La nullità derivata di una delibera non incide sui termini per l’impugnabilità

L’azione diretta a far valere la nullità di una delibera di aumento di capitale, successiva ad una delibera di riduzione di capitale per perdite - dichiarata nulla con statuizione coperta da giudicato -, resta soggetta al termine perentorio di 180 giorni stabilito all’art. 2379-ter, comma 1, c.c., norma che si può considerare in un rapporto di specie a genere rispetto all’art. 2379 c.c., non incidendo sul regime di proponibilità della domanda la natura derivativa della nullità.

In questi termini si è espressa la Suprema Corte con la sentenza n. 14932/2016, depositata il 20 luglio. La vicenda. Il custode giudiziario di alcune azioni di una s.p.a. aveva impugnato due delibere, una di azzeramento del capitale per perdite e l’altra di successivo aumento, assunte nella medesima assemblea straordinaria alla quale non aveva presenziato , al fine di farne dichiarare la nullità sulla base del fatto che entrambe si fondavano su dati palesemente falsi in riferimento ai debiti della società verso altri finanziatori. A fronte di questa azione, il Tribunale di primo grado dichiarava nulla la delibera di azzeramento del capitale e, in via derivata, anche quella di ricostruzione mediante emissione di nuove azioni. La società ricorre in appello contestando la legittimazione del custode a proporre la domanda in esame, considerato che si erano inoltre sforati i termini previsti dall’art. 2379- ter c.c La Corte d’appello respinge il ricorso affermando che il termine del citato articolo avrebbe trovato applicazione solo nell’ipotesi in cui l’impugnazione delle due delibere fosse avvenuta autonomamente. Nel caso di specie, invece, essendo la nullità della delibera di aumento in un rapporto di derivazione con quella della delibera di riduzione di capitale, le due impugnazioni non potevano essere trattate distintamente la nullità dell’una comportava necessariamente quella simmetrica dell’altra, determinando l’inapplicabilità del termine decadenziale. A supporto di tale argomentazione, la Corte riportava anche un precedente giurisprudenziale Cass. Civ. n. 12347/1999 in cui si era stato affermato che la nullità della delibera di riduzione di capitale riverbera necessariamente i suoi effetti su quella di ricostruzione. La società, rivolgendosi al Collegio di legittimità, oltre a lamentare nuovamente il mancato rispetto dei termini decadenziali, sottolinea come la sentenza richiamata dal giudice di merito non possa considerarsi un precedente degno di rilievo, considerato che si colloca in momento temporale antecedente alla riforma societaria del 2003, che ha innovato in modo rilevante la materia, introducendo per di più la norma in esame. L’autonomia della disciplina dei termini per impugnare. La Cassazione dichiara fondato il ricorso. La norma di cui all’art. 2379- ter c.c., rispetto alla più generale disciplina dell’art. 2379 c.c., deve essere ritenuta in un rapporto di specie a genere, rappresentando una deroga alla regola stabilita per la nullità ordinaria delle deliberazioni. Rilevando che la ratio della norma è quella di stabilire un termine decadenziale breve, oltre il quale non sia più legittimo impugnare una delibera, con il fine di rendere stabili gli effetti degli atti societari per tutelare i terzi e il fondamentale principio di affidamento che regge e incentiva i rapporti all’interno del mercato, la Suprema Corte conclude che il rapporto di derivazione della nullità tra le due delibere riguarda esclusivamente la sfera del loro contenuto e nega che tale relazione sia capace di incedere su i termini decadenziali riferibili al regime di proponibilità delle domande, previsti in un caso all’art. 2379 c.c. e nell’altro dall’art. 2379- ter c.c Fonte www.ilsocietario.it

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 9 giugno 20 luglio 2016, n. 14932 Presidente Bernabei Relatore Di Virgilio Svolgimento del processo Con deliberazione dell’assemblea straordinaria dell’8/9/2004, la Eurogarden s.p.a. provvedeva all’azzeramento per perdite del capitale sociale di Euro 133.504,00 ed al successivo aumento ad Euro 133.504,00 l’aumento veniva sottoscritto per il 50% del deliberato dal rappresentante delle socie C.D. e C.F. , titolari del 50% del capitale perduto, che versava contestualmente i tre decimi prescritti e manifestava la volontà di sottoscrivere le rimanenti azioni, ove non esercitato dai soci il diritto di opzione. Con citazione notificata il 10/11/2005, il custode giudiziario di n. 32.500 azioni della società nominato a seguito del sequestro giudiziario ottenuto dai soci T.B. e C.L. , assente all’assemblea dell’8/9/04, chiedeva che venissero dichiarate nulle e di nessun effetto le delibere in oggetto, in quanto basate su dati palesemente falsi, essendo la voce debiti verso altri finanziatori priva di riscontri dai quali desumere il nominativo di tali finanziatori, il titolo, il periodo in cui sarebbe sorto detto debito e la causale. Eurogarden eccepiva il difetto di legittimazione attiva del custode giudiziario, per essere privi di