Protezione internazionale, plausibilità dei fatti allegati e onere della prova

La richiesta di protezione internazionale deve essere supportata da riscontri oggettivi tali da permetterne una verifica sotto il profilo della attendibilità e della specificità.

La Sesta Sezione Civile della Cassazione ordinanza n. 21424 depositata il 24 ottobre ha affrontato un caso riguardante la richiesta di protezione internazionale presentata da un cittadino straniero, puntualizzando alcune importanti regole soprattutto sotto il profilo dell’onere della prova con riguardo ai fatti allegati dal richiedente protezione. Il caso la concessa protezione sussidiaria. Un cittadino straniero giungeva in Italia nel 2012 e presentava domanda di protezione internazionale, raccontando di essere fuggito dal suo Paese d'origine per sottrarsi alle violenze e alle aggressioni di soggetti appartenenti ad una setta di un culto segreto. Il Tribunale, con ordinanza, concedeva la protezione sussidiaria, come prevista dagli artt. 2 e 14 del d.lgs. n. 251/2007. L’appello del Ministero una prospettazione inverosimile quella dell’istante? Tale decisione veniva però appellata dal Ministero dell’Interno in quanto riteneva inesistenti i requisiti per la concessione della protezione sussidiaria e assolutamente inverosimili le allegazioni del ricorrente, prive di ogni riscontro probatorio. La Corte d’appello accoglieva l’impugnazione. Il ricorso per cassazione l’onere della prova e la valutazione dei fatti. Secondo il ricorrente la Corte territoriale non avrebbe correttamente applicato i criteri stabiliti dall'art. 3, comma 5, d.lgs. n. 251/2007 in tema di onere della prova, secondo il quale l'onere di provare i requisiti necessari per ottenere la protezione internazionale non grava esclusivamente sul richiedente, e le ragioni della richiesta devono essere ritenute veritiere se, anche se non integralmente provate, risultino comunque plausibili, attendibili e non in contraddizione con le informazioni a disposizione dell'organo giudicante. Il principio di verosimiglianza. Secondo il ricorrente la Corte territoriale avrebbe altresì violato il cosiddetto principio di verosimiglianza”, per cui il fatto che il richiedente abbia già subito persecuzioni o danni gravi o minacce dirette di persecuzione o danni, costituisce un serio indizio del timore del richiedente di subire persecuzione o del rischio effettivo di subire danni gravi. In definitiva, secondo il ricorrente, sarebbe il giudice a dover verificare se la situazione esposta corrisponda a verità, tenendo conto delle dichiarazioni rese dall'istante, delle circostanze specifiche indicate e delle notizie riguardo le condizioni generali del Paese di origine. Il profilo della attendibilità e della specificità della richiesta. Secondo la Suprema Corte, nonostante alcuni profili di inadeguatezza segnalati nella relazione ex art. 380 bis c.p.c., va considerata comunque corretta la motivazione dei giudici di merito relativa alla mancanza di attendibilità e specificità della prospettazione relativa alla richiesta di protezione internazionale. Infatti, la Corte territoriale aveva rilevato che il ricorrente non aveva fornito alcun riscontro oggettivo delle vicende narrate, non aveva prodotto la domanda di asilo, impedendo un controllo sulla tempestività della sua proposizione e sulla coerenza delle dichiarazioni rese nelle varie fasi del procedimento, né aveva giustificato la mancata produzione di documenti che servissero da riscontri oggettivi alle sue dichiarazioni. In definitiva, secondo la Suprema Corte, la motivazione della sentenza impugnata regge alle censure del ricorrente essendo oltretutto dirimente e non censurabile, in sede di legittimità, la valutazione sull'inattendibilità della prospettazione del ricorrente.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 13 giugno – 24 ottobre 2016, n. 21424 Presidente Ragonesi – Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che 1. Il Signor O.M. , nato in omissis , giungeva in Italia nel 2012 e presentava domanda di protezione internazionale. Il ricorrente raccontava di essere fuggito dal suo Paese d’origine per sottrarsi alle violenze e aggressioni di soggetti appartenenti alla setta del culto segreto omissis . Il Tribunale di Bologna, con ordinanza emessa il 24 marzo 2014, gli concedeva la protezione sussidiaria, come prevista dagli artt. 2 e 14 del dlgs. n. 251 del 2007. 2. Il Ministero dell’Interno, con atto di appello notificato in data 8 aprile 2014, impugnava l’ordinanza del Tribunale di Bologna in quanto riteneva inesistenti i requisiti per la concessione della protezione sussidiaria e assolutamente inverosimili le allegazioni del ricorrente, prive di ogni riscontro probatorio. 3. La Corte d’Appello di Bologna accoglieva l’appello del Ministero. 4. O.M. ricorre per Cassazione per tre ordini di motivi a violazione art. 360 c.p.c. n. 5 e art. 3, comma 5, dgls n. 251 del 2007 - onere probatorio attenuato il ricorrente, richiamando la sentenza n. 27310/2008 delle Sezioni Unite, critica la Corte territoriale per non aver tenuto conto dei criteri stabiliti dall’art. 3, comma 5, d.lgs n. 251 del 2007 in tema di onere della prova. Il suddetto articolo prevede infatti che l’onere di provare i requisiti necessari per ottenere la protezione internazionale non gravi esclusivamente sul richiedente e le sue ragioni debbano essere ritenute veritiere se, anche se non integralmente provate, risultino comunque plausibili, attendibili e non in contraddizione con le informazioni a disposizione dell’organo giudicante. b violazione art. 360 c.p.c. n. 5 e art. 3, comma 4, dlgs n. 251 del 2007- principio di verosimiglianza il ricorrente richiama nuovamente l’art. 3 del dlgs n. 251 del 2007 che al comma 4 introduce il cosiddetto principio di verosimiglianza e afferma che il fatto che il richiedente abbia già subito persecuzioni o danni gravi o minacce dirette di persecuzione o danni costituisce un serio indizio del timore del richiedente di subire persecuzione o del rischio effettivo di subire danni gravi . O.M. ritiene pertanto che sia il giudice a dover verificare se la situazione esposta corrisponda a verità, tenendo conto delle dichiarazioni rese dall’istante, delle circostanze specifiche indicate e delle notizie riguardo le condizioni generali del Paese di origine. violazione art. 360 c.p.c. n. 3 e art. 14 lett. c., dlgs n. 251 del 2007- protezione sussidiaria il ricorrente, richiamando un’interpretazione resa dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa C-465-/07, Elgafaji, sostiene che l’individualizzazione e la prova della minaccia in una realtà violenta come quella nigeriana, dovrebbe essere attenuata dal momento che ciò che rileva non è solo la condizione personale del richiedente, ma la situazione oggettiva del Paese da cui questi è dovuto fuggire. 5. Il Ministero dell’interno si difende con controricorso. Ritenuto che 6. Il ricorso appare fondato in quanto la Corte di appello non ha minimamente verificato il fenomeno delle sette nigeriane e in particolare quella denominata OMISSIS che non risulta affatto essere sconosciuta ai mezzi di informazione accessibili in Italia. In particolare non ha verificato la natura della setta la sua pericolosità, il radicamento nella zona di provenienza del ricorrente, la capacità della stessa di sottrarsi al controllo e alla repressione statale. Sotto il profilo della valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente si rileva inoltre che la Corte di appello ha dato una lettura dell’episodio di minaccia grave alla vita denunciato da O.M. immotivatamente univoca perché basata sulla asserzione della inverosimiglianza dello scampato pericolo come effetto dell’allarme ingenerato negli aggressori dalle urla della sorella dell’O. accorsa in sua difesa. La Corte distrettuale ha infatti ritenuto che tale intervento della sorella per come descritto dal ricorrente appare palesemente incongruo a fronte della offensività in atto da parte di sei uomini armati di machete. In tal modo la Corte d’appello non ha però valutato che l’allarme creato dalla sorella dell’O. era intenzionalmente diretto, secondo le dichiarazioni rese dal ricorrente, ad allertare il vicinato e a compromettere le aspettative di impunità degli aggressori. 7. Sussistono i presupposti per la discussione del ricorso in camera di consiglio e per la valutazione dei profili di inadeguatezza della motivazione ai fini di un eventuale accoglimento del ricorso. La Corte, dopo aver valutato i profili di inadeguatezza segnalati dalla riportata relazione, ritiene che gli stessi non inficino la motivazione relativa alla attendibilità e specificità della prospettazione relativa alla richiesta di protezione internazionale. Ha rilevato infatti la Corte di appello che il ricorrente non ha fornito alcun riscontro oggettivo delle vicende narrate, non ha prodotto la domanda di asilo, impedendo un controllo sulla tempestività della sua proposizione e sulla coerenza delle dichiarazioni rese nelle varie fasi del procedimento, né ha giustificato la mancata produzione di documenti che servissero da riscontri oggettivi alle sue dichiarazioni. Rileva a questo proposito la Corte distrettuale che il richiedente ha dichiarato di essere tuttora in contatto con i suoi genitori dai quali avrebbe potuto farsi spedire documenti a conferma delle sue dichiarazioni quali ad esempio la copia della denuncia per le minacce degli aderenti alla setta dei OMISSIS s o la copia degli atti relativi all’arresto che il ricorrente ha riferito di aver subito in seguito a una rissa con uno degli affiliati alla setta. La Corte ritiene pertanto che la motivazione della sentenza impugnata regga alle censure del ricorrente essendo dirimente e non censurabile, in questa sede, la valutazione sull’inattendibilità della prospettazione del ricorrente ritiene conseguentemente che il ricorso debba essere respinto con condanna alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 3.100 Euro, di cui 100 Euro per spese.