Il ricorso non sufficientemente documentato può essere integrato

In tema di istanza per equa riparazione per la durata irragionevole di un processo e quindi di esercizio del diritto di difesa, soltanto il ricorso deve essere, perentoriamente, depositato entro sei mesi gli altri atti e documenti, invece, possono essere presentati in qualunque momento utile, prima del decreto del Presidente della Corte o del consigliere designato ovvero secondo l’ulteriore termine di integrazione.

E’, quindi, illegittimo, e va pertanto riformato, il provvedimento di merito con cui, accertata la mancata produzione dei documenti necessari unitamente al ricorso ovvero entro sei mesi nonché in sede di opposizione, venga negato, di fatto, il risarcimento per la ritardata” conclusione del processo. Il principio si argomenta dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 22453/16, depositata il 4 novembre. Il caso. Un soggetto agiva in sede giudiziale civile ed il relativo processo si concludeva dopo oltre diciassette anni così, chiedeva, al Ministero della Giustizia, il pagamento di una somma a titolo di equo indennizzo. La domanda veniva, però, respinta, prima, dal consigliere designato e, poi, in sede di opposizione dal Collegio, in entrambi i casi per mancato deposito degli atti e documenti nello stesso termine di sei mesi previsto per il ricorso, e senza concedere un termine per relativa integrazione. Il risarcimento per lungo processo” tra ricorso e documentazione le attività principali ed accessorie”. In primis , vanno richiamati gli artt. 2, 3, 24, 97, 111 e 117 Cost., 125, 156, 384 e 640 c.p.c., 87 disp. att. c.p.c., 2712 e 2719 c.c., 2, 3, 4 e 5- ter l. n. 89/2001 nonché la l. n. 134/2012. All’uopo, necessita focalizzare sul concetto di illecito, responsabilità, procedimento, provvedimento, diritto. Prima facie , si potrebbe pensare ad una sorta di rilevanza, ex se ed omnibus , del termine perentorio previsto per il deposito degli atti processuali introduttivi. In realtà, sotto il profilo formale-procedurale, tre le osservazioni da effettuare. La prima sulla natura giuridica, monitoria, del procedimento. La seconda sulla esegesi della legge a riguardo, va sottolineato che più disposizioni omogenee”, rectius della medesima legge speciale, vanno interpretate in modo coordinato ma senza, necessariamente, integrarle tra loro fino a mischiarle”. La terza sul rapporto tra principio di necessità documentale” e principio forma-contenuto” sulla validità degli atti processuali. Sul punto, è da ricordare che l’inammissibilità è la conseguenza di una nullità insanabile o non più sanabile ovvero di una preclusione ex lege in mancanza di una sua previsione ad hoc , il ricorso è da intendersi valido e rinnovabile. Segnatamente, la produzione documentale assolve all’onere della prova del diritto azionato e non può assurge re ad attività di perfezionamento della costituzione in giudizio così, il giudice può invitare il ricorrente ad integrare il ricorso, a pena di rigetto. De iure condito , la perentorietà del termine per esercitare il diritto di difesa e, quindi, di presentare il ricorso, non riguarda quello per porre in essere ogni altra attività processuale e, quindi, per produrre documentazione soltanto la legge, infatti, può stabilire un determinato termine, la natura giuridica dello stesso e la sua applicabilità/estendibilità. Nella fattispecie, il termine di sei mesi vale esclusivamente per il ricorso e non anche per il relativo corredo documentale. Rebus sic stantibus , la mancata presentazione dei documenti non rileva in termini di omissione, a priori, iuris et de iure . Altresì, è indifferente, in quanto meramente ordinatorio, il termine ex lege di 30 giorni dal deposito del ricorso entro cui il magistrato provvede sulla domanda. Decisione lo ius ad causam comprende quello ad integrationem. In ambito di rapporti processuali” tra attore ed autorità giudiziaria e quindi tra privato e P.A., il mancato deposito di una copia autentica di tutti gli atti e verbali entro sei mesi dalla definizione del procedimento non determina contrariamente a quanto sostenuto da App. Messina decr. n. 327/14 , inammissibilità del ricorso stesso così, il privato può, dopo il rigetto della domanda per insufficiente documentazione, produrre gli atti ed i documenti in sede di opposizione. Ergo, il ricorso va accolto, con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 7 luglio – 4 novembre 2016, n. 22453 Presidente Petitti – Relatore Manna In fatto Con ricorso del 3.7.2013 B.G. adiva la Corte d’appello di Messina per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, per la durata irragionevole di una causa civile che egli aveva promosso innanzi alla Pretura di Lentini il 7.6.1993 e che era durata oltre 17 anni. Respinta la domanda con decreto da parte del consigliere designato, anche l’opposizione ex art. 5-ter legge n. 89/01 proposta dal B. era respinta dalla Corte messinese, in composizione collegiale. Rilevava detta Corte che, come ritenuto nel decreto opposto, l’art. 3, comma 3 