L’erede ha diritto all’indennizzo iure proprio solo per l’irragionevole durata del giudizio successiva alla propria costituzione

Nella procedura fallimentare, la morte del fallito non determina l’interruzione del processo, che prosegue invece nei confronti dei suoi eredi, i quali assumono pertanto il ruolo di parte in luogo del fallito defunto.

La Cassazione, con sentenza n. 8508/16, depositata in cancelleria il 29 aprile, accoglie il ricorso incidentale e dichiara assorbito l’esame del ricorso principale. Cassa, inoltre, il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, esclude la condanna del Ministero al pagamento della somma dovuta a titolo di equa riparazione e dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali del giudizio di cassazione. Il caso . La ricorrente propone ricorso per cassazione avverso il Ministero della Giustizia che, a sua volta, propone controricorso contro la stessa in via incidentale. Quest’ultima presenta controricorso al ricorso incidentale avverso il decreto della Corte di appello di Roma. La Corte di appello aveva infatti condannato il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore della ricorrente, di un dato importo a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale per la durata irragionevole di una procedura fallimentare. La Corte aveva stabilito in 7 anni il periodo entro il quale la procedura avrebbe dovuto concludersi. La ricorrente aveva sollevato in via principale un’eccezione di inammissibilità al ricorso incidentale, sul rilievo che, avendo il Ministero resistito con controricorso in data 11 settembre 2014, non avrebbe potuto poi la stessa amministrazione riproporre separatamente un controricorso con ricorso incidentale. Ma l’eccezione è infondata. Non è infatti precluso alla parte contro la quale il ricorso è diretto, di proporre, con un nuovo atto contenente il controricorso, ricorso incidentale contro la stessa sentenza, sempre che l’impugnazione incidentale sia notificata nei termini giusti. Ancora, a detta della ricorrente, la Corte d’appello non avrebbe considerato che tra la data della morte del dante causa della ricorrente e il giorno del deposito del ricorso, in cui il fallimento era ancora in corso, intercorrono non 6 anni e 7 mesi ma 13 anni e 8 mesi. Con il motivo del ricorso incidentale il Ministero si lamenta che sia stata accolta la domanda della ricorrente iure proprio , nonostante il difetto di legittimazione attiva. Richiede l’indennizzo iure proprio. Per quanto riguarda l’esame del ricorso incidentale del Ministero, è noto che, in tema di equa riparazione ai sensi della l. n. 89/2001, qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta nel corso di un processo avente una durata irragionevole, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo iure proprio soltanto per il superamento della predetta durata, verificatosi con decorrenza dal momento in cui l’erede ha assunto la qualità di parte in giudizio. Dunque, l’erede ha diritto al suddetto indennizzo iure proprio solo per l’irragionevole durata del giudizio successiva alla propria costituzione. Come ha precisato la Corte, nella procedura fallimentare, la morte del fallito non determina l’interruzione del processo, che prosegue invece nei confronti dei suoi eredi, i quali assumono pertanto il ruolo di parte in luogo del fallito defunto. Tuttavia, affinché abbia titolo a reclamare, iure proprio , l’equa riparazione per l’irragionevole durata della procedura fallimentare, è necessario che l’erede dell’imprenditore fallito, abbia in qualche modo preso parte alla procedura, rivolgendo istanze in essa o risultando il destinatario dei vari atti Solo in tal modo si dimostrerebbe il suo interesse ad una durata ragionevole del processo. Ma nulla di tutto questo emerge dal decreto impugnato. La stessa ricorrente per cassazione non si preoccupa di precisare quale tipo di attività processuale ella abbia spiegato nella procedura fallimentare proseguita dopo il decesso del fallito, limitandosi a rivendicare l’indennizzo. L’accoglimento del ricorso incidentale determina l’assorbimento di quello principale. La Corte cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta ed esclude il diritto della ricorrente a reclamare l’indennità iure