Consiglia l’imputata sul comportamento da tenere in udienza: sanzione disciplinare per un magistrato

Legittima la sanzione disciplinare della censura nei confronti del magistrato che, prima dell’udienza, prende contatti con l’imputata, anticipandole il contenuto di quella che sarebbe stata poi la propria requisitoria.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione a sez. Unite Civili, con la sentenza n. 20190/16, depositata il 7 ottobre. Il caso. La sez. disciplinare del CSM infliggeva al sostituto generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Cagliari la sanzione della censura, avendolo ritenuto responsabile dell’illecito disciplinare di cui agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, del d.lgs. n. 109/2006. Al magistrato era infatti stato contestato di avere, nella veste di rappresentante della pubblica accusa in un processo penale, deliberatamente preso contatti con l’imputata, prima dell’udienza, anticipandole il contenuto di quella che sarebbe stata poi la propria requisitoria ed il tenore delle richieste che intendeva fare alla Corte d’appello, fornendole consigli sul comportamento da tenere in udienza, onde indurre la Corte ad una riduzione della pena già inflitta con sentenza di primo grado. Il magistrato ha dunque proposto ricorso per cassazione. Consigli all’imputata. Il ricorrente denuncia in particolare travisamento della prova in relazione all’art. 606, comma 1 c.p.p Lamenta, infatti, che la sezione disciplinare ha ritenuto provato che egli aveva fornito consigli all’imputata in ordine al comportamento da tenere in udienza laddove, come risulta dalle dichiarazioni rese dalla coordinatrice dell’Istituto in cui l’imputata era ospitata, il ricorrente non aveva affatto indicato a quest’ultima le cose da dire in udienza, ma si era semplicemente limitato ad esortarla a difendersi. Illecito disciplinare. La doglianza è tuttavia infondata. A detta della Corte, infatti, basta rilevare che lo stesso magistrato ha ammesso i fatti essenziali oggetto del capo di incolpazione, e cioè di aver avuto un incontro con l’imputata prima dell’udienza dibattimentale, nel corso del quale le consigliò appunto il comportamento processuale da dover tenere. E siffatto comportamento è da solo sufficiente a configurare l’illecito disciplinare addebitato. La Suprema Corte, a sezioni Unite Civili, rigetta pertanto il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 7 giugno – 7 ottobre 2016, n. 20190 Presidente Rordorf – Relatore Virgilio Ritenuto in fatto 1.1. Con sentenza n. 146 del 20 novembre 2015, depositata il 22 dicembre 2015, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha inflitto al dott. D.N.S. , sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di [], sezione distaccata di [], la sanzione della censura, avendolo ritenuto responsabile dell’illecito disciplinare di cui agli arti 1, comma 1, e 2, comma 1, lett. d , del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109. Al dott. D.N. era stato contestato di avere, nella veste di rappresentante della pubblica accusa nel processo penale pendente a carico di O.M.A. , deliberatamente preso contatti con l’imputata, prima dell’udienza, anticipandole il contenuto di quella che sarebbe stata la propria requisitoria ed il tenore delle richieste che intendeva fare quoadpoenam alla Corte di appello, fornendo all’imputata espressi consigli circa il comportamento da tenere in udienza e le cose da dichiarare spontaneamente, onde indurre la Corte ad una riduzione della pena già inflitta con la sentenza di primo grado . Era stata in ciò ravvisata una condotta gravemente scorretta nei confronti dell’imputata, del difensore, di un coimputato e dei giudici del collegio, come tale integrante l’illecito disciplinare contemplato nel citato art. 2, comma 1, lett. d , del d.lgs. n. 109 del 2006 secondo il quale costituiscono illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti, fra l’altro, delle parti, dei loro difensori o di altri magistrati . 