Frazionamento del credito: quando si incorre in abuso del processo?

Non incorre in abuso del processo l’attore che, a tutela di un credito dovuto in forza di un unico rapporto obbligatorio, agisca prima con ricorso monitorio per la somma provata documentalmente e poi con il procedimento ordinario di cognizione per la parte residua, dovendosi riconoscere il diritto del creditore ad una tutela accelerata mediante decreto ingiuntivo per la parte di credito liquida che sia provata con documentazione sottoscritta dal debitore.

Così ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 22574/16 del 7 novembre. Il caso. La Regione Calabria veniva intimata dal Tribunale al pagamento in favore dei ricorrenti del compenso fisso pattuito con apposita convenzione del 2002, con cui i ricorrenti avevano assunto l’incarico professionale di verificare la situazione debitoria di alcuni enti regionali e di addivenire a definizioni transattive delle pendenze debitorie. I professionisti ricorrevano nuovamente, denunciando che il compenso fisso pattuito per uno di loro era comunque illegittimo perché contrario ai minimi previsti dalle tariffe degli avvocati e chiedevano altresì il pagamento del compenso aggiuntivo e premiale pattuito. Nella resistenza della Regione Calabria, il Tribunale, con ordinanza ex art. 702- bis c.p.c., dichiarava improponibile la domanda dei ricorrenti, per l’infrazionabilità in sede processuale del credito derivante dal medesimo titolo e condannava gli attori al pagamento delle spese di giudizio. Giudizio che venne poi parzialmente riformato dalla Corte d’appello, che compensava le spese del giudizio di primo grado, ma confermava la statuizione di improcedibilità della domanda. Gli attori si rivolgevano dunque alla Corte di Cassazione. Con il primo motivo deducono che la Corte d’appello ha erroneamente considerato improponibile la domanda, non considerando che solo l’importo del credito per il compenso fisso era certo, liquido ed esigibile fin dall’inizio sì da legittimare la richiesta di decreto ingiuntivo, mentre il compenso variabile non era tale e richiedeva la verifica delle transazioni conseguite dai professionisti pertanto, risultava del tutto logico e secondo buona fede che gli attori avessero scelto di ricorrere alla procedura del ricorso per decreto ingiuntivo solo per una parte del credito e che, per l’altra, avessero agito con il rito ordinario . Il frazionamento del credito. Le SS.UU. con la sentenza n. 23726/07 hanno affermato che non è consentito al creditore di una somma di denaro dovuta in forza di un unico rapporto, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, in quanto tale scissione si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e di buona fede, sia con il principio costituzionale del giusto processo”. Aggiungono poi che, in materia di obbligazioni pecuniarie nascendo da un unico rapporto di lavoro, costituisce principio generale la regola secondo cui la singola obbligazione va adempiuta nella sua interezza e in un’unica soluzione. Dunque, ove la prestazione abbia ad oggetto la restituzione di somme indebitamente ricevute sussiste l’obbligo di restituire l’indebito in un’unica soluzione. Va però precisato che tale principio non va inteso in senso assoluto, dovendosi escludere il divieto di parcellizzazione della domanda giudiziale qualora solo per una parte dell’unico credito vi siano le condizioni di legge richieste per agire con lo strumento giudiziario più spedito azionato per primo. Quando si ha abuso del processo? La Suprema Corte afferma dunque i seguenti principi di diritto in tema di abuso del processo. Si ha abuso del processo quando la parte pone in essere un atto processuale non per perseguire lo scopo proprio dell’atto, ma – sviando l’atto dalla sua causa tipica – per perseguire uno scopo diverso da quello per cui l’atto è funzionalmente previsto dalla legge, dando logo – per questo – ad una violazione dei doveri di correttezza e di buona fede, che è tenuta ad osservare . Non incorre in abuso del processo l’attore che, a tutela di un credito dovuto in forza di un unico rapporto obbligatorio, agisca prima con ricorso monitorio per la somma provata documentalmente e poi con il procedimento ordinario di cognizione per la parte residua, dovendosi riconoscere il diritto del creditore ad una tutela accelerata mediante decreto ingiuntivo per la parte di credito liquida che sia provata con documentazione sottoscritta dal debitore .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 14 settembre – 7 novembre 2016, n. 22574 Presidente Bucciante – Relatore Lombardo Ritenuto in fatto 1. - D.L. , V.G. , A.M. e L.C. , a seguito apposito ricorso, ottennero dal Tribunale di Catanzaro decreto ingiuntivo nei confronti della Regione Calabria, col quale fu intimato a quest’ultima il pagamento in favore dei predetti del compenso fisso pattuito con apposita convenzione del 2002, con la quale i ricorrenti avevano assunto l’incarico professionale di verificare la situazione debitoria di alcuni enti regionali e di addivenire a definizioni transattive delle pendenze debitorie. Nel ricorso per decreto ingiuntivo, i professionisti evidenziarono che il compenso fisso pattuito per il L. era comunque illegittimo in quanto contrario ai minimi previsti dalle tariffe degli avvocati e dichiaravano altresì di non rinunziare