L’accertamento dei requisiti per la concessione del provvedimento di estradizione

Nel procedimento di estradizione passiva non eccede i limiti esterni della giurisdizione la riserva del Consiglio di Stato in favore dei giudici di merito sulla verificazione dei requisiti posti per la concessione del provvedimento dalle norme nazionali e internazionali.

Con la sentenza n. 25628/16, depositata il 14 dicembre, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ribadiscono alcuni importanti principi in tema di estradizione. La vicenda. Nel caso qui analizzato la richiesta di estradizione proveniva dall’Inghilterra, ove il Magistrates’ Court di Bow Street aveva emesso mandato di arresto nei confronti di un cittadino italiano. Questi era stato giudicato colpevole dei reati di associazione a delinquere, truffa a mezzo di strumenti informatici e telematici, riciclaggio di denaro di provenienza illecita e ottenimento di beni con l’inganno. A seguito della condanna del sopra citato, il Ministero della Giustizia aveva emesso ordinanza di estradizione. Il condannato, quindi, aveva impugnato detta ordinanza in sede amministrativa presso il TAR territorialmente competente che – investito della questione – aveva rigettato il ricorso. Impugnando detta sentenza amministrativa, il condannato aveva fatto ricorso al Consiglio di Stato, che nuovamente aveva rigettato il ricorso. All’esito del predetto procedimento, quindi, il soggetto aveva fatto ricorso presso la Cassazione a Sezioni Unite, così come previsto dall’art. 111, comma 8, Cost., che recita contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione . I c.d. limiti esterni di giurisdizione e il diniego di giustizia. Il ricorso introduttivo veniva elaborato sulla base di un unico motivo, ossia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 7 del Codice del Processo Amministrativo D.Lgs. 2.7.2010 n. 104 , nonché degli artt. 103 e 113 Cost. per diniego di giurisdizione in ordine alla omessa valutazione della natura politica dell’estradizione da parte del Ministro della Giustizia [] . Affermava, infatti, il condannato come la propria estradizione avesse motivi politici, la cui prova, benché fosse stata asseritamente dallo stesso fornita, non era stata valutata dai Giudici e come l’ordinanza di estradizione del Ministro violasse l’art. 26, comma 2, Cost. che esplicitamente vieta l’estradizione per motivi politici. L’interpretazione del Consiglio di Stato. Al fine di illustrare i motivi del rigetto del ricorso operato dalla Cassazione occorre ricostruire l’approccio interpretativo ed il ragionamento dalla stessa seguito nella decisione in commento. In prima battuta la Corte analzzava la procedura con la quale viene convalidata una richiesta di estradizione. Detta procedura, ai sensi degli artt. 708 e seguenti c.p.p. consta di una fase preliminare in sede giudiziaria ordinaria alla quale segue necessariamente una analisi operata dal Ministero della Giustizia, che valuta se concedere il provvedimento o negarlo. La Corte inoltre rilevava, in prima battuta, come nella propria decisione il Consiglio di Stato avesse reputato rimesse al giudice ordinario le valutazioni in merito alla sussistenza o meno delle condizioni per l’irrogazione della estradizione. In secondo luogo veniva comunque dato atto che il predetto organo giurisdizionale aveva nella sentenza impugnato valutato gli elementi posti dal condannato a sostegno della propria tesi riguardante il carattere politico della propria richiesta di estradizione e, all’esito di detta analisi, avesse ritenuto inattendibili dette prove, peraltro fondate sulla produzione di documenti anonimi e in altri casi addirittura contraffatti e falsi . Da tale analisi si poteva quindi escludere la natura politica dei reati, così come valutata già dal giudice di merito nella fase procedurale cosiddetta del segmento giurisdizionale della procedura di estradizione. Continuava la propria analisi la Suprema Corte affermando come, ai sensi degli artt. 708 e 709 c.p.p., all’esito della fase svolta presso l’autorità giudiziaria ordinaria, spettasse al Ministero la responsabilità di emettere l’ordinanza che dispone l’estradizione, ferma restando la totale indipendenza della propria valutazione, non essendo vincolante per il Ministro una eventuale valutazione positiva dei requisiti operata dal giudice di merito. Dava poi atto la Cassazione di una non univocità della dottrina in merito all’estensione del potere di valutazione del Ministro, essendo per alcuni autonomo e incondizionato e per altra parte limitato a quegli aspetti non già oggetto di valutazione in punto di diritto operata dalle corti di merito. Secondo la Cassazione, che richiama la sentenza n. 223/96 della Corte Costituzionale, il provvedimento con il quale il Ministro – all’esito dello speciale e delicato procedimento con il quale viene deliberata una estradizione di un cittadino – è considerato come atto di alta amministrazione e come tale caratterizzato da un ampio grado di discrezionalità. Detta discrezionalità, però, non è assoluta, dovendo il Ministro comunque prendere atto delle valutazioni delle Corti di merito in punto sussistenza dei requisiti per l’estradizione ed esaminare le condizioni soggettive dell’interessato come lo stato di salute e la quantità e qualità della irroganda pena, anche a fronte di quanto già eventualmente scontato in Italia. Il sistema normativo nazionale e internazionale. La Corte di Cassazione afferma quindi, alla luce di quanto sin ora descritto, come la valutazione operata dal Consiglio di Stato fosse stata corretta, avendo lo stesso analizzato le prove prodotte dal condannato in merito al presunto carattere politico della propria estradizione. Concludeva quindi la Corte affermando che l’affermazione del Consiglio di Stato sulla riserva all’autorità giudiziaria ordinaria della verifica della sussistenza e della validità delle condizioni che le norme italiane e internazionali pongono per la concessione dell’estradizione non eccedeva i limiti esterni della giurisdizione, né integrava un diniego di giustizia. Alla luce di quanto affermato, quindi, il condannato non sarebbe stato legittimato a promuovere il ricorso ex art. 111, comma 8, Cost., impugnando in sede di Cassazione a Sezioni Unite la sentenza del Consiglio di Stato. Inoltre, conclude la Suprema Corte, non costituiva violazione dei limiti di giurisdizione nemmeno la parte di sentenza nella quale il Consiglio di Stato aveva escluso la natura politica dei reati ascritti al condannato, operando una concreta valutazione degli elementi probatori offerti dallo stesso. Si può concludere che non si può invocare una violazione dei limiti esterni della giurisdizione da parte del giudice amministrativo – e ricorrere ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost. per motivi inerenti alla giurisdizione - quando questo compie una interpretazione della legge per errata o discutibile , dato che questo tipo di attività ermeneutica deve essere considerata propria degli organi giudiziari. Per citare la Cassazione si può infine affermare che la violazione dei limiti esterni della giurisdizione o il diniego di giustizia non sono mai configurabili invero quando il rigetto della domanda discenda dalla valutazione nel merito dell’insussistenza dei fatti costitutivi del diritto vantato, poiché il merito riguarda i limiti interni della giurisdizione, perfino ove la decisione dipenda da pretesi errores in procedendo o in iudicando .

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 15 novembre – 14 dicembre 2016, n. 25628 Presidente Rordorf – Relatore De Stefano Svolgimento del processo 1.- Il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello di I.R. avverso la sentenza n. 4194/07, resa nei confronti anche del Ministero della Giustizia e del Governo del Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord , con cui il TAR Campania - Napoli aveva respinto la sua impugnativa del decreto di estradizione verso il Regno Unito, emanato dal Ministro il 22.3.07 ed a seguito di provvedimento della corte di appello di Napoli confermato dalla corte di cassazione con sentenza n. 7704/07, su mandato di arresto della Magistrates’ Court di Bow Street in Londra del 29 aprile e del 17 dicembre 2004, per i reati di associazione a delinquere, truffa a mezzo di strumenti informatici e telematici, riciclaggio di denaro di provenienza illecita ed ottenimento di beni con l’inganno. 2.- Per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato, pubblicata il 3.7,14 col n. 3345, ricorre l’Imperiale, con unico motivo poi ulteriormente illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. degli intimati, si costituisce il solo Ministero della Giustizia, instando per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso e solo con memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. invocando la giurisprudenza, soprattutto dello stesso Consiglio di Stato, sui poteri del Ministro nel procedimento di estradizione passiva. Motivi della decisione 3.