proprio a titolo di equa riparazione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 11 - 29 aprile, n. 8508 Presidente Petitti – Relatore Giusti Ritenuto in fatto 1. - La Corte d’appello di Roma, con decreto depositato in data 4 febbraio 2014, ha condannato il Ministero della giustizia al pagamento, in favore di A.A. - a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale per la irragionevole durata di una procedura fallimentare a carico della San Paolo di A.S. & amp C. s.a.s. e di A.S. in proprio, svoltasi dinanzi al Tribunale di Avellino a partire dal marzo 1988 e non ancora conclusa al momento dell’introduzione del giudizio -, della somma di Euro 1.600 iure hereditario e dell’importo di Euro 6.700 iure proprio. La Corte d’appello ha determinato in sette anni il periodo entro il quale la procedura fallimentare avrebbe dovuto chiudersi tenuto conto che il decesso di A.S. , dante causa della ricorrente, è avvenuto in data omissis , ha ritenuto che costui aveva maturato il diritto all’indennizzo relativamente al periodo di un anno e sette mesi compreso tra la durata ragionevole di sette anni e la data della morte ha quantificato in Euro 6.700, appunto, il danno iure proprio della ricorrente, fissando in sei anni e sette mesi il periodo indennizzabile. 2. - Per la cassazione del decreto della Corte d’appello la A. ha proposto ricorso, con atto notificato il 28 luglio 2014, sulla base di un motivo. Il Ministero della giustizia vi ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, affidato ad un mezzo. La A. ha controricorso al ricorso incidentale. Considerato in diritto 1. - La ricorrente in via principale ha sollevato un’eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale, sul rilievo che - avendo il Ministero resistito con controricorso notificato 11 1 settembre 2014 alla impugnazione di essa A. notificata il 28 luglio 2014 - non poteva poi, la stessa Amministrazione, proporre, separatamente, un controricorso con ricorso incidentale, nella specie notificato il 30 settembre 2014. 1.1. - L’eccezione è infondata. La presentazione di un controricorso per resistere al ricorso avversario non importa, di per sé, né un implicito riconoscimento di non voler proporre il gravame incidentale né acquiescenza sul capo della sentenza che forma oggetto del gravame incidentale stesso. Non è pertanto precluso alla parte contro la quale il ricorso è diretto, che abbia già contraddetto mediante controricorso, di proporre, con un nuovo atto contenente il controricorso, ricorso incidentale contro la stessa sentenza, sempre che l’impugnazione incidentale sia notificata nel termine di cui all’art. 370 cod. proc. civ. cfr. Cass., Sez. II, 3 aprile 1962, n. 683 . E detto termine è stato nella specie rispettato, posto che il ricorso della A. è stato notificato il 28 luglio 2014, mentre il ricorso incidentale, veicolato attraverso il secondo controricorso, è stato notificato il 30 settembre 2014. 2. - L’unico motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 nel conteggio degli anni di ritardo indennizzabili iure proprio. Ad avviso della ricorrente, la Corte d’appello non avrebbe considerato che tra la data della morte del dante causa della ricorrente, avvenuta il 27 ottobre 1996, e il giorno del deposito del ricorso 23 giugno 2010 , in cui il fallimento era ancora in corso, intercorrono, non sci anni e sette mesi, ma tredici anni e otto mesi. 3. - Con il motivo di ricorso incidentale violazione e falsa applicazione degli artt. 2 della legge n. 89 del 2001 e 75 cod. proc. civ. , il Ministero si duole che sia stata accolta la domanda della ricorrente iure proprio , nonostante il difetto di legittimazione attiva, non risultando che la A. abbia assunto la veste di pane mediante intervento nella procedura presupposta. 4. - È prioritario in ordine logico l’esame del ricorso incidentale del Ministero. La censura con esso articolata è fondata. È noto che, in tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta nel corso di un processo avente una durata irragionevole, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo iure proprio soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte non assume, infatti, alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 cod. proc. civ., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU, e tradotto in norme nazionali dalla legge n. 89 del 2001, non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi, dal ritardo, abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto paterna subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida conclusione. In questo senso, si è da ultimo ribadito Cass., Sez. II, 19 febbraio 2014, n. 4003 che, qualora la parte del giudizio presupposto sia deceduta, l’erede ha diritto all’indennizzo iure proprio solo per l’irragionevole durata del giudizio successiva alla propria costituzione, la quale - come confermato dalla CEDU, con sentenza del 18 giugno 2013, Fazio ed altri c. Italia - è condizione essenziale per far valere la sofferenza morale da ingiustificata durata del processo. Come ha precisato la Corte con la sentenza della I Sezione 16 maggio 2012, n. 7722, nel caso di morte del fallito durante lo svolgimento della procedura fallimentare, diversamente da quanto avviene nel processo di cognizione, in cui la morte della parte determina, nei casi e secondo la procedura prevista dall’art. 300 cod. proc. civ., l’interruzione del processo, fino alla sua prosecuzione o riassunzione a istanza di parte a norma degli artt. 302 e 303 cod. proc. civ., nella procedura fallimentare la morte del fallito non determina l’interruzione del processo, che prosegue invece nei confronti dei suoi eredi, i quali assumono pertanto il ruolo di parte in luogo del fallito defunto, al punto che, proprio al fine di assicurare la partecipazione alla procedura di tutti gli eredi e non soltanto di alcuni di loro, è previsto, dall’art. 12 della legge fall., che, in caso di pluralità di eredi, la procedura prosegua nei confronti di colui che è designato come rappresentante, così restando soddisfatta la necessità della presenza nella procedura fallimentare di un soggetto che subentri all’imprenditore fallito e defunto. In sostanza, l’art. 12 legge fall. si preoccupa, da un lato, di individuare un soggetto che prenda il posto del fallito al fine del compimento degli atti per i quali la legge fallimentare consente o esige la presenza del fallito, e, dall’altro, di precisare che il fallimento prosegue nei confronti del sostituto senza soluzione di continuità, ossia senza necessità di una previa interruzione del procedimento. E tuttavia, affinché abbia titolo a reclamare, iure proprio, l’equa riparazione per l’irragionevole protrazione della procedura fallimentare, è necessario che l’erede dell’imprenditore fallito abbia in qualche modo partecipato - eventualmente come rappresentante degli eredi, in caso di pluralità di successori a titolo universale - alla procedura, rivolgendo in essa istanze o risultando destinatario di atti, di richieste o di provvedimenti, soltanto in tal caso essendo configurabile un suo interesse, giuridicamente rilevante, alla definizione in tempi ragionevoli della procedura fallimentare. Nulla di tutto questo emerge dal decreto impugnato e la stessa ricorrente per cassazione, nel controricorso al ricorso incidentale, non si dà cura di precisare quale tipo di attività processuale ella abbia spiegato nella procedura fallimentare proseguita dopo il decesso del fallito, ma si limita a rivendicare, iure proprio , un indennizzo da ritardo in quanto erede del de cuius . 5. - L’accoglimento del ricorso incidentale determina l’assorbimento del ricorso principale. 6. - Il decreto impugnato è cassato in relazione alla censura accolta. La causa può essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Va escluso il diritto della A. a reclamare l’indennità iure proprio a titolo di equa riparazione. Restano ferme le altre statuizioni del decreto impugnato, ivi compresa quella relativa alle spese. La natura delle questioni trattate giustifica ampiamente l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso incidentale e dichiara assorbito l’esame del ricorso principale cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, esclude la condanna del Ministero al pagamento della somma di Euro 6.700 iure proprio a titolo di equa riparazione, ferme le altre statuizioni del decreto impugnato dichiara interamente compensate tra le parli le spese processuali del giudizio di cassazione.