Ordinanza ex art. 612 c.p.c. non appellabile

L’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 612 c.p.c. che illegittimamente abbia assunto il carattere oggettivo di risoluzione di una contesa fra le parti in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo e all’ammissibilità dell’azione esecutiva intrapresa e dunque abbia esorbitato da profilo funzionale dell’istituto di cui alla norma, non è mai considerabile come una sentenza in senso sostanziale decisiva di un’opposizione all’esecuzione e, dunque impugnabile con il mezzo di impugnazione della sentenza che decida su una simile opposizione.

Dà luogo, invece, – e ciò anche qualora in essa siano state liquidate le spese giudiziali – alla conseguenza che la parte interessata, assumendo il provvedimento carattere di decisione soltanto sommaria, consideri l’ordinanza come definitiva della fase sommaria di un’opposizione all’esecuzione e, pertanto, possa tutelarsi introducendo un giudizio di merito ex art. 616 c.p.c A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8640, depositata il 3 maggio 2016. Il caso. A seguito di un giudizio possessorio, i ricorrenti si rivolgevano ex art. 612 c.p.c. al Giudice dell’Esecuzione per definire le modalità di attuazione del provvedimento ottenuto. Avverso l’ordinanza del G.E., i ricorrenti proponevano appello che però veniva giudicato inammissibile dalla Corte territoriale adita. Secondo i ricorrenti, l’ordinanza in esame aveva carattere decisorio e non meramente ordinatorio, doveva quindi essere considerata come una sentenza in senso sostanziale e come tale era appellabile. La Corte d’Appello non condivide tale impostazione spiegando in primo luogo che in realtà l’ordinanza non aveva carattere di sentenza e che, se anche fosse stata qualificabile così, il gravame adottato dai ricorrenti era errato. Infatti, considerando le norme processuali applicabili ratione temporis al caso di specie in particolare la versione” dell’art. 616 c.p.c. introdotto dall’art. 14 della legge 52/2006, ma prima della modifica della legge 69/2009 il provvedimento sarebbe stato ricorribile solo in Cassazione e non appellabile. Provvedimento impugnabile con l’appello? Proprio dall’impugnazione esperibile parte l’analisi della Suprema Corte nella decisione in commento. Gli Ermellini condividono l’impostazione della Corte territoriale e confermano la sentenza impugnata. Prima della riforma della legge n. 52/2006 il provvedimento che determinava le modalità dell’esecuzione, ancorché emesso con forma di ordinanza, si considerava avente natura sostanziale di sentenza in ragione del suo contenuto decisorio sul diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata. La fattispecie veniva quindi accostata allo schema dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. e, pertanto, il provvedimento emesso era impugnabile con l’appello. Nel periodo intercorrente tra la disciplina dettata dalla legge 52/2006 e prima delle modifiche della legge n. 69/2009 che ha soppresso l’ultimo inciso dell’art. 616 c.p.c. la causa è decisa con sentenza non impugnabile , poiché il mezzo normale di impugnazione delle sentenze rese nel giudizio di opposizione ex art. 615 c.p.c. era divenuto il ricorso straordinario in Cassazione ex art. 111 Cost., si è ritenuto che analogo rimedio fosse esperibile avverso l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 612 c.p.c. a patto che la stessa avesse carattere decisorio e non ordinatorio . Correttamente dunque la Corte d’Appello aveva giudicato inammissibile il gravame dell’appello proposto dai ricorrenti originari dato che l’ordinanza contestata era stata emessa in data 3.3.2009, cioè prima dell’entrata in vigore 4.7.2009 delle modifiche apportate dalla legge 69/2009. Per completezza gli Ermellini definiscono anche i rimedi esperibili avverso l’ordinanza ex art. 612 c.p.c. nell’attuale sistema vigente, cioè post legge 69/2009 che ha ripristinato l’appellabilità della sentenza emessa al termine dell’opposizione all’esecuzione. La Cassazione afferma che il provvedimento emesso ex art. 612 c.p.c. non è appellabile, né ricorribile in Cassazione, nemmeno nel caso in cui