- Il ricorrente articola un unitario motivo, rubricato violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 del Codice del processo Amministrativo d.lgs. 2.7.2010, n. 104 , nonché degli artt. 103 e 113 Cost. per diniego di giurisdizione in ordine alla omessa valutazione della natura politica dell’estradizione da parte del Ministro della Giustizia in sede di concessione del relativo decreto con conseguente lesione del principio di effettività della tutela giurisdizionale artt. 1 e 2 c.p.a. anche con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. nonché dell’art. 26 Cost. secondo cui l’estradizione non è ammessa per fini politici e sottolinea, tra l’altro, come ulteriori fatti rilevanti ai fini della qualificazione dei reati come di natura politica, già sottoposti al giudice penale, erano stati da questi riservati alla cognizione del giudice amministrativo, comunque insistendo per la configurabilità di un potere pieno in capo al Ministro di una rivalutazione della fattispecie nella fase a lui devoluta e per la conseguente necessità di un sindacato pieno ed adeguato da parte del giudice amministrativo sul relativo provvedimento. 4.- È noto che, ai sensi degli artt. 708 ss. cod. proc. pen., esaurito il procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, che integra una fase propriamente giurisdizionale, spetta al Ministro concedere o meno l’estradizione per l’estero. 5.- Va rilevato che, nella specie, il Consiglio di Stato ha - da un lato e in astratto, reputato rimesso al giudice ordinario, riconoscendo l’intangibilità delle valutazioni nel successivo segmento procedimentale in sede amministrativa dinanzi al Ministro, la cognizione delle condizioni di concedibilità - o meno - dell’estradizione in caso di natura politica dei reati cui si riferisce - dall’altro lato e in concreto, in ogni caso valutato gli elementi addotti dall’odierno ricorrente, statuendo nel merito, che non era stata fornita nessuna prova attendibile sull’asserita natura politica dei reati ascritti, avendo anzi egli prodotto a fondamento della propria posizione documenti anonimi e in altri casi addirittura contraffatti o falsi , tanto da qualificare l’allora appellante non solo inottemperante al suo onere probatorio sul punto, ma pure propenso a mistificare la realtà, comunque essendo stata in concreto esclusa la natura politica dei reati dall’autorità giudiziaria nel segmento giurisdizionale della procedura di estradizione in rito, che nessuna violazione del suo diritto di difesa vi era stata, sotto alcuno dei profili prospettati. 6.- La prima affermazione corrisponde ad un’interpretazione del sistema normativo vigente, la quale in ogni caso costituisce legittima estrinsecazione della potestà giurisdizionale del giudice amministrativo, in ordine alla ricostruzione del sistema normativo invocato, in termini che non comportano né il diniego di tutela giurisdizionale, né la violazione dei limiti esterni della giurisdizione. 7.- Quanto a queste due fattispecie, infatti - da un lato, il diniego di giurisdizione, idoneo a fondare il ricorso previsto dall’ultimo comma dell’art. 111 Cost., è solo quello basato sull’affermazione dell’impossibilità di conoscere la domanda per estraneità alle attribuzioni giurisdizionali da parte dello stesso giudice cui quella è sottoposta e non quello che si prospetta se il diniego di tutela dipenda dall’interpretazione delle norme invocate da ultimo Cass. Sez. Un., 31 marzo 2016, n. 11380 Cass. Sez. Un., 15 marzo 2016, n. 5077 Cass. Sez. Un. 22 dicembre 2015, n. 25772 Cass. Sez. Un., 8 febbraio 2013, n. 3037 - dall’altro lato, l’interpretazione della legge o perfino la sua disapplicazione rappresenta il proprium della funzione giurisdizionale e non può, dunque, integrare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione da parte del giudice amministrativo, così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111, comma 8, Cost., ammesso nei soli casi di un radicale stravolgimento delle norme o dell’applicazione di una norma creata ad hoc dal giudice speciale da ultimo, v. Cass. Sez. Un., 31 maggio 2016, n. 11380, ove ulteriori riferimenti Cass. Sez. Un., 6 maggio 2016, n. 9145 Cass. Sez. Un., 5 settembre 2013, n. 20360 . 8.