Termini, modalità e limiti dell'impugnazione contro l’ordinanza che dichiara inammissibile l’appello

L'ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., che dichiara inammissibile l'appello, qualora risulti ricorribile per cassazione, va impugnata con lo stesso ricorso e nei medesimi termini previsti contro la sentenza di primo grado.

Quelli che seguono sono i punti fermi, di diritto processuale, che delimitano la questio iuris trattata dagli Ermellini nella pronuncia n. 25456/16, depositata il 12 dicembre, afferente ai termini, alle modalità ed alle esclusioni di impugnazione avverso le ordinanze di inammissibilità dell’appello ex art. 348- bis c.p.c Quadro normativo . Si parta, pertanto, dalla circostanza che il nostro legislatore con la l. n. 134/2012 ha introdotto, tra le diverse modifiche al codice di procedura civile, anche gli artt. 348- bis e 348- ter c.p.c. i quali sanciscono che il giudice dell’appello possa dichiarare inammissibile, con ordinanza pronunciata alla prima udienza di trattazione, l’impugnazione nelle ipotesi in cui essa non abbia ragionevole probabilità di essere accolta. Sempre il nostro codice di procedura civile, all'art. 348- ter , sancisce che l'esercizio del diritto di impugnazione, sebbene con riferimento alla sentenza di primo grado, debba avvenire nel termine di 60 giorni dalla comunicazione. e giurisprudenziale. In materia, proprio di recente, una pronuncia degli Ermellini a Sezioni Unite e, precisamente, la n. 1914/16 , ha ammesso una limitata impugnabilità delle ordinanze ex art 348- bis c.p.c. ed ha affermato che il termine indicato nell’art. 348- ter c.p.c. riguarda anche l'eventuale impugnazione della ordinanza. L'argomento viene portato nuovamente all'attenzione della Suprema Corte per prospettare la opposta e non condivisa tesi secondo cui, una volta ammessa dalla Cassazione a Sezioni Unite la impugnabilità della ordinanza ex art 348- bis c.p.c., sebbene entro certi limiti, il termine decorrente dalla comunicazione del suo deposito, in quanto previsto per l'impugnazione della sentenza di primo grado, non potrebbe essere esteso all'impugnazione dell'ordinanza. Tanto in quanto si tratterebbe di una norma avente natura eccezionale e, pertanto, insuscettibile di estensione in via analogica. Ma il Collegio, con quest’ultima sentenza, dissente da tale orientamento e rileva che le ragioni, per le quali il termine per l'eventuale impugnazione dell'ordinanza è quello indicato per l'impugnazione della sentenza di primo grado, sono state ampiamente esposte nell'ordinanza n. 18827/15. Bene motivava, infatti, il provvedimento de quo allorché osservava che, sebbene l'art 348- ter , comma 3, c.p.c., disciplini espressamente solo il caso di ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado, ragioni di evidente coerenza logica impongono di considerare esercitabile l'ipotetico diritto di impugnazione con lo stesso ricorso, in considerazione della evidente pregiudizialità dell'esame dell'impugnazione dell'ordinanza rispetto a quella della sentenza. Così come e soprattutto l'unitarietà del termine di impugnazione. Sotto tale secondo profilo, infatti - ragiona la Suprema Corte - se si ammettesse il decorso di distinti termini per l'impugnazione della sentenza di primo grado e per l'ordinanza, nel caso di comunicazione di quest'ultima, si avrebbe che il decorso di tale termine comporterebbe il consolidamento della sentenza di primo grado con la cosa giudicata e, quindi, non si comprenderebbe come potrebbe restare possibile l'esercizio del diritto di impugnare l'ordinanza sebbene nel termine di cui all'art. 327 oppure in quello decorso eventualmente dalla notificazione. Le ipotesi in cui è possibile la impugnazione di tali ordinanze derivano – sostanzialmente - dall'aver il giudice di appello pronunciato l'ordinanza fuori dei casi nei quali è consentita e senza l'osservanza delle regole per la sua pronuncia oppure, ancora, in carenza assoluta di motivazione. Il carattere di eccezionalità di tale impugnazione, pertanto, viene salvato dal fatto che la stessa si possa effettuare solo con riferimento ad ipotesi patologiche del rito da parte del giudice di appello e che, dunque, il legislatore non aveva bisogno di prevederle e neppure di prevedere espressamente la operatività del regime dei termini di impugnazione emergente dal comma 3 dell'art. 348- ter c.p.c. anche per l'ipotesi in cui, verificatasi la patologia della pronuncia dell'ordinanza, essa dovesse impugnarsi. È evidente che la previsione speciale del termine di impugnazione dalla comunicazione per l'ipotesi 'normale' si dovesse estendere alle ipotesi patologiche. Termini di impugnazione. È per tutti questi motivi che la Suprema Corte ribadisce il seguente principio di diritto secondo cui, qualora