non si sia limitato a definire le modalità di esecuzione e abbia superato i confini previsti dalla norma incidendo sui diritti soggettivi delle parti. Secondo i Giudici, poiché si tratta di un provvedimento emesso sulla base di un’istruzione solamente sommaria, non è mai analogo a una sentenza anche nell’ipotesi di chiusura definitiva del procedimento con statuizione sulle spese , ma deve essere equiparato al provvedimento che definisce la fase sommaria di un’opposizione all’esecuzione. La parte quindi non può e non deve impugnare il provvedimento, ma deve coltivare” l’opposizione, introducendo il giudizio di merito secondo le modalità previste ex art. 616 c.p.c. con la fissazione del termine per l’iscrizione a ruolo della causa o con la riassunzione dinanzi al giudice competente.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 4 dicembre 2015 – 3 maggio 2016, n. 8640 Presidente Amendola – Relatore Frasca Svolgimento del processo p.1. Con sentenza del 23 giugno 2011 la Corte d’Appello di Trieste ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da K.R. e C.X. avverso l’ordinanza del 6 marzo 2009 con cui il Giudice dell’Esecuzione presso il Tribunale di Trieste aveva provveduto sul ricorso ai sensi dell’art. 612 c.p.c. introdotto da S.A. e P.R. per ottenere la determinazione delle modalità di esecuzione di una sentenza resa inter partes all’esito di un procedimento possessorio. p.1.1. L’appello era stato proposto dai ricorrenti nel presupposto che il Giudice dell’Esecuzione avesse pronunciato una sentenza in senso sostanziale, per avere travalicato i limiti dei poteri inerenti il procedimento ai sensi dell’art. 612 c.p.c La Corte territoriale ha dichiarato inammissibile l’appello sulla base di due autonome rationes decidendi , negando con la prima che l’ordinanza avesse assunto l’invocato carattere di sentenza in senso sostanziale e rilevando con la seconda che, se anche così fosse stato, il provvedimento, in ragione della sua pretesa natura decisoria di una sostanziale opposizione all’esecuzione, sarebbe stato ricorribile in Cassazione e non appellabile, giusta il regime dell’art. 616 c.p.c. introdotto dall’art. 14 della l. n. 52 del 2006, che era applicabile in relazione alla data di pronuncia dell’ordinanza impugnata. p.2. Al ricorso per cassazione hanno resistito con controricorso congiunto il P. e la S. . Motivi della decisione p.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 612 c.p.c., 323 c.p.c. e 339 c.p.c. e art. 2909 c.c. , censurando la ratio decidendi enunciata in via preliminare dalla sentenza impugnata nel senso di escludere che l’ordinanza del Giudice dell’Esecuzione di Trieste rivestisse i caratteri della sentenza in senso sostanziale legittimanti la sua impugnazione per il suo carattere decisorio. Con il secondo motivo, denunciante violazione e falsa applicazione dell’art. 612 c.p.c., 323 c.p.c. e 339 c.p.c. ci si duole dell’altra ulteriore ratio decidendi con cui la Corte giuliana ha rilevato che, quando pure all’ordinanza fosse stato attribuibile il carattere di sentenza in senso sostanziale, nel regime dell’art. 616 c.p.c. introdotto dall’art. 14 della l. n. 52 del 2006, il provvedimento non avrebbe avuto natura di sentenza appellabile, bensì, quale decisione resa su una controversia di sostanziale opposizione all’esecuzione, natura di sentenza assoggettabile in via diretta al ricorso per cassazione. p.2. Il Collegio rileva che è logicamente preliminare l’esame del secondo motivo, posto che il problema del rimedio esperibile contro un provvedimento si pone prima di quello della sua effettiva consistenza di provvedimento impugnabile, per la sua natura, dinanzi al giudice davanti al quale è stato svolto il mezzo di impugnazione prescelto. Infatti, l’esercizio del diritto di impugnazione con la scelta di un mezzo piuttosto che di un altro postula da parte di chi impugna un’attività preliminare astratta relativa alla collocazione del provvedimento nella categoria per cui è previsto il mezzo di impugnazione prescelto, mentre l’attività relativa alla ricognizione nel provvedimento, una volta compiuta quella di individuazione del mezzo astrattamente