La persona offesa non ha diritto all'equo indennizzo prima della costituzione di parte civile: se vuole far prima agisca in sede civile!

La persona offesa che attende gli sviluppi del procedimento penale per poi, in ipotesi, costituirsi parte civile e chiedere il risarcimento del danno non può poi lamentarsi in sede di legge Pinto per ottenere l'indennizzo per la durata eccessiva del processo penale.

Con la sentenza n. 178 del 5 gennaio 2017 la Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione chiarisce che la persona offesa che attende gli sviluppi del procedimento penale per poi, in ipotesi, costituirsi parte civile e chiedere il risarcimento del danno non può poi lamentarsi in sede di legge Pinto per ottenere l'indennizzo per la durata eccessiva del processo penale. La fattispecie. Nel caso di specie era accaduto che il ricorrente avesse presentato una denuncia querela nel 2007 in esito al quale era stato adottato un provvedimento di archiviazione avverso al quale aveva proposto ricorso per cassazione deciso nel marzo 2011. Sulla base di quei fatti il ricorrente agiva per ottenere l'equa riparazione, ma la Corte di appello di Campobasso aveva rigettato la domanda perché la persona offesa dal reato può essere considerata parte, ai fini della equa riparazione, solo dopo la costituzione di parte civile nel procedimento penale, che, nella specie, non era avvenuta . Persona offesa non è parte. Per la Suprema Corte occorre dare continuità al principio di diritto secondo il quale per la persona offesa dal reato in quanto tale e per il querelante, che non si siano costituiti parte civile, il procedimento penale non può essere definito come una propria causa . Ne deriva che agli stessi non può essere direttamente e personalmente riconosciuto il diritto alla ragionevole durata del processo di cui all'art. 6, par. 1. della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ai fini dell'equa riparazione prevista dalla citata legge n. 89/2001 . In altri e più chiari termini, la persona offesa avrà diritto all'equa riparazione soltanto quando si sarà costituita parte civile e solo per il periodo successivo a quel momento senza che possa darsi alcun rilievo al fatto che la persona offesa dal reato abbia, comunque dovuto attendere lo sviluppo del procedimento per potersi costituire parte civile . L'approvazione del d.lgs. n. 212/2015. Se questo è il principio consolidato in materia, la Suprema Corte – e qui risiede la ragione di interesse della sentenza – si preoccupa di verificare se lo stesso rimane ancora valido a seguito dell'approvazione del d.lgs. 212/20015 con il quale è stata data attuazione alla direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012. Ed infatti, secondo la Corte, sebbene la direttiva e poi il legislatore italiano abbia no rafforzato la posizione della vittima da reato, anche in vista dell'esigenza di tutela di soggetti aventi difficoltà di comprensione della lingua italiana e pur avendo individuato specificamente una serie di elementi che debbano essere comunicati ovvero costituire oggetto di informazioni per la persona offesa non incide sulla conclusione circa l'impossibilità di attribuire la qualifica di parte del processo penale alla persona offesa prima della sua costituzione come parte civile . Del resto, osserva il giudice di legittimità – che ha pure ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale prospettata - il procedimento penale diventa la causa propria anche della persona offesa solo dal momento in cui la stessa faccia valere in sede penale il diritto al risarcimento dei danni subiti per effetto della commissione del reato oggetto di denuncia e se vuol fare prima la persona offesa potrà liberamente decidere di svincolarsi dalle sorti del procedimento penale, per autonomamente promuovere domanda risarcitoria in sede civile . Qualche dubbio Da ultimo resta da dire che la pronuncia della Cassazione nella misura in cui conferma il principio di diritto nonostante il maggior ruolo della persona offesa proveniente dalle indicazioni europee lascia qualche dubbio almeno in alcune ipotesi. Ed infatti, da un lato, non vi è dubbio che il quadro normativo è correttamente ricostruito anche nella parte in cui afferma che la persona offesa può agire in sede civile svincolandosi dal procedimento penale. Dall'altro lato, tuttavia, in alcuni casi questo, in pratica, non trova riscontro effettivo quantomeno in tutte quelle ipotesi in cui per la persona offesa è necessario l'intervento dello Stato al fine di individuare l'autore del reato ovvero quando è necessario l'intervento pubblico per acquisire informazioni e prove da utilizzare in sede civile e in assenza delle quali l'azione risarcitoria sarebbe destinata all'insuccesso se non addirittura alla non proposizione . In tal senso mi sembra che si possa argomentare il principio ricavabile in via generale dalla sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo il 29 gennaio 2013 nel causa Lombardo contro Italia