legge n. 89/01 prescrive che unitamente al ricorso, da proporre nel termine di sei mesi dalla definizione del giudizio di riferimento, devono essere depositati in copia autentica tutti gli atti e i verbali relativi e che, non essendo stata depositata detta documentazione entro il suddetto termine di decadenza, il ricorso doveva essere dichiarato inammissibile. Osservava, inoltre, che non poteva essere concesso un termine per integrare la documentazione ai sensi dei primi due commi dell’art. 640 c.p.c., atteso il richiamo dell’art. 3. comma 4 detta legge e che detta documentazione non era stata depositata nemmeno contestualmente all’opposizione. Per la cassazione di tale decreto ricorre B.G. sulla base di due motivi, illustrati da memoria. Rinnovata la notifica del ricorso, siccome effettuata all’Avvocatura distrettuale, e non a quella generale, dello Stato, il Ministero della Giustizia ha proposto controricorso. Motivi della decisione 1. - Con i due motivi d’impugnazione, che il ricorrente unifica nell’esposizione, è dedotto il vizio d’insufficiente e contraddittoria motivazione, in punto di produzione dei documenti necessari, e la violazione degli artt. 3 e 4 legge n. 89/01, 156 e 640 c.p.c., 2712 e 2719 c.c., nonché la violazione del principio del giusto processo. È prospettata, altresì, una questione d’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3 legge c.d. Pinto, ove interpretato conformemente al decreto impugnato, per violazione dell’art. 3 Cost Deduce parte ricorrente che il decreto impugnato non ha considerato che nessuna nullità può essere dichiarata se non espressamente prevista dalla legge e che, semmai, l’art. 3, quarto comma legge Pinto, nel richiamare l’art. 640, primo comma c.p.c., in base al quale il giudice della fase monitoria può invitare la part,, a integrare la prova, depone implicitamente nel senso contrario all’inammissibilità della domanda non sufficientemente documentata. 2. - La censura di violazione di legge è fondata, nei termini che seguono. L’art. 3, terzo comma, legge n. 89/01, come modificato dal D.L. n. 83/12, convertito con modificazioni in legge n. 134/12, dispone che unitamente al ricorso deve essere depositata copia autentica della citazione, del ricorso, delle comparse e delle memorie relative al procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, dei verbali di causa e dei provvedimenti del giudice, incluso quello che ha definito il giudizio, ove questo si sia concluso con sentenza od ordinanza irrevocabili mentre l’art. 4 stabilisce che la domanda deve essere proposta, a pena di decadenza, entro J e i mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva. Le predette due disposizioni si coordinano agevolmente tra loro senza per questo integrarsi, come invece mostra di aver opinato la Corte territoriale. Quest’ultima ha ritenuto che la comminatoria di decadenza si riferisca al ricorso corredato da tutta la documentazione prescritta, e che, di riflesso, le produzioni di cui all’art. 3, terzo comma cit. condizionino l’attitudine del ricorso stesso a rendere concreta ed attuale la potestas iudicandi della Corte adita. Il che equivale ad affermare che il ricorso privo di uno o più degli atti o dei documenti da allegare in copia autentica sia invalido, e non rinnovabile una volta decorso il termine di proposizione di cui all’art. 4 stessa legge. Soluzione, quest’ultima, cui si oppongono ragioni di corretta esegesi normativa e di natura sistematica. 2.1. - Premesso che l’inammissibilità non è altro che la conseguenza di una nullità formale o extraformale insanabile o non più sanabile ovvero di una preclusione, va osservato, sotto il primo profilo, che l’art. 3 legge Pinto non contiene alcuna espressa menzione del fatto che la produzione degli atti e dei documenti sia condizione d’ammissibilità della domanda. Né ciò è ricavabile dall’avverbio unitamente , incipit del terzo comma dell’art. 3, affatto inidoneo di per sé solo a traslare la perentorietà del termine dell’art. 4 dal ricorso al relativo corredo documentale. La necessità di porre in essere un dato atto entro un termine perentorio, non significa che ogni altra attività processuale, ancorché connessa e coeva, debba compiersi sotto la medesima comminatoria. Non solo, ma il rinvio ai primi due commi dell’art. 640 c.p.c., contenuto nel quarto comma dell’art. 3, milita a favore della soluzione esattamente opposta. La tesi contraria sostenuta dalla Corte messinese appare viziata da una sostanziale petizione di principio nel senso che revoca in ipotesi la tesi che vorrebbe dimostrare , poiché di detta norma fornisce un’interpretazione deontica e servente rispetto a quella oggetto di argomentazione. Per contro, nulla predica che il potere del giudice di invitare il ricorrente a integrare i documenti prodotti si riferisca solo a quant’altro, in ipotesi, appaia utile a valutare la dedotta violazione del termine di durata ragionevole. Per effetto del richiamo anche al secondo comma dell’art. 640 c.p.c., l’inottemperanza all’invito del giudice importa il