Credibili le dichiarazioni del rifugiato politico, sussiste comunque il dovere di cooperazione del giudice

In tema di richiesta di rifugio politico e protezione sussidiaria, deve ravvisarsi un dovere di cooperazione del giudice nell’accertamento dei fatti rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato ed una maggiore ampiezza dei suoi poteri istruttori officiosi, derivati anche dall’adozione del rito camerale, applicabile in questi procedimenti anche prima dell’entrata in vigore della previsione normativa contenuta nell’art. 35 del d.lgs. n. 25/2008.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la pronuncia n. 17929/16, depositata il 12 settembre. Il caso. La Corte d’appello di Bologna aveva respinto l’appello proposto dal Ministero dell’interno contro la sentenza del Tribunale di un cittadino ivoriano il quale, di fede musulmana, aveva esposto di essere fuggito dalla Costa d’Avorio a seguito dell’uccisione di vari suoi familiari, per mano di esponenti armati appartenenti ad etnia opposta. A giudizio della Corte territoriale l’appello del Ministero andava respinto in quanto il racconto del ricorrente era credibile e non era stato contestato e non erano state mosse obiezioni alle fonti utilizzate dal Tribunale né alle indicazioni dell’appellato. Avverso la pronuncia della Corte d’appello ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’interno sulla base di un unico motivo, con cui denuncia violazione e falsa applicazione di norme sostanziali. Attività istruttoria che risulta essere stata svolta. Per il Collegio il ricorso appare infondato. Infatti, anche in presenza di una non contestazione della linearità della narrazione posta alla base del ricorso introduttivo e della credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente, il giudice di merito ha il dovere di compiere un’attività istruttoria ufficiosa , la quale risulta essere stata svolta attraverso il riferimento ad un rapporto di Amnesty International che, pertanto, ingiustamente, il Ministero ricorrente reputa datato ed al quale non contrappone nulla, sia pure soltanto sul piano delle allegazioni rilevanti, limitandosi ad invocare la metodologica necessità di approfondire l’istruttoria e senza l’allegazione di fatti che avrebbe potuto indicare, se non altro per contrastare quanto è stato giudizialmente accertato . Il contesto relativo alla situazione del paese di provenienza. Infine è vero che la narrazione delle ragioni individuali deve essere inserita nel contesto relativo alla situazione del Paese di provenienza, la cui consistenza, se non può essere costituita da generiche affermazioni ma esige un qualche accertamento, per essere contestata seriamente deve fa riferimento ad apprezzate fonti internazionali. Considerato che la Suprema Corte condivide la proposta di definizione secondo cui non risultano essere state mosse osservazioni critiche, respinge il ricorso e compensa le spese fra le parti del giudizio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, sentenza 1 luglio – 12 settembre 2016, n. 17929 Presidente Ragonesi – Relatore Genovese Fatto e Diritto Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 20 luglio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ. Con sentenza in data 12 gennaio 2015, la Corte d’Appello di Bologna, ha respinto l’appello proposto dal Ministero dell’interno contro la sentenza del Tribunale di S.S. cittadino ivoriano, di etnia dioula , il quale - premesso di appartenere al credo musulmano come tutti gli abitanti del nord della Costa d’Avorio - aveva esposto di essere fuggito dal paese natale a seguito dell’uccisione di vari suoi familiari, per mano di esponenti armati dell’opposta etnia, meridionale e filogovernativa, ostile alla gente di sua appartenenza . Secondo la Corte territoriale, andava respinto l’appello del Ministero in quanto a il racconto del ricorrente aveva credibilità e non era stato contestato b non erano state mosse obiezioni alle fonti utilizzate dal Tribunale né alle indicazioni dell’appellato. Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Interno, con atto notificato il 15 giugno 2015, sulla base di un unico motivo, con cui denuncia violazione e falsa applicazione di norme sostanziali art. 14 D. Lgs. n. 251 del 2007 . S.S. ha resistito con controricorso. Il ricorso appare manifestamente infondato, giacché, con riferimento al riparto dell’onere della prova in ordine ai fatti rilevanti ai fini del riscontro dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, non tiene conto che a nella materia trattata, i principi che regolano l’onere della prova, incombente sul richiedente, devono essere interpretati secondo le norme di diritto comunitario contenute nella Direttiva 2004/83/CE, recepita con il dlgs n. 251 del 2007. Secondo il legislatore comunitario, l’autorità amministrativa esaminante ed il giudice devono svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario e libero da preclusioni o impedimenti processuali, oltre che fondato sulla possibilità di assumere informazioni ed acquisire tutta la documentazione necessaria. Pertanto, in considerazione del carattere incondizionato e della precisione del contenuto di queste disposizioni, ed in virtù del criterio dell’interpretazione conforme elaborato dalla giurisprudenza comunitaria, tali principi influenzano l’interpretazione di tutto il diritto nazionale anche se non di diretta derivazione comunitaria. Pertanto, seguendo il percorso ermeneutico indicato nella Direttiva anche nell’interpretazione dell’art. 1, quinto comma della legge n. 30 del 1990, applicabile al caso di specie, ai sensi del quale lo straniero deve rivolgere istanza motivata e per quanto possibile documentata, deve ravvisarsi un dovere di cooperazione del giudice nell’accertamento dei fatti rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato e una maggiore ampiezza dei suoi poteri istruttori officiosi, peraltro derivanti anche dall’adozione del rito camerale, applicabile in questi procedimenti anche prima dell’entrata in vigore dell’espressa previsione normativa contenuta nell’ad 35 del Dlgs n. 25 del 2008 . Sez. U, Sentenza n. 27310 del 2008 b che, di conseguenza, anche in presenza di una non contestazione della linearità della narrazione posta a base del ricorso introduttivo e della credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente, il giudice di merito ha il dovere di compiere un’attività istruttoria ufficiosa ciò che risulta essere stata svolta attraverso il riferimento ad un rapporto del 2012 di Amnesty International p. 3 della sentenza che, pertanto, ingiustamente il Ministero ricorrente reputa datato ed al quale nulla contrappone, sia pure soltanto sul piano delle allegazioni rilevanti, limitandosi a invocare la metodologica necessità di approfondire l’istruttoria attraverso l’ausilio di generici organismi nazionali ed internazionali e senza l’allegazione di fatti che, pure, in quanto massimo organismo amministrativo deputato a raccoglierli, avrebbe potuto indicare, se non altro per contrastare quanto giudizialmente accertato c che, infine, se è vero che la situazione socio politica o normativa del paese di provenienza è rilevante, ai fini del riconoscimento dello status, solo se si correla alla specifica posizione del richiedente, il quale rischi verosimilmente specifiche misure sanzionatorie a carico della sua integrità plico-fisica Cass. Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 10177 del 2011 è pur vero che la narrazione delle ragioni individuali deve essere inserita nel contesto relativo alla situazione del Paese di provenienza, la cui consistenza se non può essere costituita da generiche affermazioni ma esige un qualche accertamento, per essere seriamente contestata deve far riferimento a reputate e apprezzate fonti istituzionali internazionali L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati United Nations High Commissioner for Refugees , Osservatori vari, Riviste specializzate nell’analisi dei sistemi politico-giuridici, ecc. che ormai sono facilmente accessibili anche solo attraverso la consultazione della rete internet e che permettono di verificare lo stato effettivo delle libertà ed i termini della ipotizzata loro violazione ed i rischi per le minoranze politiche, razziali, religiose, ecc. che si assumono discriminate e che nella specie non sono state minimamente menzionate o richiamate . In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale ai sensi degli arti. 380-bis e 375 n. 5 c.p.c., apparendo il ricorso manifestamente infondato . Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale non risultano essere state mosse osservazioni critiche che la complessità e specialità della situazione esaminata giustifica la compensazione delle spese di lite che va dato atto che alla reiezione del ricorso non segue il raddoppio del contributo unificato, essendo la ricorrente un’Amministrazione dello Stato. P.Q.M. La Corte, respinge il ricorso e compensa le spese fra le parti del giudizio. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater,del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara che NON sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.