al compenso aggiuntivo e premiale pattuito, riservandosi di agire per esso separatamente. L’opposizione al decreto proposta dalla Regione Calabria fu rigettata con sentenza del Tribunale di Catanzaro del 9.2.2010 e tale pronuncia passò in cosa giudicata. Successivamente, i predetti si determinarono a convenire in giudizio la Regione Calabria, chiedendo il pagamento del compenso aggiuntivo e premiale, nonché il L. anche il pagamento dell’ulteriore compenso fisso dovutogli - a suo dire - in ragione della nullità della clausola della convenzione che stabiliva tale compenso in misura inferiore al minimo previsto dalla tariffa professionale. Nella resistenza della Regione Calabria, il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza ex art. 702 bis cod. proc. civ., dichiarò improponibile la domanda dei ricorrenti, sul presupposto della infrazionabilità in sede processuale del credito derivante dal medesimo titolo e condannò gli attori al pagamento delle spese del giudizio. 2. - Sul gravame proposto da D.L. , V.G. , A.M. e L.C. , la Corte di Appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza di primo grado, compensò le spese del primo grado del giudizio, ma confermò la statuizione di improcedibilità della domanda, disponendo la compensazione delle spese del giudizio di appello. 3. - Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono D.L. , V.G. , A.M. e L.C. sulla base di cinque motivi. La Regione Calabria, ritualmente intimata, non ha svolto attività difensiva. l ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ Considerato in diritto 1. - Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione di legge, nonché l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, per avere la Corte di Appello considerato improponibile la domanda, formulata separatamente per il compenso variabile. A dire dei ricorrenti, la Corte territoriale non avrebbe considerato che solo l’importo del credito per il compenso fisso era certo, liquido ed esigibile fin dall’inizio sì da legittimare la richiesta di decreto ingiuntivo, mentre il compenso variabile non era tale e richiedeva la verifica delle transazioni conseguite dai professionisti pertanto, risultava del tutto logico e secondo buona fede che gli attori avessero scelto di ricorrere alla procedura del ricorso per decreto ingiuntivo solo per una parte del credito e che, per l’altra, avessero agito con il rito ordinario a maggior ragione, risultava necessario ricorre al rito ordinario per chiedere la declaratoria di nullità del compenso fisso pattuito per violazione dei minimi tariffari previsti per gli avvocati. La censura è fondata. Com’è noto, modificando il precedente orientamento della giurisprudenza di questa Corte, le Sezioni unite, a partire dall’anno 2007, hanno statuito che non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo , traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale Sez. U, Sentenza n. 23726 del 15/11/2007, Rv. 599316 ed hanno precisato che, in materia di obbligazioni pecuniarie nascenti da un unico rapporto di lavoro, costituisce principio generale la regola secondo la quale la singola obbligazione va adempiuta nella sua interezza e in un’unica soluzione, dovendosi escludere che la stessa possa, anche nell’eventuale fase giudiziaria, essere frazionata dal debitore o dal creditore. Ne consegue che, ove la prestazione abbia ad oggetto la restituzione di somme indebitamente ricevute e relative all’erogazione degli accessori dell’indennità di buonuscita, sussiste l’obbligo di restituire l’indebito attraverso il pagamento in un’unica soluzione, dovendosi escludere l’applicabilità, in via estensiva od analogica, della norma di cui all’art. 26 del d.P.R. n. 1032 del 1973, secondo la quale il recupero dell’indennità di buonuscita indebitamente corrisposta avviene mediante una pluralità di trattenute sul trattamento di quiescenza, attesa la natura speciale ed eccezionale di tale disposizione Sez. U, Sentenza n. 26961 del 22/12/2009, Rv. 611016 . Alla base di tali pronunce, vi è la valorizzazione della regola di correttezza e buona fede che traspare dagli inderogabili doveri di solidarietà , il cui adempimento è richiesto dall’art. 2 Cost. e del canone del giusto processo , di cui al novellato art. 111 Cost., che escludono - anche in funzione del principio della ragionevole durata del processo - la parcellizzazione giudiziale dell’adempimento del credito, per l’incidenza pregiudizievole, o comunque peggiorativa, che avrebbe sulla posizione del debitore sia sotto il profilo del prolungamento del vincolo coattivo cui quest’ultimo dovrebbe sottostare per liberarsi dell’obbligazione nella sua interezza, ove il credito sia nei suoi confronti azionato inizialmente solo pro quota con riserva di azione per il residuo, sia sotto il profilo dell’aggravio di spese e dell’onere di molteplici opposizioni per evitare la formazione di un giudicato pregiudizievole , cui il debitore dovrebbe sottostare, a fronte della moltiplicazione delle iniziative giudiziarie. Va tuttavia precisato che il richiamato principio giurisprudenziale - che il Collegio condivide - non deve essere inteso in senso assoluto, dovendo escludersi il divieto di parcellizzazione della domanda giudiziale allorquando solo per una parte dell’unico credito vi siano le condizioni richieste dalla legge per agire con lo