dove, seppure ad altri fini ma in realtà non troppo lontani ha affermato che lo Stato ha anche obblighi positivi per consentire la tutela dei diritti, ivi compreso quello di azione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 5 ottobre 2016 – 5 gennaio 2017, n. 178 Presidente/Relatore Petitti Fatto e diritto Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5 ottobre 2016 dal Presidente relatore Dott. S.P. udito l'Avvocato Ritenuto che, con ricorso depositato il 7 ottobre 2011 presso la Corte d'appello di Canpobasso, D.L. chiedeva la condanna del Ministero della giustizia in relazione alla irragionevole durata di un procedimento scaturito da una sua denuncia querela del 5 maggio 2007, in ordine alla quale era stato adottato provvedimento di archiviazione in data 18 ottobre 2007, avverso il quale egli aveva proposto ricorso per cassazione depositato presso la cancelleria del GIP in data 11 dicembre 2007, deciso dalla Corte di cassazione con sentenza depositata il 3 marzo 2011 che la Corte adita rigettava la domanda sul rilievo che la persona offesa dal reato può essere considerata parte, ai fini della equa riparazione, solo dopo la costituzione di parte civile nel procedimento penale, che, nella specie, non era avvenuta che avverso questo decreto il ricorrente ha proposto ricorso affidato a tre motivi che il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso. Considerato che con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di numerose norme, dolendosi del fatto che, nonostante il procedimento avesse avuto una durata certamente irragionevole, la Corte d'appello ha rigettato la domanda, per di più condannandolo alle spese che con il secondo motivo il ricorrente deduce nullità del provvedimento e del procedimento, per nullità delle comunicazioni e notificazioni della decisione e del relativo procedimento con il terzo motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio, atteso che la legge non prevede che per la proposizione della opposizione all'archiviazione da parte della persona offesa debba essere previamente svolta la costituzione di parte civile e che, comunque, la detta costituzione non è consentita nella fase delle indagini preliminari che il ricorso è infondato, dovendosi confermare il pacifico orientamento di questa Corte che esclude la possibilità di indennizzare in favore della persona offesa il periodo di tempo trascorso prima della sua costituzione come parte civile che, in tal senso, si è affermato che, in tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, per la persona offesa dal reato in quanto tale e per il querelante, che non si siano costituiti parte civile, il procedimento penale non può essere definito come una propria causa ad essi, pertanto, non può essere direttamente e personalmente riconosciuto il diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ai fini dell'equa riparazione prevista dalla citata legge n. 89 del 2001 che da ciò consegue che la persona offesa dal reato, che al fine di conseguire il risarcimento del danno si sia costituita parte civile nel processo penale instaurato dal P.M. contro l'autore di detto reato, ha diritto alla ragionevole durata del processo, con le connesse conseguenze indennitarie in caso di violazione, soltanto a partire dal momento della costituzione di parte civile, senza che possa darsi alcun rilievo al fatto che essa persona offesa dal reato abbia, comunque, dovuto attendere lo sviluppo del procedimento per potersi costituire parte civile Cass. n. 8291 del 2016 Cass. n. 19032 del 2005, Cass. n. 10303 del 2010 Cass. n. 5294 del 2012 Cass. n. 2842/2013 nello stesso senso, v. anche Cass. n. 13889 del 2003 Cass. n. 11480 del 2003 Cass. n. 4138 del 2003 Cass. n. 1405 del 2003 Cass. n. 996 del 2003 che, in particolare, il Collegio ritiene di dover dare continuità alle ampie e condivisibili argomentazioni di cui alla sentenza n. 14925 del 2015, la quale ha precisato che l'esercizio dell'azione civile in sede penale, realizzato mediante lo strumento della costituzione di parte civile, benché consenta di far confluire detta azione nell'ambito del processo penale, tuttavia non implica l'incorporazione della causa civile in quella penale, e non travolge la differenza che esiste tra le parti dell'una e dell'altra causa che, a tal fine, deve ricordarsi che la causa penale concerne unicamente la pretesa punitiva dello Stato nei confronti di chi si assume essere autore di un fatto costituente reato, mentre quella civile ha per oggetto il diritto del privato al risarcimento del danno eventualmente cagionatogli da quel medesimo reato, con la conseguenza che, la persona offesa dal reato, quand'anche abbia svolto il ruolo di querelante, non può dirsi parte del giudizio penale e che, viceversa, tale qualità compete al danneggiato che si sia costituito parte civile in relazione alla causa per risarcimento di danni che in tal modo si è innestata nel processo penale che, se è vero che diverse disposizioni del codice di procedura penale