1.2. La Sezione disciplinare ha premesso che l’incolpato, con relazione inviata al Procuratore generale presso la Corte d’appello di Cagliari nel febbraio 2014, aveva riferito di essersi preoccupato che la O. , madre di due bambini piccoli, potesse essere allontanata dall’Istituto omissis , presso il quale era ospitata, e che, ivi recatosi il OMISSIS per avere un colloquio con due volontarie che seguivano le persone ospitate, al fine di poter meglio calibrare le richieste da propone in sede di requisitoria, aveva avuto un colloquio - definito casuale - con la O. , nel corso del quale le aveva suggerito di partecipare all’udienza per illustrare direttamente alla Corte le sue condizioni di vita ed i suoi progetti di reintegro nella società civile, provvedendo anche a riferire telefonicamente il contenuto del colloquio al difensore di fiducia della donna. La Sezione ha poi affermato che l’effettiva esistenza dei contatti oggetto di contestazione tra il don. D.N. e l’imputata risulta dimostrata sulla base delle concordanti dichiarazioni rese da magistrati ed operatori che si erano occupati a vario titolo della situazione della O. . In particolare, ha richiamato la segnalazione del dott. Z. , componente del collegio del processo di appello, il quale aveva esposto di aver appreso dal responsabile dell’Istituto Suore delle Poverelle che l’incontro tra l’incolpato e la O. era di fatto avvenuto le dichiarazioni rese all’Avvocato generale di Sassari dalla coordinatrice della struttura, la quale aveva riferito che il dott. D.N. aveva effettuato, nei mesi di settembre e ottobre 2013, alcune telefonate per informarsi dell’andamento del soggiorno in comunità dell’imputata e che il 6 novembre 2013, presentatosi personalmente nell’istituto, si era appartato in una stanza con la O. per circa 30/40 minuti e all’uscita le aveva consigliato di essere presente all’udienza e di fare dichiarazioni in modo di avere uno sconto di pena le dichiarazioni rese all’udienza del OMISSIS dinanzi alla Sezione disciplinare dalle testi C. e B. e dal teste avv. P. , difensore della O. la nota informativa del presidente del collegio del processo d’appello, dott. A.P. , la quale aveva evidenziato che l’incolpato le aveva riferito di aver reso edotta l’imputata, prima della celebrazione del processo, in ordine al contenuto delle conclusioni che avrebbe formulato all’esito del dibattimento. Il Giudice disciplinare ha, pertanto, ritenuto sufficientemente provato che l’incolpato aveva di propria iniziativa preso contatti con l’imputata in epoca antecedente l’udienza senza informare preventivamente il difensore di fiducia, aveva anticipato alla stessa il contenuto della propria requisitoria e fornitole consigli circa il comportamento da tenere in udienza e le dichiarazioni da rendere al fine di ottenere una riduzione della pena tali fatti integrano l’illecito disciplinare contestato, configurando una condotta gravemente scorretta nei confronti dell’imputata per avere il rappresentante della pubblica accusa conferito con essa in sede extraprocessuale, senza l’ausilio del difensore ed in assenza di ogni garanzia riconosciuta dal codice di rito , del difensore privato della possibilità di assistere al colloquio e di interloquire al riguardo e del coimputato nello stesso procedimento penale che aveva subito una effettiva disparità di trattamento . Infine, la Sezione ha ritenuto adeguata la sanzione della censura, aggiungendo che i fatti accertati sono senz’altro tali da escludere l’applicabilità dell’art. 3 bis d.lgs. n. 109/2006 alla luce della evidente grave compromissione dell’immagine del magistrato . 2. Il dott. D.N. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. 3. Il Ministro della giustizia non ha svolto attività difensiva. 4. L’avvocato del ricorrente ha presentato osservazioni scritte sulle conclusioni del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 379, quarto comma, cod. proc. civ Considerato in diritto 1.1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia travisamento della prova , in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen Lamenta che la Sezione disciplinare ha ritenuto provato che egli aveva fornito consigli all’imputata in ordine al comportamento da tenere in udienza e alle dichiarazioni da rendere in quella sede, laddove, come risulta dalle dichiarazioni rese dalla coordinatrice dell’Istituto in cui l’imputata era ospitata, il ricorrente non aveva affatto indicato a quest’ultima le cose da dire in udienza, ma si era semplicemente limitato ad esortarla a difendersi. Col terzo motivo, è denunciata la violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 109 del 2006, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen Il ricorrente contesta che possa definirsi gravemente scorretta la condotta del pubblico ministero che si intrattenga a parlare con un imputato o che anticipi a questo le conclusioni che intende formulare in dibattimento osserva, quanto al primo aspetto, che occorre valutare l’oggetto del colloquio e quello tenuto con la O. - come emerge dalle testimonianze rese in dibattimento - non aveva riguardato il processo, ma le condizioni dei figli dell’imputata in coerenza con l’interesse sempre dimostrato dal ricorrente per i diritti dei minori quanto al secondo profilo, rileva che il pubblico ministero può rassegnare le proprie conclusioni depositando la requisitoria per iscritto prima dell’udienza. Aggiunge che non vi è stata alcuna scorrettezza né nei confronti del difensore dell’imputata, non avendo il ricorrente fornito suggerimenti sulla strategia difensiva, né nei confronti del coimputato, stante la diversità delle posizioni processuali delle parti. 