- Va riconosciuto che, sull’ambito dei poteri spettanti al Ministro di giustizia ai sensi dell’art. 708 e dell’art. 709 cod. proc. pen. vale a dire una volta conclusa la fase dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria , fermo restando che la decisione favorevole all’estradizione da parte della corte di appello non è per lui vincolante, la dottrina non è univoca per alcuni avendo il Ministro il potere di riesaminare in autonomia la sussistenza di tutte le condizioni necessarie ai fini dell’estradizione, ma per altri incontrando quegli un limite nell’intangibilità delle statuizioni in punto di diritto pronunziate dall’autorità giudiziaria ordinaria tanto che dovrebbe restare esclusa l’ammissibilità di una nuova valutazione ministeriale, che si sovrapponga a quella del giudice ordinario, con un effetto distorto di sottrazione dell’esame anche di elementi nuovi e sopravvenuti al giudice funzionalmente competente, o, quanto meno, con il rischio di una impropria duplicazione di valutazioni. 9.- Ora, se la Corte costituzionale ricorda come il potere del Ministro sia soggetto al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, da compiersi sul piano delle norme che regolano l’azione amministrativa ed anche con riguardo alla legalità costituzionale sent. 27 giugno 1996, n. 223, con l’effetto però di abilitare l’estradando a censurare dinanzi al giudice amministrativo la lesione di un diritto soggettivo, purché costituzionalmente garantito ed all’implicita condizione che, impugnando l’atto amministrativo, si deduca l’illegittimità costituzionale della legge che costituisce il presupposto dell’azione amministrativa , lo stesso Consiglio di Stato ha puntualizzato, in altra occasione richiamata, ma con lettura significativamente opposta, da entrambe le parti sent. 1576 del 2013 , che il provvedimento con il quale il Ministro, all’esito dello speciale procedimento previsto dal codice di procedura penale, concede l’estradizione è un provvedimento di alta amministrazione, come tale caratterizzato da ampia discrezionalità, ma non sottratto al sindacato giurisdizionale sulle valutazioni compiute dall’autorità politico-amministrativa in ordine alla concessione in concreto dell’estradizione, per la quale l’autorità giudiziaria abbia già valutato la sussistenza dei relativi presupposti. 10.- La medesima pronuncia del Consiglio di Stato si premura di puntualizzare però che, in estrinsecazione di tale potestà, allora il Ministro deve valutare, nell’esercizio di una ampia discrezionalità e peraltro doverosamente preso atto delle determinazioni dell’autorità giudiziaria in ordine alle condizioni legittimanti l’estradizione, quali siano in concreto le condizioni dell’estradando, anche in considerazione del reato per il quale l’estradizione viene richiesta, le condizioni soggettive dell’interessato in particolare, il suo stato di salute , la quantità e qualità della pena che, in caso di condanna, verrebbe concretamente erogata, a fronte di quanto già scontato in Italia dall’interessato. 11.- Ad ogni modo, la ricostruzione operata dal medesimo Consiglio di Stato con la qui gravata sentenza, della riserva all’autorità giudiziaria ordinaria della disamina dei presupposti addotti come ostativi in punto di diritto alla concessione dell’estradizione, affermata a chiare lettere da questa Corte, corrisponde effettivamente ad un approdo ermeneutico preesistente e congruente con il sistema. 12.- Sotto il primo profilo preesistenza della conclusione alla qui gravata sentenza , la giurisprudenza amministrativa si era espressa in modo chiaro in tali sensi il Consiglio di Stato aveva già limitato il suo scrutinio alle sole posizioni di interesse legittimo ed ai profili estrinseci di abnormità, illogicità ed erroneità dei presupposti Cons. Stato, sez. IV, 15 giugno 2007, n. 3286 seguita ancora di recente da TAR Lazio 17 maggio 2016, n. 5807 e nettamente aveva affermato un principio di analogo contenuto già questa Corte di cassazione Cass pen., sez. VI, 12-30 ottobre 1995, n. 3597, Venezia . 13.- Sotto il secondo profilo congruenza della conclusione con il sistema , il principio si desume dalla corretta ricostruzione sistematica del procedimento di estradizione passiva, disegnato - allo stato - sì dagli artt. 697 ss. cod. proc. pen. in due distinti fasi o subprocedimenti, che devono però ritenersi tra loro integrati in ragione delle rispettive funzioni e non possono quindi dirsi reciprocamente fungibili. 14.- La specialità delle competenze e delle attribuzioni, in uno alla necessaria razionalità della ripartizione procedimentale, deve portare ad escludere allora che i tipici accertamenti sulla natura politica o meno del reato o comunque sui presupposti di fatto e di diritto condizionanti l’estradizione, devoluti pacificamente alla cognizione della corte di appello e quindi all’autorità giudiziaria ordinaria, possano essere successivamente riconsiderati dal Ministro. 