risulti ricorribile per cassazione l'ordinanza ex art 348- bis c.p.c., dichiarativa della inammissibilità dell'appello, la stessa va impugnata con lo stesso ricorso proposto avverso la sentenza di primo grado e nei termini prescritti dall'art 348- ter , comma 3, c.p.c. e, dunque, ove l'ordinanza è stata comunicata, nel termine di 60 giorni dalla comunicazione stessa. Ciò sia perché è logicamente prioritario l'esame dell'impugnazione della ordinanza rispetto alla sentenza, sia perché, applicando alla ordinanza il termine lungo dalla comunicazione ex art. 327 c.p.c., il decorso di distinti termini per impugnare i due provvedimenti comporterebbe il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, rendendo incomprensibile la ricorribilità avverso l'ordinanza.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 15 settembre – 12 dicembre 2016, n. 25456 Presidente Amendola – Relatore Frasca Fatto e diritto Ritenuto quanto segue § 1. D.P.M. ha proposto ricorso per cassazione contro il Ministero della Difesa, il Comando Regione Militare Nord-Base Logistico Amministrativa []. La s.a.s. delta service di M.G. & amp C. e la Allianz s.p.a., sia avverso l’ordinanza del 7 maggio 2014, con cui, ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., la Corte di Appello di Venezia ha dichiarato inammissibile l’appello da essa ricorrente proposto avverso la sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Venezia il 10 settembre 2013 che aveva rigettato la domanda da essa ricorrente proposta contro il Ministero ed il Comando, all’esito del giudizio in cui erano stati chiamati in causa gli altri intimati. § 2. Hanno resistito con separati controricorsi la Allianz da un lato e il Ministero e l’indicato Comando dall’altro. § 3. Prestandosi il ricorso ad essere trattato in camera di consiglio, secondo il rito dell’art. 380-bis c.p.c., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma e ne è stata fatta notificazione agli avvocati delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. § 4. La ricorrente e l’Allianz hanno depositato memoria. Considerato quanto segue § 1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380-bis si sono svolte le seguenti considerazioni § 3. Il ricorso, affidato a sette motivi, il primo dei quali rivolto contro l’ordinanza ex art. 348-ter c.p.c., può essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., in quanto appare manifestamente inammissibile. Queste le ragioni. § 4. Il ricorso è stato notificato nel settembre del 2014, ma la stessa ricorrente ha allegato che l’ordinanza della Corte lagunare venne comunicata il 21 maggio 2014 ed ha anzi documentato la comunicazione. Ne segue che il ricorso avrebbe dovuto notificarsi entro i sessanta giorni da detta comunicazione e, dunque, entro il 21 luglio 2014, atteso che il 20 cadeva di domenica. Infatti, l’art. 348-ter c.p.c., sebbene con riferimento all’impugnazione della sentenza di primo grado, prevede che l’esercizio del diritto di impugnazione avvenga in primo luogo nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione. Cass. sez. un. n. 1914 del 2016 ha ammesso una limitata impugnabilità dell’ordinanza di cui all’art. 348-bis c.p.c. ed è stato già affermato che quel termine riguarda anche l’eventuale impugnazione di detta ordinanza Cass. ord. n. 18827 del 2015 . Ne segue l’evidenza della tardiva proposizione del ricorso. Per completezza si rileva che l’unico motivo rivolto contro l’ordinanza non è in alcun modo riconducibile ai limiti ristretti in cui Cass. sez. un. n. 1914 del 2016 ha ammesso il ricorso ai sensi dell’art. 111, settimo comma, della Costituzione, sicché tale ulteriore ragione di inammissibilità si cumula con l’altra. . § 2. In via preliminare si rileva che per errore materiale nella relazione non si era dato atto dell’esistenza del controricorso delle amministrazioni intimate. § 3. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle quali la memoria muove rilievi che non sono in alcun modo idonei a superarle. La memoria discute del rilievo di inammissibilità per tardività con riferimento all’impugnazione dell’ordinanza peraltro pretendendo di riferire ad essa anche il quinto motivo, che concerne invece la sentenza di primo grado e prospetta la tesi che, una volta ammessa da Cass. sez. un. n. 1914 del 2016 l’impugnabilità dell’ordinanza ai sensi dell’art. 348-bis, sebbene entro certi limiti, il termine decorrente dalla comunicazione del suo deposito, in quanto previsto per l’impugnazione della sentenza di primo grado, non potrebbe essere esteso all’impugnazione dell’ordinanza e ciò perché si tratterebbe di norma di natura eccezionale, insuscettibile di estensione in via analogica. Il Collegio rileva che le ragioni per le quali il termine per l’eventuale impugnazione dell’ordinanza