strumento giudiziario più spedito azionato per primo. In questa prospettiva si è già posta questa Corte quando - in una fattispecie analoga alla presente - ha recentemente affermato che l’attore che, a tutela di un unico credito dovuto in forza di un unico rapporto obbligatorio, agisca con ricorso monitorio per la somma provata documentalmente e con il procedimento sommario di cognizione per la parte residua, non incorre in un abuso dello strumento processuale per il frazionamento del credito, in quanto tale comportamento non si pone in contrasto né con il principio di correttezza e buona fede, né con il principio del giusto processo, dovendosi riconoscere il diritto del creditore a una tutela accelerata mediante decreto ingiuntivo per i crediti provati con documentazione sottoscritta dal debitore Sez. 2, Sentenza n. 10177 del 18/05/2015, Rv. 635418 . Il Collegio ritiene di dover ribadire il principio di diritto appena richiamato. Invero, si ha abuso del processo quando vi è un uso improprio dello strumento processuale e - quindi - degli atti che costituiscono la serie procedimentale. L’abuso del processo consiste nello sviamento dalla causa tipica, dalla finalità propria, dell’atto processuale e si verifica quando la parte pone in essere un atto processuale non per perseguire lo scopo proprio dell’atto ossia quello per il quale l’atto è funzionalmente previsto dalla legge , ma per perseguire uno scopo - e quindi un interesse - estraneo allo scopo tipico dell’atto, dando luogo - per questo - ad una violazione dei doveri di correttezza e di buona fede, che è tenuta ad osservare. L’abuso del processo implica, perciò, un abuso delle posizioni giuridiche riconosciute alle parti e, quindi, dei poteri processuali ad esse attribuiti si ha abuso del processo quando le parti utilizzano i poteri processuali ad esse riconosciuti dalla legge per perseguire scopi e interessi diversi da quelli per i quali i poteri sono stati loro attribuiti, violando così i principi di correttezza e di buona fede. È questo il quadro nel quale le Sezioni unite hanno ritenuto che quando la parcellizzazione dell’azione giudiziale di adempimento del credito abbia una ingiustificata incidenza pregiudizievole sulla posizione del debitore - sia sotto il profilo del prolungamento del vincolo coattivo cui egli dovrebbe sottostare per liberarsi della obbligazione nella sua interezza, sia sotto il profilo dell’aggravio di spese e dell’onere di molteplici opposizioni cui lo stesso dovrebbe sottostare - essa si risolve in un abuso del processo. Diverso è il caso - quale è quello che i ricorrenti sottopongono al vaglio di questa Corte - in cui il creditore abbia inteso avvalersi del procedimento d’ingiunzione artt. 633 e segg. cod. proc. civ. per la parte di credito contraddistinta dai requisiti richiesti dalla legge in termini di prova scritta e di liquidità della somma pretesa e si sia riservato - contestualmente - di agire separatamente, col procedimento ordinario, per la parte del credito che abbisognava di essere accertato e liquidato. In questo caso, è evidente come non sia configurabile alcun abuso del processo, giacché è legittimo che il creditore utilizzi la via più breve il procedimento monitorio per riscuotere la parte del credito già liquida e si riservi di agire successivamente per l’accertamento e la liquidazione della parte variabile del suo preteso credito. Essendo diversa la natura delle pretese fatte valere nei separati procedimenti nell’uno un credito già liquido, nell’altro un credito da liquidare , non solo - diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di territoriale - non v’è pericolo di formazione di giudicati contraddittori, ma neppure è ipotizzabile un ingiusto aggravio per la posizione del debitore. Al contrario, sarebbe il creditore a subire un ingiusto pregiudizio ove gli venisse preclusa la possibilità di avvalersi del procedimento più spedito quello d’ingiunzione per la parte di credito già liquida ove, per ottenere un titolo esecutivo relativo a tale parte di credito, fosse costretto ad attendere i tempi più lunghi di un procedimento ordinario, sia pure sub specie di procedimento sommario di cognizione. La sentenza impugnata va pertanto cassata sul punto, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro, perché osservi i seguenti principi di diritto 1 Si ha abuso del processo quando la parte pone in essere un atto processuale non per perseguire lo scopo proprio dell’atto, ma -sviando l’atto dalla sua causa tipica - per perseguire uno scopo diverso da quello per cui l’atto è funzionalmente previsto dalla legge, dando luogo - per questo ad una violazione dei doveri di correttezza e di buona fede, che è tenuta ad osservare . 2 Non incorre in abuso del processo l’attore che, a tutela di un credito dovuto in forza di un unico rapporto obbligatorio, agisca prima con ricorso monitorio per la somma provata documentalmente e poi con il procedimento ordinario di cognizione per la parte residua, dovendosi riconoscere il diritto del creditore ad una tutela accelerata mediante decreto ingiuntivo per la parte di credito liquida che sia provata con documentazione sottoscritta dal debitore . Le altre censure rimangono assorbite. 2. - Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso dichiara assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro.