Lecce, lamentandone la nullità o l’inesistenza giuridica, in quanto recava la firma illeggibile del Presidente Estensore, essendo priva di indicazioni da cui potesse ricavarsi l’identità di quest’ultimo. Uno scarabocchio” di firma. Secondo la Corte di Cassazione non costituisce motivo di nullità della sentenza la sottoscrizione illeggibile del giudice, a meno che essa non consista in un segno informe privo di qualsiasi identità . In questo caso si tratterebbe di vera e propria mancanza di sottoscrizione. M la non decifrabilità del segno grafico non può inficiare la presunzione di identità esistente tra colui che l’ha tracciato il sottoscrivente e la persona del giudice che è indicato in sentenza. Unica condizione da rispettare, però, è che fra il segno e l’indicazione nominativa del giudice contenuta nell’atto sussistano adeguati elementi di collegamento . Nel caso di specie la firma è illeggibile ma non priva di identità grafologica, constando in un’apparente sequenza di nome e cognome. Pertanto il ricorso va respinto.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, sentenza 5 dicembre 2016 – 7 marzo 2017, n. 5772 Presidente Petitti – Relatore Manna In fatto e in diritto I. - Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380-bis e 375 c.p.c. 1. - M.G. propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza ex art. 348-ter c.p.c. emessa dalla Corte d’appello di Lecce il 26.1.2015, assumendone la nullità ex artt. 132 e 161 c.p c. o l’inesistenza giuridica, in quanto recante in calce s’a sottoscrizione illeggibile del presidente estensore, priva di indicazioni da cui ricavare l’identità di tale soggetto. 1.1. - Intimati M.M.C. e Gi. e P.M. , solo quest’ultima resiste con controricorso. 2. - Il ricorso è ammissibile, perché denuncia un vizio proprio dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 348-ter c.p. c. cfr. Cass. S. U. n. 1914/.16 ma il motivo non ha alcun pregio. 2.1. - Premesso che non costituisce motivo di nullità della sentenza l’illeggibilità della firma dei giudice, a meno che essa non consista in un segno informe priva di qualsiasi identità, al punto da risolversi in una vera e propria mancanza di sottoscrizione Cass. n. 2040/78 , va ulteriormente osservato che in tema di sottoscrizione della sentenza da parte del giudice, la presunzione di identità tra l’autore del segno grafico indistinguibile, utilizzato per siglare e firmare il provvedimento, e sa persona del giudice indicato in sentenza non è inficiata dalla mera deduzione dell’assoluta indecifrabilità del segno, qualora fra questo e l’indicazione nominativa del giudice contenuta nell’atto sussistano adeguati elementi di collegamento nella fattispecie, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso avverso la sentenza della corte d’appello che aveva ritenuto non revocabile in dubbio la sussistenza del detto collegamento, essendo certa l’identità personale del giudice - unico - che aveva pronunciato la decisione, per essere le sue generalità chiaramente specificate nell’intestazione della sentenza Cass. n. 11471/03 . Nella specie a la sottoscrizione è illeggibile ma non priva d’identità grafologica, constando in un’apparente sequenza di nome e cognome b l’ordinanza impugnata è stata pronunciata a scioglimento di riserva formulata in udienza, e poiché deve presumersi che il collegio che ha emesso tale provvedimento corrisponda a quello innanzi al quale è stata tenuta l’udienza stessa, il ricorrente avrebbe dovuto dedurre e dimostrare la totale incompatibilità tra la sottoscrizione del verbale d’udienza e quella dell’ordinanza impugnata. 3. - Pertanto, si propone la decisione del ricorso con le forme camerali, nei sensi di cui sopra, in base all’art. 375, n. 5 c.p.c. . II. - La Corte condivide la relazione, in ordine alla quale la memoria di parse ricorrente non apporta elementi di novità, ribadendo le medesime affermazioni di diritto contenute nel ricorso e già confutate dalla relazione. III. - Pertanto, il ricorso va respinto. IV. - Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico della parte ricorrente. Non ricorrono le condizioni per l’applicazione dell’art. 95 c.p.c V. - Ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, sussistono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, a carico del ricorrente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese, che liquida in Euro 1.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parse ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13.