attribuiscono alla persona offesa anche un ruolo attivo nel processo penale, al punto che si è parlato di un'accusa privata, in posizione accessoria a quella pubblica e, per certi aspetti, con funzioni anche di sollecitazione e controllo sull'operato di quest'ultima, tuttavia resta il fatto che il processo penale, di per sé, non è volto ad accertare nessuna posizione di diritto o di soggezione facente capo alla persona offesa, la quale non può dunque essere assimilata ad una delle parti private di cui si occupano altre disposizioni del medesimo codice, posto che, il processo penale è pur sempre finalizzato unicamente all'esercizio dell'azione penale, di cui è solo titolare il pubblico ministero, onde i poteri e le facoltà che sono autonomamente riconosciuti alla persona offesa sin dalle indagini preliminari si risolvono in una mera anticipazione di quanto ad essa spetterà una volta che, ricorrendone le condizioni, abbia eventualmente formalizzato la costituzione di parte civile che tali considerazioni non appaiono destinate a subire modificazioni a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 212 del 2015, con il quale è stata data attuazione alla direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, che, pur avendo rafforzato la posizione della vittima del reato, anche in vista dell'esigenza di tutela di soggetti aventi difficoltà di comprensione della lingua italiana cfr. l'introduzione dell'art. 143-bis c.p.p. e pur avendo individuato specificamente una serie di elementi che debbano essere comunicati ovvero costituire oggetto di informazioni per la persona offesa cfr. i novellati artt. 90-bis e 90-ter c.p.p. non incide sulla conclusione circa l'impossibilità di attribuire la qualifica di parte del processo penale alla persona offesa prima della sua costituzione come parte civile che deve altresì escludersi la violazione delle previsioni della CEDU, in quanto per la persona offesa, il procedimento penale non può essere definito come una propria causa , in relazione alla quale le possa perciò essere direttamente e personalmente riconosciuto il diritto alla ragionevole durata di tale causa, non avendo un autonomo diritto a che il reo sia sottoposto a pena e neppure, dunque, alla tempestività della decisione di assoluzione o di condanna dell'imputato in sé sola considerata che tali considerazioni escludono altresì la sussistenza del sospetto di illegittimità costituzionale per disparità di trattamento - ben potendo la persona offesa liberamente decidere di svincolarsi dalle sorti del procedimento penale, per autonomamente promuovere domanda risarcitoria in sede civile che non è possibile ravvisare una violazione dell'art. 24 Cost., non risultando in alcun modo compresso il diritto della persona offesa di costituirsi, quando possibile, parte civile nel procedimento penale scaturito dalla sua iniziativa né è ravvisabile una violazione dell'art. 6, par. 1, della Convenzione europea, poiché, come chiarito, il procedimento penale diventa la causa propria anche della persona offesa solo dal momento in cui la stessa faccia valere in sede penale il diritto al risarcimento dei danni subiti per effetto della commissione del reato oggetto della denuncia che alla luce delle considerazioni sin qui svolte deve altresì escludersi che possano desumersi argomenti idonei a fondare la pretesa del ricorrente dalla decisione della Corte costituzionale n. 184 del 2015, con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale, per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6 CEDU, dell'art. 2, comma 2-bis, della legge 24 marzo 2001, n. 89, nella parte in cui prevede che - al fine del riconoscimento dell'equa riparazione per violazione del termine ragionevole del procedimento - il processo penale si considera iniziato con l'assunzione della qualità di imputato, ovvero quando l'indagato ha avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari, anziché quando l'indagato, in seguito a un atto dell'autorità giudiziaria, ha avuto conoscenza del procedimento a suo carico che, invero, la non omogeneità nel processo penale delle posizioni dell'imputato e della persona offesa dal reato consente di ritenere non irragionevole che la rilevanza della durata del procedimento penale tra l'imputato e la persona offesa sia diversificata tanto più che, come visto, l'indagato o l'imputato si trovano in una posizione di soggezione rispetto all'esercizio dell'azione penale, nel mentre la persona offesa è libera di attivare le proprie tutele a prescindere dall'esercizio dell'azione penale nell'ambito proprio della giurisdizione civile che, dunque, poiché la decisione impugnata è del tutto conforme ai principi espressi da questa Corte, il ricorso deve essere rigettato che, in applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo che risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al T.U. approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in curo 800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.