è quello indicato per l’impugnazione della sentenza di primo grado sono state ampiamente esposte dall’ord. n. 18827 del 2015 e parte ricorrente si astiene dal considerarle e criticarle, tant’è che riferisce un brano motivazionale che risulta da una contrazione di quanto effettivamente argomentato. In detta ordinanza si era così motivato ancorché l’art. 348-ter, terzo comma, c.p.c. disciplini espressamente solo il caso di ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado, ragioni di evidente coerenza logica imporrebbero non solo di considerare esercitabile l’ipotetico diritto di impugnazione con lo stesso ricorso, attesa l’evidente pregiudizialità dell’esame dell’impugnazione dell’ordinanza rispetto a quella della sentenza in ragione del fatto che l’accoglimento della prima comporterebbe la restituzione delle parti nella posizione che avevano nel giudizio di appello, sebbene sul punto oggetto dell’ipotetica censura contro l’ordinanza , ma anche e soprattutto l’unitarietà del termine di impugnazione sotto tale secondo profilo, infatti, se si ammettesse il decorso di distinti termini per l’impugnazione della sentenza di primo grado e per l’ordinanza nel caso di comunicazione di quest’ultima, si avrebbe che il decorso di tale termine comporterebbe il consolidamento della sentenza di primo grado con la cosa giudicata e, quindi, non si comprenderebbe come potrebbe restare possibile l’esercizio del diritto di impugnare l’ordinanza sebbene nel termine di cui all’art. 327 o in quello decorso eventualmente dalla notificazione . . A questi rilievi la memoria non muove obiezioni, preferendo la prospettazione dell’eccezionalità della previsione. Eccezionalità che, del resto, supponendo che il legislatore avesse inteso, come hanno opinato le Sezioni Unite, non escludere nei casi da esse indicati l’impugnabilità dell’ordinanza, non sussisterebbe. Invero, posto che questi casi derivano sostanzialmente dall’avere il giudice d’appello pronunciato l’ordinanza fuori dai casi nei quali è consentita e senza l’osservanza delle regole per la sua pronuncia o in carenza assoluta di motivazione, è palese che, rispondendo tali ipotesi ad applicazioni patologiche del rito da parte del giudice d’appello, il legislatore non aveva bisogno di prevederle e, dunque, nemmeno di prevedere espressamente l’operatività del regime dei termini di impugnazione emergente dal terzo comma dell’art. 348-ter c.p.c. anche per l’ipotesi in cui, verificatasi la patologia nella pronuncia dell’ordinanza, essa dovesse impugnarsi. È palese che la previsione speciale del termine di impugnazione dalla comunicazione per l’ipotesi normale si dovesse estendere all’ipotesi patologica. Si aggiunga ancora che, dovendosi supporre che il legislatore avesse contemplato la patologia nei termini indicati dalle Sezioni Unite, se, per il caso di sua verificazione avesse voluto l’operatività in relazione alla sua deduzione con l’impugnazione dell’ordinanza, avrebbe certamente previsto un meccanismo di coordinamento fra i termini così diversamente disciplinati. Il suo silenzio non può che implicare la voluntas di estensione del regime del terzo comma citato all’ipotesi di impugnazione dell’ordinanza. Il carattere assorbente del rilievo di tardività, che qui si ribadisce, esime dal considerare le argomentazioni con cui la memoria discute l’affermazione della relazione che il primo motivo rivolto contro l’ordinanza esorbita da quanto indicato come deducibile dalle Sezioni Unite. § 4. Il ricorso è, dunque, dichiarato inammissibile sulla base del seguente principio di diritto Qualora risulti ricorribile per cassazione, l’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., dichiarativa dell’inammissibilità dell’appello, va impugnata con lo stesso ricorso proposto avverso la sentenza di primo grado e nei termini prescritti dall’art. 348-ter, comma 3, c.p.c. e, dunque, ove l’ordinanza sia stata comunicata nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione, sia perché è logicamente prioritario l’esame dell’impugnazione dell’ordinanza rispetto alla sentenza, sia perché, applicando all’ordinanza il termine lungo dalla comunicazione ex art. 327 c.p.c., il decorso di distinti termini per impugnare i due provvedimenti comporterebbe il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, rendendo incomprensibile la ricorribilità avverso l’ordinanza. . Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del d.m. n. 55 del 2014. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione alle parti resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate a favore delle amministrazioni resistenti in Euro tremilacinquecento, oltre spese prenotate a debito, e a favore dell’Allianz in Euro quattromila, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.