Cosa accade se il deposito della sentenza avviene in copia inviata a mezzo fax

Ai fini dell’impugnazione della sentenza in Cassazione, la S.C. ricorda che l’art. 369, comma 2, n. 2 c.p.c. esige la produzione di una copia autentica, ossia di una copia che rechi l’attestazione di autenticità rispetto all’originale della sentenza, non ammettendo equipollenti.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20628/16 depositata il 13 ottobre. Il caso. Un assicurato ricorre avverso la società di assicurazioni avverso la sentenza della Corte d’appello. La notifica a mezzo fax. La S.C. rileva immediatamente l’improcedibilità del ricorso. Infatti, da quanto emerge dal fascicolo d’ufficio, i ricorrenti hanno depositato la sentenza impugnata in una copia che risulta inviata a mezzo fax e, dunque, ha natura di copia fotostatica dell’atto che con il fax è stato spedito alla stazione ricevente. Tale atto utilizzato per la trasmissione e dunque fotocopiato, peraltro, non si sa che natura avesse, poiché reca l’attestazione del cancelliere della Corte di conformità all’originale da cui venne estratta, ma non è dato sapere se fosse l’originale ovvero una copia. Ma, ricorda la S.C., che, in ogni caso, anche se la copia fosse stata quella autentica rilasciata dal cancelliere, resterebbe fermo che quella risultante dalla trasmissione e prodotta presso la Cancelleria non avrebbe a sua volta quella consistenza, ma solo quella di copia, sebbene di una copia autentica. L’art. 369, comma 2, n. 2 c.p.c. esige invece la produzione di una copia autentica, ossia di una copia che rechi l’attestazione di autenticità rispetto all’originale della sentenza, non ammettendo equipollenti. Dalla suddetta copia fotostatica, poi, emerge che l’originale fotocopiato venne notificato a mezzo posta. Anche se non risulta la data di ricezione si deve ritenere che la notificazione sia stata ricevuta e spettava al ricorrente precisare quando, al fine di dimostrare la tempestività dell’impugnazione, giacché la notifica appariva idonea al decorso del termine cd. breve di cui all’art. 325 c.p.c

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 9 giugno – 13 ottobre 2016, n. 20628 Presidente Amendola – Relatore Frasca Svolgimento del processo § I. S.S. e R.R. hanno proposto ricorso per cassazione contro le Assicurazioni Generali s.p.a. e, testualmente, contro Altri avverso la sentenza del 23 febbraio 2012 pronunciata in grado di appello dalla Corte di Appello di Lecce in una controversia introdotta in primo grado davanti al Tribunale di Lecce, Sezione Distaccata di Maglie. § 2. Al ricorso ha resistito con controricorso la s.p.a. intimata. Motivi della decisione § 1. Il Collegio in via preliminare deve rilevare che il ricorso è improcedibile. Invero, come emerge dal fascicolo d'ufficio, i ricorrenti hanno depositato la sentenza impugnata in una copia che risulta inviata a mezzo fax e, quindi, ha natura di copia fotostatica dell'atto che con il fax è stato spedito alla stazione ricevente. Atto, quello utilizzato per la trasmissione e così risultato fotocopiato dall'apparecchio trasmittente, che, a sua volta, peraltro non si sa che natura avesse. In particolare, non è dato sapere se esso fosse a sua volta un originale o una copia. La copia così prodotta reca l'attestazione dei cancelliere della Corte leccese di conformità all'originale da cui venne estratta e, altresì, la spedizione in forma esecutiva , ma non è dato sapere se la spedizione a mezzo fax avvenne utilizzando appunto la copia autentica rilasciata dal detto cancelliere o una copia di essa. Se anche si supponesse - ma non è dato comprendere come la supposizione potrebbe giustificarsi - che la copia spedita tramite il fax sia stata quella autentica rilasciata dal cancelliere, resterebbe in ogni caso fermo che quella risultante dalla trasmissione e prodotta presso la cancelleria non avrebbe a sua volta quella consistenza, ma solo quella di copia, sebbene di una copia autentica. L'art. 369, secondo comma, n. 2 c.p.c. esige invece la produzione di una copia autentica, cioè di una copia che rechi l'attestazione di autenticità rispetto all'originale della sentenza, espressa come atto compiuto dal cancelliere in originale e la norma non ammette equipollenti da ultimo Cass. n. 6712 del 2013 . § 2. Si deve, poi, aggiungere che dalla detta copia fotostatica emerge che l'originale fotocopiato venne notificato a mezzo posta al S., come emerge dal timbro dell'Ufficiale Giudiziario presso l'U.N.E.P. di Lecce, in data 23 aprile 2012. Anche se non risulta la data di ricezione si deve ritenere che la notificazione sia stata ricevuta e spettava al ricorrente precisare quando, al fine di dimostrare la tempestività dell'impugnazione, giacché la notifica appariva idonea al decorso del termine c.d. breve di cui all'art. 325 c.p.c. Poiché le posizioni del S. e della moglie R. R. sono di litisconsorti facoltativi avendo ciascuno agito per un danno sofferto in proprio, il ricorso del S. sarebbe allora da ritenere anche tardivo. § 3. L'evocazione generica di altri , cioè degli eredi di C. S., contro i quali risulta peraltro pronunciata la sentenza, avrebbe imposto di provvedere ai sensi dell'art. 331 c.p.c. ad un ordine di integrazione del contraddittorio. La sua improcedibilità rende, tuttavia, inutile un siffatto ordine. § 4. Il ricorso dev'essere, dunque, dichiarato improcedibile. Per completezza si rileva che l'illustrazione dei due motivi si fondava su risultanze probatorie delle quali non si forniva l'indicazione specifica ai sensi dell'art. 366 n. 6 c.p.c. nei termini di cui a consolidata giurisprudenza della Corte ex multis, Cass. ord. n. 22303 del 208, Cass. sez. un. nn. 28547 del 208 e 7161 del 2010 , onde il ricorso sarebbe stato per entrambi i ricorrenti inammissibile. § 5. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del d.m. n. 55 del 2014. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13. P.Q.M. La Corte dichiara improcedibile il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro tremiladuecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.