valore giuridico i titoli sulla cui base esercitava l’azione, rappresentando il capitale azzerato, e la tardività dell’impugnazione della delibera di aumento del capitale, ex art. 2379 ter c.c., precisando che anche i bilanci pregressi esponevano dette perdite ed erano stati approvati all’unanimità. Intervenivano in giudizio i sigg. T. e C. , aderendo alle prospettazioni e conclusioni dell’attore. Disposta ed espletata C.T.U., il Tribunale, con sentenza del 24 novembre 2010, dichiarava la nullità della delibera di azzeramento del capitale e di quella, conseguente, di ricostituzione mediante l’emissione di nuove azioni, con l’automatico ripristino delle partecipazioni azionarie precedenti all’8/9/2004 e l’attuale validità dei certificati in sequestro. La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza del 27/212/3/2014, ha respinto l’appello della società Eurogarden, condannando questa alle spese, rilevando che possono essere impugnate anche autonomamente le delibere di azzeramento del capitale sociale e di aumento, e solo in tale ipotesi l’azione di nullità della delibera di aumento deve essere proposta nel termine di decadenza di cui all’art. 2379 ter c.c. quando invece, come nel caso, la nullità della delibera di aumento deriva dalla nullità della delibera di riduzione, le azioni volte alla declaratoria di nullità delle due delibere non sono autonome, e la nullità della delibera di azzeramento comporta necessariamente la nullità della delibera di aumento, di talché non v’è ragione di escludere l’applicabilità del termine di decadenza dell’articolo ter c.c. per la domanda di nullità della prima delibera e ritenerla invece per la conseguente delibera di ricostituzione del capitale. Ricorre avverso detta pronuncia la società, sulla base di un solo motivo. Si difende il Custode giudiziario con controricorso, illustrato con memoria. Motivi della decisione 1.1.- Con l’unico motivo, la società ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2379 ter c.c., e deduce che la pronuncia del S.C. numero del 1999, alla quale ha fatto riferimento la Corte d’appello, è antecedente alla riforma del diritto societario, che ha innovato la materia delle invalidità delle delibere assembleari, in particolare introducendo la norma in oggetto contesta il collegamento tra la delibera di riduzione e quella di aumento del capitale e fa valere la ratio della norma indicata, intesa a far valere la stabilità delle delibere e degli atti societari al fine di offrire al mercato situazioni di certezza giuridica, come è evidente nel caso di nullità della delibera di riduzione del capitale ex articolo c.c. e dell’emissione di obbligazioni. Secondo la ricorrente, pertanto, la delibera di aumento del capitale, anche ove viziata ex articolo c.c. in conseguenza del vizio della delibera di riduzione del capitale per perdite, è impugnabile esclusivamente nel termine di 180 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese. 2.1.- Il motivo è fondato. L’art. 2379 ter c.c., applicabile ratione temporis , al 1 comma, nella parte che qui interessa, dispone che Nei casi previsti dall’articolo 2379 l’impugnativa dell’aumento di capitale, della riduzione del capitale ai sensi dell’articolo 2445 o dell’emissione di obbligazioni non può essere proposta dopo che siano trascorsi centottanta giorni dall’iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese , ed al 3 comma che Resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci ed ai terzi . L’art. 2379 c.c. richiamato, al primo comma e per la parte che rileva nella specie, prevede che Nei casi di mancata convocazione dell’assemblea, di mancanza del verbale e di impossibilità o illiceità dell’oggetto la deliberazione può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse entro tre anni dalla sua iscrizione o deposito nel registro delle imprese, se la deliberazione vi è soggetta . Il rapporto tra le due norme, come reso palese dal rinvio dell’art. 2379 ter alla norma precedente, è quindi di genere a specie in dottrina, peraltro, qualche autore ha sostenuto l’ancor più rigido rapporto di regola ad eccezione , nel senso che alla regola generale posta dall’art. 2379, l’articolo ter deroga, introducendo il ben più ridotto termine per l’esercizio dell’azione, ove si tratti della specifica deliberazione di aumento di capitale oltre che delle altre due tipologie di delibere richiamate nel primo comma e della regolamentazione ulteriormente specifica per le deliberazioni di aumento di capitale delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, di cui al secondo comma . La ratio della norma, come resa palese dalla lettera del disposto normativo, nonché risultante dalla relazione illustrativa al d.lgs. 6/2003 che a riguardo indica la previsione di sanatorie di carattere particolare per l’invalidità delle deliberazioni vertenti su specifici oggetti è pertanto nel senso di fissare i limiti temporali di proponibilità dell’impugnazione delle delibere indicate, per rispondere all’esigenza di stabilizzazione degli effetti degli atti societari, ove l’attuazione degli stessi possa