Ricorso vs. sentenza di primo grado e ricorso vs. ordinanza di appello

La Corte di Cassazione chiarisce quali debbano essere i requisiti affinché sia ammissibile il ricorso avverso la sentenza di primo grado e avverso l’ordinanza d’appello.

In questo senso la Cassazione con l’ordinanza n. 22149 del 2 novembre 2016. Il caso. L’odierno ricorrente si rivolge alla Corte di Cassazione impugnando sia l’ordinanza con cui la Corte d’appello ha dichiarato inammissibile ex art. 348- bis c.p.c. il suo appello avverso la sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale, sia tale ultima sentenza a norma dell’art. 348- ter , comma 3, c.p.c Ricorso vs sentenza di primo grado. Il ricorso avverso la sentenza di primo grado è inammissibile poiché vi è assoluta carenza del requisito dell’esposizione del fatto, siccome eccepito dalla resistente come invocazione di Cass. n. 8943/14, atteso che nessuna indicazione dei motivi per cui era stato proposto l’appello si coglie nella parte del ricorso che dovrebbe adempiere all’onere di indicazione del requisito di cui all’art. 366, n. 3 c.p.c Il requisito dell’esposizione del fatto è carente anche di una precisa individuazione della domanda proposta al primo giudice, non rispettando i normali contenuti che un’esposizione del fatto deve avere in relazione al ricorso per cassazione. Ricorso vs ordinanza d’appello. Per ciò che riguarda invece il ricorso avverso l’ordinanza d’appello, l’impugnazione non rispetta i limiti di Cass. n. 1914/16 che stabiliscono quando è ammesso il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di cui all’art. 348- bis c.p.c Tali limiti prevedono che l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348- ter non è ricorribile per cassazione ove si denunci l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, attesa la natura complessiva del giudizio prognostico” che la caratterizza, necessariamente estero a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza ed a tutti i motivi di ciascuna di queste, ponendosi, eventualmente, in tale ipotesi, solo un problema di motivazione . Il ricorso è inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 15 settembre – 2 novembre 2016, n. 22149 Presidente Amendola – Relatore Frasca Fatto e diritto Ritenuto quanto segue B.B. ha proposto ricorso per cassazione contro la s.p.a. Intesa San Paolo sia avverso l’ordinanza del 16 aprile 2014, con cui la Corte d’Appello di Milano ha dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c. il suo appello avverso la sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Milano, sia contro tale sentenza a norma del terzo comma dell’art. 348-ter c.p Al ricorso ha resistito con controricorso l’intimata. Prestandosi il ricorso ad essere trattato in camera di consiglio, secondo il rito dell’art. 380-bis c.p.c., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma e ne è stata fatta notificazione agli avvocati delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. Parte resistente ha depositato memoria. Considerato quanto segue Nella relazione ai sensi dell’art. 380-bis si sono svolte le seguenti considerazioni . p.3. Il ricorso può essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., in quanto appare inammissibile contro entrambi i provvedimenti. L’inammissibilità contro la sentenza di primo grado contro la sentenza di primo grado deriva dall’assoluta carenza del requisito dell’esposizione del fatto, siccome eccepito dalla resistente con invocazione di Cass. ord. n. 8943 del 2014 e nello stesso senso, ex multis , Cass. ord. nn. 8940, 8941 e 8942 del 2014 , atteso che nessuna indicazione dei motivi per i quali era stato proposto l’appello si coglie nella parte del ricorso che dovrebbe adempiere all’onere di indicazione del requisito dell’art. 366 n. 3 c.p.c., nel cui contenuto le dette decisioni hanno indicato la ragione per cui quella indicazione era necessaria. Peraltro, come pure ha eccepito la resistente, il requisito dell’esposizione del fatto è carente anche di una precisa individuazione della domanda proposta al primo giudice, onde non rispetta i normali contenuti che una qualsiasi esposizione del fatto deve avere in relazione al ricorso per cassazione in genere si veda, in particole, Cass. sez. un. n. 11653 del 2006 . Con riferimento all’impugnazione dell’ordinanza, in disparte la rilevanza anche per essa di quanto appena osservato, si rileva che l’impugnazione non rispetta i limiti entro i quali Cass. sez. un. n. 1914 del 2016 ha ammesso il ricorso per cassazione contro l’ordinanza ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c Limiti che sono espressi dal principio di diritto secondo cui L’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348 ter c.p.c. non è ricorribile per cassazione, nemmeno ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost., ove si denunci l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, attesa la natura complessiva del giudizio prognostico che la caratterizza, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza ed a tutti i motivi di ciascuna di queste, ponendosi, eventualmente, in tale ipotesi, solo un problema di motivazione”. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle quali il ricorrente, del resto, non ha mosso rilievi. Il ricorso è dichiarato inammissibile. Le spese seguono le soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del d.m. n. 55 del 2014. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro seimilaottocento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.