15.- A quest’ultimo, fermi gli accertamenti dell’autorità giudiziaria ordinaria, spetta tutt’altra valutazione, di opportunità dal punto di vista dell’alta amministrazione e di legalità, anche costituzionale, sotto ogni ulteriore profilo non valutato dall’autorità giudiziaria perché ad essa istituzionalmente precluso, quali appunto le conseguenze dell’estradizione in relazione alle condizioni concrete dell’estradando, come pure l’opportunità politica in senso lato o la gestione dei rapporti internazionali salvi i casi disciplinati espressamente da trattati o convenzioni . E, secondo avvertita dottrina, solo quando l’estradizione si svolgesse al di fuori dei precedenti accordi intervenuti mediante le Convenzioni, al Ministro spetterebbe anche una valutazione di tipo più propriamente politico-giuridico in particolare potendo il Ministro operare una valutazione in termini di omogeneità dei reciproci ordinamenti, affidabilità dello Stato richiedente e opportunità di instaurare rapporti di collaborazione a livello internazionale. 16.- La sopravvenuta deduzione di fatti peraltro pregressi - che nella specie l’odierno ricorrente sommariamente deduce essere stati valutati dalla corte di appello, adita con una inammissibile domanda di revisione in sede estradizionale, come di allarmante novità e da quella rimessi alla valutazione del giudice amministrativo - non può sovvertire tale ripartizione di competenze, dovendo pur sempre riferirsi le valutazioni di legittimità al momento in cui il procedimento ad esse devoluto si è svolto e concluso, nel rispetto delle regole che lo disciplinavano. 17.- Pertanto, non eccede affatto i limiti esterni della giurisdizione, né integra un diniego di giustizia, così non legittimando l’odierno ricorrente a ricorrere a queste Sezioni Unite ai sensi del comma ottavo dell’art. 111 Cost., l’affermazione del Consiglio di Stato sulla riserva all’autorità giudiziaria ordinaria della verifica della sussistenza e della validità delle condizioni che le norme statali ed internazionali pongono perché l’estradizione sia concessa, restando quella preclusa al Ministro, cui è invece riservata ogni diversa valutazione della conseguente attività amministrativa di consegna dell’estradando, soprattutto sulle conseguenze derivanti a questi in relazione alle sue condizioni concrete o sui rapporti internazionali per considerazioni di opportunità in senso lato politica. 18.- Ma non eccede i limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo, né integra un diniego di giustizia, neppure la sua valutazione sul merito del materiale probatorio offerto od invocato sulla natura politica dei reati ascritti e col risultato di escludere appunto in concreto la prospettata natura politica , comunque apprezzato e ritenuto di nessuna attendibilità in base ad una serie di riscontri, come pure sull’insussistenza di violazioni in punto di rito in danno dell’odierno ricorrente la violazione dei limiti esterni della giurisdizione o il diniego di giustizia non sono mai configurabili invero quando il rigetto della domanda discenda dalla valutazione nel merito dell’insussistenza dei fatti costitutivi del diritto vantato, poiché il merito riguarda i limiti interni della giurisdizione, perfino ove la decisione dipenda da pretesi errores in procedendo o in iudicando tra le innumerevoli e per limitarsi ad alcune tra le più recenti Cass. Sez. Un., 29 luglio 2016, n. 15818 Cass. Sez. Un. 31 maggio 2016, n. 11376 . 19.- Va quindi senz’altro dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con condanna del soccombente ricorrente alle spese del giudizio di legittimità ed applicazione - mancando ogni discrezionalità al riguardo Cass. 14 marzo 2014, n. 5955 - dell’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, co. 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione nel caso di reiezione integrale, in rito o nel merito, di questa. P.Q.M. La Corte, pronunciando a sezioni unite 1 dichiara inammissibile il ricorso 2 condanna I.R. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del Ministero della Giustizia, in pers. del Ministro p.t., liquidate in Euro 7.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito, nonché oltre maggiorazione per spese generali, CPA ed IVA nella misura di legge 3 ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/02, come modif. dalla I. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.