interferire anche con aspettative e diritti nel frattempo maturati da terzi. Come è stato osservato in dottrina, la previsione di cui all’art. 2739 ter c.c. è intesa a portare al massimo livello l’esigenza di stabilità delle deliberazioni a protezione del mercato, per l’affidamento creatosi sulla consistenza del capitale e sulla circolazione delle azioni. E tale ratio è resa ancora più evidente nella disposizione di cui al terzo comma dell’art. 2379 ter, per le società che fanno ricorso al capitale di rischio, con la previsione della non pronunciabilità della nullità a ragione della parziale esecuzione delle delibere indicate. Nel caso che qui interessa, la delibera di aumento del capitale è stata impugnata per la nullità derivata dalla nullità a sua volta della delibera di azzeramento del capitale sociale per perdite, stante la falsità della posta debiti verso altri finanziatori della situazione patrimoniale, e deve quindi ritenersi avere oggetto illecito, proprio perché, nel concreto, l’aumento del capitale è diretta conseguenza della delibera di azzeramento del capitale per perdite, basata sulla posta passiva la cui nullità è ormai accertata con efficacia di giudicato, non essendo stato proposto ricorso verso la statuizione sul punto, così rientrandosi nella previsione di cui al combinato disposto dell’art. 2379 e 2379 ter c.c E che l’oggetto della deliberazione di cui si tratta debba ritenersi illecito risponde al costante orientamento di questa Corte, atteso che per oggetto della deliberazione assembleare deve ritenersi il contenuto della stessa, da ciò conseguendo che, ove pure inquadrabile l’oggetto in categorie astrattamente lecite, deve indagarsi se anche in concreto esso si adegui sia alle norme di ordine pubblico di carattere generale che alle specifiche prescrizioni inderogabili in materia di società così la pronuncia 4323/1994 e, in senso conforme, la successiva 3052/2001, che si è espressa nel senso di ritenere la nullità alla stregua del contenuto sostanziale della deliberazione . La Corte del merito ha invece posto l’accento sul collegamento logico e funzionale tra la delibera di riduzione del capitale, dichiarata nulla, e quella di aumento del capitale, per inferirne la non applicazione dell’art. 2379 ter c.c Tale argomentazione, invero neppure concretamente sviluppato, ma semplicemente basato sul richiamo della pronuncia 12347/99 resa all’evidenza prima della riforma societaria, che ha affermato che la nullità della deliberazione di riduzione del capitale riverbera, necessariamente i suoi effetti su quella di ricostituzione, attesone il relativo collegamento funzionale, e, conseguentemente, la travolge, sotto il profilo della nullità derivata sul principio, conforme la pronuncia 5740/04 non può essere condivisa. Ed infatti, il principio della nullità derivata attiene al collegamento tra le deliberazioni, quindi al contenuto delle stesse, mentre cosa diversa è il regime impugnatorio, disciplinato, come si è visto, dagli articolo e 2379 ter c.c Il controricorrente ha sostenuto la non ragionevolezza dell’interpretazione fatta valere dalla ricorrente, evidenziando come, nulla la delibera di riduzione del capitale per la falsità della posta di bilancio, nel caso le sopravviverebbe la delibera di aumento, che presuppone la prima. Detta prospettazione, pur suggestiva, non può indurre a disapplicare il regime di impugnabilità fissato normativamente dall’art. 2379 ter c.c. e l’incongruenza segnalata nella misurazione del capitale deve ritenersi destinata ad essere eliminata al più tardi in occasione della redazione del bilancio successivo o del bilancio rielaborato in sostituzione di quello dichiarato nullo , con il ricalcolo dell’ammontare dello stesso, imputandosi o l’entità del deliberato aumento in tutto o in parte al capitale negativo senza tener conto della riduzione, dichiarata nulla, ed ovviamente previo ricalcolo delle poste di bilancio emendate dai vizi che ne avevano determinato la nullità. 3.1.- Conclusivamente, va accolto il ricorso, sulla base del seguente principio di diritto L’azione intesa a far dichiarare la nullità della delibera di aumento del capitale, per la nullità della delibera di riduzione del capitale per perdite, nella specie dichiarata con statuizione coperta da giudicato interno, resta soggetta alla decadenza di cui all’articolo ter, 1 comma, c.c., non incidendo sul regime di proponibilità della domanda la natura derivata della nullità . Va cassata la sentenza impugnata e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, va decisa nel merito la controversia, dichiarandosi l’improponibilità della domanda di nullità della deliberazione di aumento del capitale, di cui all’assemblea dell’8/9/2004. La novità della questione induce a disporre la compensazione delle spese dell’intero giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara l’improponibilità della domanda del custode giudiziario di nullità della deliberazione di aumento del capitale della Eurogarden s.p.a., assunta all’assemblea dell’8/9/2004. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.