esperibile, dell’esistenza dei caratteri richiesti per l’esperibilità del mezzo prescelto si colloca dopo e ciò anche dal punto di vista del giudice investito dell’impugnazione. Egli, infatti, deve prima domandarsi se astrattamente la legge prevede che il provvedimento, secondo i caratteri e la natura che avrebbe ad avviso dell’impugnante, sarebbe soggetto al mezzo di impugnazione prescelto, e solo dopo, esaurito positivamente tale riscontro, domandarsi se quei caratteri e quella natura sussistano. p.3. Tanto premesso, il Collegio osserva che è esatta la seconda ratio decidendi con cui la Corte triestina ha giustificato l’inammissibilità dell’appello, adducendo che l’ordinanza, siccome dagli appellanti prospettata come sentenza in senso sostanziale risolutiva di questioni che avrebbero dovuto decidersi con una sentenza su opposizione all’esecuzione, per avere il Giudice dell’esecuzione travalicato i limiti del potere di cui all’art. 612 c.p.c., avrebbe dovuto impugnarsi con il ricorso per cassazione. Ciò, in quanto in relazione alla data di pronuncia dell’ordinanza il regime di impugnazione delle decisioni sulle opposizioni all’esecuzione sancito dal testo dell’art. 616 applicabile era quello dell’assoggettabilità a ricorso straordinario per cassazione si sensi dell’art. 111, settimo comma, della Costituzione, attesa la proclamazione di inimpugnabilità della sentenza di decisione sull’opposizione, prevista dallo stesso art. 616 c.p.c La Corte territoriale ha invocato la giurisprudenza di questa Corte che aveva affermato tale principio per le sentenze di decisione sotto quel regime delle opposizioni all’esecuzione. p.3.1. Il Collegio rileva che questa Corte aveva enunciato espressamente tale principio nell’ordinanza n 19605 del 2010. In tale decisione si era rilevato innanzitutto che la consolidata giurisprudenza, secondo cui in tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, il provvedimento con cui il giudice determina le modalità dell’esecuzione, ancorché emesso in forma di ordinanza come espressamente indicato nell’art. 612 cod. proc. civ. , ove dirima una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all’ammissibilità dell’azione esecutiva intrapresa, ha natura sostanziale di sentenza in forza del suo contenuto decisorio sul diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, cioè su una opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod.proc.civ., proposta dall’esecutato o rilevata d’ufficio dal giudice, ed è pertanto impugnabile con l’appello Cass. n. 16471 del 2009, da ultimo in precedenza e senza risalire ulteriormente nel tempo Cass. n. 24808 del 2008 n. 3992 del 2003, n. 3990 del 2003 n. 1071 del 2000 n. 5672 del 1997 . in sostanza, interpretava l’insorgenza di contestazioni sulla portata del titolo esecutivo come determinativa dell’assunzione da parte del procedimento di esecuzione ai sensi dell’art. 612 c.p.c., sul punto di carattere di procedimento cognitivo in ordine ad una contestazione sull’i dell’esecuzione e, quindi, della natura, in parte qua , propria dell’opposizione all’esecuzione . Dopo di che detta decisione aveva osservato che la situazione oggi esistente scilicet quella di applicabilità del testo dell’art. 616 c.p.c. introdotto dall’art. 14 della l. n. 52 del 2006 è diversa. Invero, poiché il mezzo di impugnazione esperibile contro le sentenze rese sull’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., era, prima della sostituzione dell’art. 616 c.p.c., operata dalla L. n. 52, art. 14, del D.Lgs. n. 40 del 2006, l’appello e non come, successivamente a detta sostituzione e fino alla soppressone dell’ultimo inciso dell’art. 616 c.p.c., da parte della L. n. 69 del 2009, art. 49, comma 2, soppressione applicabile ai procedimenti pendenti in primo grado all’atto dell’entrata in vigore della legge art. 58, comma 2 il ricorso per cassazione, detta giurisprudenza risultava pienamente spiegabile là dove rifiutava l’accesso al ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7. Viceversa, nel periodo di vigenza dell’art. 616 nel testo sostituito dalla L. n. 52 del 2006 e, quindi, in relazione a provvedimenti emessi