Come e quando è possibile denunciare il vizio di omesso esame di un fatto storico

L'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall'art. 54 d.l. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012, ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo.

Si rileva come, tuttavia, l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo allorché il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, quantunque la sentenza non abbia dato conto di tute le risultanze probatorie. Con la sentenza del 1° settembre 2016, n. 17500, il S.C. interviene per chiarire i termini e le modalità di ricorso in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., in punto di omesso esame di un fatto storico. Il caso. La vicenda decisa della Cassazione con la sentenza in commento riguarda un’ipotesi di risoluzione di un contratto di vendita a consegne ripartite avvenuta per mancanza di qualità del prodotto caffè oggetto del contratto stesso. A seguito della decisione degli acquirenti di non procedere con l’acquisto di quanto pattuito per una diminuzione della qualità del bene già acquistato, la società venditrice chiede ed ottiene decreto ingiuntivo per i quantitativi non ritirati e non pagati. Il decreto è confermato in sede di opposizione ma la sentenza è riformata in appello sul rilievo che solo una piccola parte, all’esito dell’istruttoria, è risultata non ritirata e quindi non pagata a differenza di quanto sostenuto inizialmente. La Cassazione conferma tale decisione sostenendo che il giudice di appello aveva considerato tale aspetto, non potendosi ravvisare un vizio di omesso esame di un fatto ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c Omesso esame e ricorso per Cassazione la regola generale. Secondo la prevalente giurisprudenza di Cassazione, il controllo previsto dalla nuova formulazione dell'art. 360, n. 5, c.p.c. concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione ed abbia carattere decisivo perché, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. L'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra, per contro, l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, seppure questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti. Omesso esame di un fatto quando si verifica. Il vizio motivazionale di cui alla nuova formulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. poc’anzi richiamato consiste, in particolare, nell'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. Non sussiste, quindi, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo allorché risulti che il giudice di merito non abbia affatto omesso di esaminare il fatto di cui la parte ricorrente lamenta la pretermissione, avendo invero dichiarato di avere raggiunto il proprio convincimento a tale riguardo sulla scorta degli argomenti e delle prove addotte dalla controparte. Omesso esame di un fatto e principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione. Il vizio motivazionale in parola ricorre laddove, alla luce dei fatti ricostruiti da parte del ricorrente, nel rispetto del principio di autosufficienza del medesimo ricorso per cassazione, risulti che il giudice di merito abbia manifestamente omesso l'esame di una circostanza di fatto decisiva ai fini della definizione del giudizio. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente intenda ottenere da parte della Corte di legittimità la revisione del giudizio decisorio congruamente e razionalmente espletato dal giudice di merito, la censura proposta in detti termini è da considerarsi inammissibile. Omesso esame o fatto revocatorio? Rientra invece nell’errore di fatto revocatorio di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c. la diversa ipotesi di omesso esame di un motivo di ricorso, a condizione che si sia trattato di un errore di fatto di un fatto processuale , quando cioè risulti evidente dalla decisione che il Giudice non ha neppure percepito la deduzione di tale motivo, e non ricorre, quindi, nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del ragionamento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita tutte ipotesi, queste che danno luogo semmai ad un ipotetico errore di giudizio che non è censurabile mediante la revocazione che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore terzo grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 11 aprile – 1 settembre 2016, n. 17500 Presidente Petitti – Relatore Scalisi Svolgimento del processo Il Circolo Arci Martignana e R.G. avevano stipulato l’1 giugno 1990, con la società M. sas. un contratto di vendita a consegne ripartite con cui si erano impegnati a ritirare presso il proprio domicilio la quantità mensile di Kg. 50 di caffè, da esaurirsi entro il 30 novembre 1995 per il prezzo di Lire 22.000 al Kilogrammo. Era stato previsto un anticipo di Lire 6.600.000 e che il prezzo avrebbe potuto variare del 10%. Dopo sette mesi la società M. aveva elevato il prezzo a Lire 26.000 al Kilogrammo e spostato il termine al 30 novembre 1998. Secondo la società M. alla scadenza del contratto appena indicato il Circolo Arci Martignana non aveva ancora provveduto a ritirare KG. 1483 di caffè e non aveva provveduto a pagare la merce. Il 20 giugno 1996 o l’1 giugno 1996 con un secondo contratto veniva stabilito l’obbligo per il Circolo Arci Martignana di acquisto di Kg. 1.080 di caffè dalla venditrice mediante ritiri mensili per il prezzo pari al listino ufficiale della