1.2. I motivi, da esaminare congiuntamente per stretta connessione, sono infondati. La Sezione disciplinare ha effettuato una valutazione complessiva della vicenda, in base all’insieme delle risultanze probatorie acquisite, giungendo alla conclusione che la condotta dell’incolpato integrasse l’illecito disciplinare contestatogli. Si tratta di una valutazione che si sottrae alle censure esposte. Basta rilevare, infatti, che lo stesso dott. D.N. , nella sopra citata relazione al Procuratore generale del febbraio 2014, ha ammesso i fatti essenziali oggetto del capo di incolpazione, cioè di aver avuto un incontro con l’imputata prima dell’udienza dibattimentale, nel corso del quale le consigliò il comportamento processuale da tenere, invitandola a partecipare all’udienza e dandole indicazioni sul contenuto delle dichiarazioni da rendere, oltre ad anticiparle le conclusioni che egli avrebbe formulato in quella sede e un siffatto comportamento è da solo sufficiente, come ha correttamente ritenuto il Giudice disciplinare, a configurare l’illecito disciplinare addebitato. 2.1. Con il secondo e il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lettere b e c , la violazione degli arti. 18 del d.lgs. n. 109 del 2006, 511 e 526 cod. proc. pen., 111 Cost. e 6 della CEDU. Si duole del fatto che la sentenza impugnata si è basata su prove dichiarazioni rese all’Avvocato generale dalla coordinatrice dell’Istituto che ospitava l’imputata secondo motivo note scritte della dott.ssa A. , presidente del collegio giudicante quarto motivo - assunte in violazione del principio del contraddittorio, in quanto non acquisite nel contraddittorio con l’incolpato e con il suo difensore e, comunque, non acquisite nel dibattimento. 2.2. I motivi, da esaminare anch’essi congiuntamente, sono infondati. L’art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 109 del 2006 prevede che compiute le indagini, il Procuratore generale formula le richieste conclusive di cui ai commi 2 e 6 e invia alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura il fascicolo del procedimento, dandone comunicazione all’incolpato. Il fascicolo è depositato nella segreteria della sezione a disposizione dell’incolpato, che può prenderne visione ed estrarre copia degli atti . Le prove acquisite nel corso dell’attività di indagine sono, pertanto, contenute nel fascicolo del procedimento e la facoltà dell’incolpato di esaminarle ed estrarne copia, con conseguente possibilità di presentare memorie difensive e di chiedere l’audizione di testimoni, deve ritenersi idonea ad assicurare i diritti di contraddittorio e di difesa cfr. Cass. Sez. U. 25/1/2013, n. 1771 . 3.1. Con il quinto motivo, infine, è denunciata, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b , la violazione dell’art. 3-bis del d.lgs. n. 109 del 2006, nella parte in cui il Giudice disciplinare ha escluso l’esimente della scarsa rilevanza del fatto il ricorrente sostiene che non vi è stata alcuna compromissione dell’immagine del magistrato, come ritenuto, con motivazione assolutamente inadeguata, dalla Sezione disciplinare. 3.2. Il motivo è infondato. Premesso che l’applicabilità dell’esimente è rimessa ad una valutazione che costituisce compito esclusivo della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura e il giudizio negativo è soggetto al sindacato di queste sezioni unite o per errori di impostazione giuridica oppure allorché la motivazione sia ritenuta viziata ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., la sentenza impugnata contiene sul punto una motivazione che, tenuto anche conto del complesso delle argomentazioni svolte nella pronuncia, si rivela idonea a superare il vaglio di legittimità. 4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Non v’è luogo a provvedere sulle spese. P.Q.M. La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso.