Il regime di impugnazione della sentenza emessa senza esame di una prova decaduta

La S.C. chiarisce quali sono le attività necessarie per evitare di incorrere nella decadenza dalla prova testimoniale.

La sentenza della Sesta Sezione della Corte di Cassazione del 22 aprile 2016, n. 8161 interviene a fare chiarezza su un punto molto delicato nella prassi conseguente alla decadenza dalla prova qui testimoniale , chiarendo quali sono le attività necessarie per evitare di incorrere in quella decadenza. La fattispecie. Nel caso di specie, una parte aveva dedotto nell'atto di appello che il giudice di primo grado non avesse ammesso le prove testimoniali richieste e volte a dimostrare una circostanza rilevante. Decadenza dalla prova testimoniale. E ciò perché, nel processo di primo grado era accaduto che il Giudice istruttore, dopo aver ammesso una prova testimoniale chiesta tempestivamente nell'apposita memoria e della quale poi, però, era stata chiesta anche la revoca, aveva revocato quell'ammissione poiché aveva disposto la precisazione delle conclusioni su una questione preliminare. Peraltro, l'istanza di ammissione era stata successivamente riproposta soltanto con l'atto di appello, ma la Corte di appello – aveva lamentato il ricorrente – non aveva pronunciato su quell'istanza istruttoria con conseguente error in procedendo e violazione dell'art. 112 c.p.c. oltre che delle norme in materia di testimonianza . Senonché, per la Corte di Cassazione il motivo non può trovare accoglimento. Ed infatti, allorché il giudice dichiara chiusa l'istruttoria ed invita le parti a precisare le conclusioni, le parti medesime decadono dai mezzi istruttori nella specie, dalla prova testimoniale non assunti indipendentemente da un'espressa dichiarazione di decadenza . Del resto, quella pronuncia di decadenza dalla prova può legittimamente essere contenuta nel provvedimento di chiusura dell'istruzione ed invito rivolto alle parti alla precisazione delle conclusioni, con conseguente preclusione, per la parte interessata, di ogni ulteriore richiesta di articolazione dello stesso mezzo istruttorio in secondo grado . Nel caso di specie, peraltro, la Suprema Corte ha osservato anche che la parte che si era lamentata della revoca della prova testimoniale era proprio la parte che aveva prima dedotto e poi chiesto la revoca della prova richiesta ed ammessa in precedenza. Nessuna chance dunque per quella parte neppure di chiedere l'ammissione di quella prova come prova nuova in appello” sia per il divieto di nova in appello. Ed infatti, non è possibile riproporre istanze istruttorie espressamente o implicitamente disattese dal giudice di primo grado, senza espressamente censurare – con motivo di gravame – le ragioni per le quali la sua istanza è stato respinta ovvero dolersi della omessa pronuncia al riguardo . Omessa pronuncia o difetto di motivazione? Da ultimo, la Corte precisa anche che la deduzione dell'omesso esame di un'istanza istruttoria non dà luogo ad un'ipotesi di omessa pronuncia rilevante ex art. 112 c.p.c. sub specie di omessa corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato . Ed infatti, l'art. 112 c.p.c. scatta soltanto quando l'immissione si verifica con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedono una statuizione di accoglimento o di rigetto, e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l'omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, sentenza 11 marzo – 22 aprile 2016, numero 8161 Presidente Dogliotti – Relatore Ragonesi Svolgimento del processo La Banca Monte dei paschi di Siena spa ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di due motivi avverso la sentenza numero 913/11 pronunciata dalla Corte di appello di Venezia che, in riforma della sentenza 2043/2002 del Tribunale di Padova, ha accolto l’appello proposto dalla Cavirivest spa e ha dichiarato inefficaci ex art. 67 l.fall., le rimesse solutorie effettuate da questa sul conto corrente della Banca Monte dei paschi di Siena spa, ritenendo provata in capo a quest’ultima la scientia decoctionis La Cavirivest spa in amministrazione straordinaria in liquidazione ha resistito con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 numero 3 c.p.c., dell’art. 3 l. 134/92 in relazione all’art. 67, 2 comma l. fall., per non aver la Corte d’appello di Venezia riconosciuto l’esistenza degli affidamenti, motivata da mancanza di prova scritta degli stessi e ignorando che,in applicazione della norma predetta, il governatore della Banca d’Italia, con provvedimento 24.05.1992, aveva stabilito la non necessità della forma scritta per operazioni e servizi già previsti nei contratti redatti per iscritto, e di conseguenza la Corte d’appello avrebbe conseguentemente ritenuto come pagamenti revocabili le rimesse confluite sul conto corrente della Cavirivest entro i limiti del fido concesso. Denuncia, inoltre, la ricorrente l’omessa e insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 numero 5 c.p.c. in ordine alle rilevanze documentali e processuali sull’esistenza degli affidamenti. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza ex art. 360 numero 4 c.p.c. per omessa pronuncia sulle istanze istruttorie dedotte in causa e in particolare sulle prove per testi chieste nella memoria istruttoria ex art. 184 c.p.c. e conseguente violazione degli artt. 2724 e 2721 comma 2 c.c. circa l’ammissibilità della prova per testimoni. Deduce inoltre la conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c., relativo al principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, per avere il giudice omesso di pronunciarsi sulle istanze di cui sopra. Il primo motivo appare inammissibile e comunque infondato. Le censure avanzante dalla ricorrente appaiono generiche e comunque rimandano a valutazioni di merito, limitandosi la stessa a sollecitare una rivalutazione e una diversa interpretazione delle istanze istruttorie che in questa sede di legittimità non sono proponibili. Il motivo ripropone infatti l’esame di una serie di documenti assegni e quant’altro in relazione ai quali prospetta una interpretazione ed una lettura diversa da quella fornita dalla Corte d’appello, in tal modo investendo inammissibilmente il merito della decisione e chiedendo a questa Corte una improponibile rivisitazione della documentazione prodotta nella fase di merito. In tal senso, la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che il vizio di motivazione non può concretizzarsi nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti. Cass. 20310/11, Cass. 5024/12 . Venendo all’esame del secondo motivo risulta corretto, in quanto conforme alla giurisprudenza di questa Corte, l’assunto della banca ricorrente secondo cui nel regime previgente all’entrata in vigore dell’art. 3 della legge 17 febbraio 1992 numero 154, il quale ha imposto l’obbligo della forma scritta ai contratti relativi alle operazioni ed ai servizi bancari, era consentita la conclusione per facta concludentia di un contratto di apertura di credito, alla luce del comportamento rilevante della banca, consistente nel pagamento di assegni emessi dal cliente senza copertura v Cass. 17090/08 Cass. 19941/06 Cass. 3842/96 . Sotto tale profilo la Banca si duole della mancata ammissione della prova testimoniale volta a dimostrare la circostanza in questione. Si osserva a tale proposito che risulta dallo stesso ricorso v. pagg. 4, 13 e 16 che il MPS aveva chiesto in data 30.1.00 l’ammissione della prova testimoniale e che questa era stata ammessa ad eccezione del capitolo 6 dal G.I. del tribunale con ordinanza del 12.11.01.Successivamente peraltro, su istanza dello stesso MPS, il GI del tribunale aveva revocato l’ammissione della prova in questione disponendo la precisazione delle conclusioni su una questione, preliminare. L’istanza di ammissione è stata successivamente riproposta con l’atto di costituzione in appello. Alla luce di siffatto quadro si rileva che questa Corte ha ripetutamente chiarito che allorché il giudice dichiara chiusa l’istruttoria ed invita le parti a precisare le conclusioni, le parti medesime decadono dai mezzi istruttori nella specie, dalla prova testimoniale non assunti indipendentemente da un’espressa dichiarazione di decadenza Cass. 22843/06 . La pronuncia di decadenza dalla prova nella specie, testimoniale , può legittimamente essere contenuta nel provvedimento di chiusura dell’istruzione ed invito rivolto alle parti alla precisazione delle conclusioni, con conseguente preclusione, per la parte interessata, di ogni ulteriore richiesta di articolazione dello stesso mezzo istruttorio in secondo grado. Cass. 11394/05 Cass. 1740/99 . Nel giudizio di appello, infatti la parte può chiedere l’ammissione di prove nuove, ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., ma non anche ripropone istanze istruttorie espressamente o implicitamente disattese dal giudice di primo grado, senza espressamente censurare - con motivo di gravame - le ragioni per le quali la sua istanza è stata respinta, ovvero dolersi della omessa pronuncia al riguardo. Cass. 19727/03 . Nel caso di specie dunque, avendo la stessa banca ricorrente chiesto la revoca della prova per testi ammessa ed avendo il Giudice istruttore revocato il proprio precedente provvedimento di ammissione, è evidente che la parte era decaduta dalla prova stessa onde la stessa non poteva essere successivamente riproposta in appello anche perché nuova e quindi non proponibile ai sensi dell’art. 345 cpc come modificato dalla legge 353/90 applicabile al caso di specie. Del tutto correttamente dunque il giudice di secondo grado non ha esplicitamente provveduto sulla istanza di ammissione. Deve infatti ritenersi che, essendo stata l’istanza riprodotta in sentenza tra le conclusioni della allora appellato MPS, la Corte d’appello abbia avuto presente l’istanza ma l’abbia implicitamente rigettata. In ogni caso, si osserva che non sarebbe comunque ipotizzabile nel caso di specie una omessa pronuncia ex art. 112 cpc in quanto siffatta omissione si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione. Cass. 6715/13 Cass. 3357/09 Cass. 1875/06 . Il ricorso va in conclusione dichiarato inammissibile. La Banca ricorrente va di conseguenza condannata al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la Banca ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 15.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi ed oltre spese forfettarie ed accessori di legge.