rigetto della domanda con decreto motivato. Conseguenza, quest’ultima, incompatibile con il testo del terzo comma del medesimo articolo, che chiaramente configura come necessari e sufficienti ai fini del procedere gli atti e i documenti di cui prescrive il deposito diversamente non se ne comprenderebbe l’elencazione . Non senza considerare che, così intesa, la seconda parte del quarto comma dell’art. 3 esprimerebbe un potere di ricerca officiosa della prova inconciliabile con la struttura monitoria del procedimento, nel quale la domanda più che essere decisa è integrata dal giudice ai fini della successiva provocatio ad opponendum . Tanto meno avrebbe rilievo, infine, considerare che, ai sensi della prima parte del quarto comma dell’art. 3 legge cit., il decreto motivato con il quale il presidente della corte d’appello, o il magistrato della stessa Corte a tal fine designato, provvede sulla domanda di equa riparazione, deve essere emesso entro trenta giorni dal deposito del ricorso. Si tratta di un termine ordinatorio perfettamente compatibile con quello di cui al primo comma dell’art. 640 c.p.c., la cui accidentale consumazione non è argomento logico per risolvere, in un senso piuttosto che in un altro, un quesito interpretative 11 carattere generale. 3.2. - Sotto il profilo sistematico deve rilevarsi che i requisiti di forma-contenuto che governano la validità degli atti processuali e la produzione dei relativi effetti in maniera non potenzialmente caduca, sono per definizione interni all’atto stesso, come si ricava dall’art. 156 c.p.c Con la conseguenza che essi non possono farsi dipendere da un’attività di produzione, la quale non soggiace a requisiti formali diversi dalla certificazione del suo compimento, ai sensi dell’art. 87 disp. att. c.p.c Se ne trae conferma dal fatto che l’art. 125 c.p.c., non casualmente richiamato, del resto, dal primo comma dell’art. 3 legge n. 89/01, nel disciplinare il contenuto e la sottoscrizione degli atti di parte non elenca tra i requisiti di validità le produzioni documentali, che per loro stessa natura riguardano la prova del diritto azionato, non la sua corretta ed efficiente postulazione mediante una domanda giudiziale dotata dei requisiti di ammissibilità. Né, infine, varrebbe ipotizzare il deposito degli atti e dei documenti di cui al terzo comma dell’art. 3 cit. come attività perfezionativa della costituzione in giudizio del ricorrente. Funzionale a delimitare in senso soggettivo l’ambito dei partecipanti alla causa, la costituzione in giudizio, quale dichiarazione formale di presenza nel processo al fine di acquisirne oneri e poteri, non è configurabile nell’ambito di un procedimento monitorio. Essendo quest’ultimo caratterizzato da un rapporto necessariamente e non solo eventualmente biunivoco, è insensato pensare alla posizione del ricorrente nei termini relazionali propri della costituzione. 2.3. - Va da sè, per quanto fin qui considerato, che respinta la domanda con decreto ex art. 3, sesto comma legge n. 89/01, per la sua insufficiente documentazione, il ricorrente può produrre gli atti e i documenti mancanti nella successiva fase d’opposizione, che per la sua natura pienamente devolutiva non subordina l’esercizio di tale facoltà ad alcuna previa concessione, ora per allora, di quel medesimo termine non concesso ai sensi del primo comma dell’art. 640 c.p.c A tale ultimo riguardo va osservato che l’osservazione finale contenuta nel decreto impugnato, ove si rileva l’assenza anche in fase d’opposizione dei documenti relativi al giudizio presupposto, non costituisce ratio decidendi , poiché esprime un giudizio di merito sulla mancata prova dei fatti costitutivi della domanda precluso dalla precedente declaratoria d’inammissibilità sui rapporti tra decisione in rito e motivazione in merito, ai fini dell’assolvimento dell’onere d’impugnazione, cfr. Cass. S.U. n. 3840/07 . 3. - Ai sensi dell’art. 384, primo comma c.p.c., va dunque formulato il seguente principio di diritto soggiace al termine perentorio stabilito dall’art. 4 legge n. 89/01 unicamente il deposito nella cancelleria della Corte d’appello adita di un ricorso avente i requisiti di cui all’art. 125 c.p.c., richiamato dal primo comma dell’art. 3 stessa legge. Pertanto, il deposito degli atti e dei documenti elencati nel terzo comma del medesimo articolo può sopravvenire in qualunque momento utile, prima che il presidente della Corte o il consigliere da lui designato provvedano con decreto sulla domanda, ovvero nel termine eventualmente concesso ai sensi dell’art. 640, primo comma c.p.c., richiamato dal successivo quarto comma dello stesso art. 3 . 4. - L’accoglimento del secondo motivo nei termini anzi detti assorbe l’esame d’ogni altra censura e della prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, terzo comma legge Pinto. 5. - Il decreto impugnato va dunque cassato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Messina, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Messina, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.