M. sas depositato alla CCIAA di Venezia. Secondo la società M. alla scadenza del secondo contratto e cioè il 31 dicembre 2001, il Circolo Arci Martignana e il sig. R.G. erano debitore della somma di Euro 28.253,44. Ciò posto, la società M., persistendo l’inadempimento il 25 gennaio 2005, chiedeva e otteneva dal Tribunale decreto ingiuntivo per la complessiva somma di Euro 28.253,44, oltre interesse e spese di lite. Il decreto ingiuntivo notificato veniva opposto dal Circolo Arci Martignana e dal sig. R.G. e specificando che constatato che, nel 2003, il caffè aveva una qualità inferiore a quelle sempre fornita, il Circolo, aveva dovuto approvvigionarsi altrove e constato, ancora, che, nel gennaio 2004, il caffè continuava ad essere di scarsa qualità, avevano ritenuto opportuno chiudere il rapporto con la società M. . Eccepivano che il diritto per cui la società M. agiva si era estinto per prescrizione. In via riconvenzionale, chiedevano la risoluzione del contratto per inadempimento della società M. e la condanna della stessa al rimborso di quanto pagato in più e al risarcimento del danno. Si costituiva la M. e contestava le affermazioni attoree. Il Tribunale di Venezia con sentenza n. 2495 del 2006 rigettava l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo. La Corte di appello di Venezia, su impugnazione proposta dal Circolo Arci Martignana e dal sig. R.G., con sentenza n. 941 del 2003 accoglieva l’appello, revocava il decreto opposto, condannava il Circolo Arci Martignana al pagamento della somma di Euro 1.975,4, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, condannava la società M. alla restituzione di quanto ottenuto con la sentenza di primo grado, respingeva la domanda riconvenzionale avanzata dal Circolo Arci Martignana, condannava il Circo Arci Martignana al pagamento di un terzo delle spese del secondo grado del giudizio e compensava il resto. Secondo la Corte di Venezia, il quantitativo di caffè non ritirato doveva definirsi nella misura di Kg. 85 e posto che gli interessi non erano dovuti ex art. 6 del contratto del 20 giugno 1996 perché stabiliti per il solo caso di ritardo nel pagamento, mentre per il caso di omesso ritiro la previsione della clausola n. 5 del contratto prevedeva solo il pagamento del dovuto. La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dalla società M. sas per un motivo. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo del ricorso la società M. lamenta la violazione dell’art. 111 della Costituzione, omessa motivazione ed omesso esame in relazione ad un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti art. 360 n. 5 cpc. . Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe apoditticamente, senza alcuna spiegazione e/o motivazione determinato in Kg. 85 il quantitativo di caffè non ritirato. Né sarebbe una motivazione la frase alla luce della documentazione tempestivamente depositata esclusa ogni nuova produzione perché mancante dell’indicazione di uno o più documenti considerati. 1.1.- La censura non ha pregio, trattandosi di argomentazione che è conseguenza palese di un’inesatta lettura della sentenza impugnata e non merita, pertanto, accoglimento. È appena il caso di premettere che sussiste il vizio di mancanza di motivazione su punto decisivo, implicante l’annullamento della sentenza ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., quando, per l’assoluta genericità e l’assoluta indeterminatezza delle fonti di convincimento, la motivazione si risolve in una affermazione apodittica, che non consente ne la ricostruzione del procedimento logico, ne l’individuazione delle ragioni che condussero alla adottata soluzione del punto controverso, e correlativamente non consente la possibilità di controllo della logicità e congruità della ratio decidendi, restando in tal modo frustate le finalità perseguite dalla legge con l’imposizione dell’obbligo della motivazione. Epperò, nel caso concreto, una lettura estesa della sentenza evidenza che la Corte distrettuale nel rinviare alla documentazione in atti mostra con chiarezza di accogliere la tesi del Circolo Arci Martignana, per altro richiamata, chiarita e completata, anche dalla ricorrente, società M. pag. 6 del ricorso , secondo la quale sulla base delle scritture 1 giugno 1990 e 22 aprile 1992 il quantitativo residuo non ritirato era di 85 Kg. Appare del tutto evidente, perciò, che la documentazione cui ha inteso riferirsi la Corte distrettuale non poteva che consistere, nei contratti, di cui si dice, nonché nelle fatture depositate dal Circolo Arci Martignana. Pertanto, nonostante la motivazione, si palesa estremamente sintetica e per relazione non può dirsi né apparente, né insufficiente ad indicare il percorso logico effettuato dalla Corte distrettuale. Piuttosto, la ricorrente avrebbe dovuto, ma non lo ha fatto, chiarire che la documentazione in atti e, soprattutto, la documentazione posta dal Circolo Arci Martignana a fondamento della propria tesi difensiva smentiva con sicura certezza il risultato affermato dalla Corte distrettuale. Il ricorso, in definitiva, va rigettato. Non occorre provvedere al regolamento delle spese, perché il Circolo Arci Martignana, intimato in questa fase non ha svolto attività giudiziale. Il Collegio, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 da atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e dichiara che ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.