a far tempo dal 1 marzo 2006 e fino a tutto il 3 luglio 2009, poiché il mezzo normale di impugnazione delle sentenze rese nel giudizio di opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., era diventato il ricorso straordinario, stante la proclamazione della inimpugnabilità della sentenza figurante nell’ultimo inciso della norma, la ricordata giurisprudenza - il cui ultimo precedente non a caso concerne un provvedimento pronunciato prima del 1^ marzo 2006 e, quindi, soggetto al regime dell’art. 616 ante riforma del 2006 - comportava che l’individuazione del mezzo ordinario esperibile era il ricorso per cassazione e non più l’appello . A condizione, naturalmente, che l’ordinanza formalmente emessa ai sensi dell’art. 612 c.p.c. nella sostanza avesse assunto caratteri di decisorietà, dovendosi l’impugnabilità come sentenza in senso sostanziale altrimenti negarsi e riconoscersi carattere soltanto ordinatorio al provvedimento. Questione sulla quale l’ordinanza citata, che decideva un caso in cui era stato proposto ricorso per cassazione, si soffermò poi, per affermare, condivivendo le argomentazioni della relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. i seguenti principi di diritto In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, nel regime delle opposizioni all’esecuzione introdotto dalla L. n. 52 del 2006, qualora si assuma che il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione ha provveduto sulla richiesta di determinazione delle modalità dell’esecuzione, ancorché emesso in forma di ordinanza come espressamente indicato nell’art. 612 cod. proc. civ. , abbia in realtà risolto una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all’ammissibilità dell’azione esecutiva intrapresa, così decidendo su un’opposizione all’esecuzione introdotta nell’ambito del procedimento, non è impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione sull’assunto che abbia natura sostanziale di sentenza decisiva dell’opposizione, ove il provvedimento stesso non abbia chiuso il giudizio davanti al detto giudice, come quando abbia deciso sulle spese, bensì, non avendo fissato il termine per l’iscrizione della causa a ruolo previsto dall’art. 616 c.p.c., è suscettibile di una richiesta di integrazione a questo scopo ai sensi dell’art. 289 c.p.c., oppure può essere seguito da una diretta iniziativa di iscrizione a ruolo della parte interessata. Analogamente, nel regime dell’art. 616 c.p.c., introdotto dalla L. n. 69 del 2009, con il ripristino dell’appellabilità della sentenza decisiva dell’opposizione, il suddetto provvedimento non è appellabile salva sempre l’ipotesi di chiusura del procedimento con la statuizione sulle spese , ma è suscettibile di una richiesta di integrazione con la fissazione del termine per l’iscrizione a ruolo, oppure può essere seguito dall’iniziativa della parte interessata di iscrivere a ruolo la causa . In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, nel regime delle opposizioni agli atti introdotto dalla L. n. 52 del 2006, il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione ha provveduto sulla richiesta di determinazione delle modalità dell’esecuzione, risolvendo contestazioni insorte fra le parti in ordine a tale determinazione, non è direttamente impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione sull’assunto che abbia natura sostanziale di sentenza decisiva di un’opposizione agli atti, ove il provvedimento stesso non abbia chiuso il giudizio davanti al detto giudice, come quando abbia deciso sulle spese, bensì, non avendo fissato il termine per l’iscrizione della causa a ruolo previsto dall’art. 616 c.p.c., comma 2, è suscettibile di una richiesta di integrazione a questo scopo ai sensi dell’art. 289 c.p.c., oppure può essere seguito da detta iscrizione anche d’iniziativa della parte interessata . p.3.2. Ora, è palese che l’applicazione delle enunciazioni di Cass. ord. n. 19605 del 2010 cui si aggiunga Cass. n. 17314 del 2015 evidenzia l’esattezza della seconda ratio decidendi adottata dalla Corte territoriale e, quindi, l’infondatezza del secondo motivo, giacché l’ordinanza del Giudice dell’Esecuzione di Trieste, se avesse assunto carattere decisorio, sarebbe stata impugnabile con il ricorso per cassazione e non con l’appello. Va detto anzi che la successiva giurisprudenza della Corte, sempre nel regime dell’art. 616 c.p.c. che prevedeva l’inimpugnabilità e, quindi, la ricorribilità in cassazione della sentenza resa sull’opposizione all’esecuzione, con riferimento all’ipotesi in cui il giudice dell’esecuzione avesse definito l’opposizione con l’ordinanza emessa a chiusura della fase sommaria senza fissare il termine per l’inizio della causa di merito, provvedendo anche sulle spese, ha ritenuto che comunque non fosse esperibile il ricorso straordinario ma sempre possibile l’introduzione del giudizio di merito si veda Cass. ord. n. 22503 del 2011 . L’applicazione del principio - tanto nel regime di ricorribilità per cassazione che in quello di appellabilità, ora ripristinata, delle sentenze sulle opposizioni all’esecuzione - può ora, nella contemplazione della struttura dell’opposizione all’esecuzione articolata in una fase sommaria ed una fase a cognizione piena da iniziarsi nel temine concesso dal giudice dopo l’esaurimento della prima ed in difetto di concessione del termine introducibile comunque dalla parte interessata, condurre ad una soluzione nuova . Essa è nel senso che l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 612 c.p.c. che illegittimamente abbia assunto il carattere oggettivo di risoluzione di una contesa fra le parti in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all’ammissibilità dell’azione esecutiva intrapresa e dunque abbia esorbitato dal profilo funzionale dell’istituto di cui alla norma, non è mai considerabile come una sentenza in senso sostanziale decisiva di un’opposizione all’esecuzione e, dunque, impugnabile con il mezzo di impugnazione della sentenza che decida una simile opposizione, ma dà luogo - e ciò anche qualora in essa si siano liquidate le spese giudiziali - alla conseguenza che la parte interessata, assumendo il provvedimento carattere di decisione soltanto sommaria, consideri l’ordinanza come definitiva della fase sommaria di un’opposizione all’esecuzione e, pertanto, possa tutelarsi introducendo un giudizio di merito ex art. 616 c.p.c Questa è la ricostruzione già adombrata da Cass. n. 19605 del 201, già citata e ribadita come possibile da Cass. n. 17314 del 2014, nel paragrafo 4 della sua motivazione che ora deve ritenersi corretta nell’attuale assetto normativo dell’opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c Nel caso di specie, peraltro, il nuovo principio di diritto non giuoca nessuna rilevanza ai fini della decisione del ricorso, essendo invece assorbenti le ragioni del decidere sopra enunciate. p.3.2. Gli svolti rilievi palesano l’infondatezza del secondo motivo e, determinandosi così il consolidamento della relativa autonoma ratio decidendi a favore dell’inappellabilità dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione per essere il mezzo astrattamente proponibile il ricorso per cassazione, diventa inutile lo scrutino del primo motivo. Consegue, dunque, il rigetto del ricorso. p.4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del d.m. n. 55 del 2014. p.5. I resistenti hanno invocato l’applicazione dell’art. 96, primo e terzo comma, c.p.c Il terzo comma non è però applicabile, essendo stato introdotto dalla l. n. 69 del 2009 e trovando applicazione primo comma dell’art. 58 della legge solo ai procedimenti iniziati in primo grado dopo la sua entrata in vigore. Riguardo al primo comma si riscontrano i presupposti per la colpa grave nell’introduzione del ricorso per cassazione, atteso che la correttezza della decisione quanto alla inappellabilità di cui alla seconda ratio decidendi era già supportata dal precedente di cui a Cass. ord. n. 19605 del 2010. Difetta tuttavia l’allegazione stessa del danno. Pertanto, l’istanza non può essere accolta nemmeno ai sensi del primo comma dell’art. 96 c.p.c P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione ai resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro settemilaseicento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.