Il danno patito dall’usufruttuario lo ristora il nudo proprietario

L’usufruttuario può agire ai sensi dell’art. 2043 c.c. per conseguire il risarcimento del danno dal terzo che abbia menomato il bene oggetto del suo diritto anche qualora il terzo si identifichi col nudo proprietario. Tuttavia, è da escludere recisamente che l’usufruttuario secondo il quale gli è stata impedita la fruizione del bene, possa conseguire ex art. 2043 c.c. o, comunque, ad altro titolo dal nudo proprietario ovvero dai suoi eredi, il controvalore pecuniario del bene oggetto del suo diritto, quasi a mo’ di liquidazione, ancorché la res permanga integra e non abbia subito alcun pregiudizio.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 5596/2016, depositata il 22 marzo. Il fatto. L’attrice notificava atto di citazione al fratello esponendo che in virtù di successione mortis causa , nonché di donazione paterna con atto notarile, era usufruttuaria della quota di un mezzo dei beni tutti di spettanza del fratello, compresi quelli integranti l’azienda e costituenti l’impresa familiare. Chiedeva, pertanto, che il convenuto fosse condannato, tra l’altro, a corrisponderle, a titolo di risarcimento, il valore della metà dell’usufrutto sugli immobili donati e lasciati dal padre, nonché il valore della metà dell’usufrutto sui cespiti aziendali. Costituitosi il convenuto, insisteva per il rigetto della domanda. Successivamente, a seguito della morte del convento, il processo veniva riassunto nei confronti degli eredi del de cuius . Disposta ed espletata ctu, il Tribunale adito condannava parte convenuta a pagare all’attrice una certa somma di denaro – di importo nettamente inferiore rispetto a quello richiesto per i titoli di cui all’atto introduttivo del giudizio. Parte soccombente proponeva appello chiedendo, in riforma della gravata sentenza, il rigetto delle avverse pretese. L’appellata resisteva ed esperiva, altresì, appello incidentale avverso le statuizioni del giudice di prime cure per la parte delle pretese non accolte. Con sentenza non definitiva, la Corte distrettuale adita accoglieva le ulteriori domande esperite dall’appellante incidentale e, per l’effetto, condannava gli eredi del de cuius a corrispondere all’attrice originaria la metà del valore dell’usufrutto sui beni immobili e sui macchinari aziendali, rimettendo infine, la causa in istruttoria al fine dell’esatta quantificazione di tutte le somme ad essa spettanti. Avverso tale sentenza gli eredi del de cuius proponevano ricorso per Cassazione. Nella caso di specie, gli Ermellini, hanno ritenuto fondato il primo motivo di doglianza proposto dai ricorrenti sulla scorta del quale non può essere condivisa la costruzione della corte distrettuale secondo cui si configura un diritto di credito dell’usufruttuario nei riguardi del nudo proprietario, discendente dalla mancata fruizione dei beni da parte del primo. E ciò, in quanto l’usufrutto, diritto reale, ha per oggetto immediatamente il bene, il cui godimento non è mediato da un rapporto obbligatorio nei confronti del nudo proprietario, il quale, pertanto, nulla deve all’usufruttuario, né ha senso parlare di diritto a conseguire somme maturate, ma non percepite perché il nudo proprietario, secondo i ricorrenti, non è debitore verso l’usufruttuario di alcuna somma e non esiste alcun credito. Adducono, altresì, che, quantunque l’usufruttuario abbia diritto a percepire i frutti ciò può essere solo nei riguardi di chi abbia assunto la corrispondente obbligazione sulla base di un contratto e non certo nei riguardi del nudo proprietario. Nel caso di specie, mai un siffatto rapporto era stato neppure assunto esistere. Gli Ermellini hanno ritenuto che la Corte di merito sia incorsa in un errore giuridico nel riconoscere la pretesa dell’attrice di ottenere dagli eredi del suo dante causa la metà del valore dei beni oggetto del suo diritto di usufrutto, giacché essa non avrebbe percepito quanto – pur maturato – le spetta in forza del titolo che all’uopo vanta. Certo che all’usufruttuario compete – ex art. 982 c.c. – conseguire il possesso della cosa oggetto del suo diritto, e quindi, compete conseguirne la detenzione dal nudo proprietario. D’altro canto, proseguono i Giudici di legittimità, è indubitabile che, al di là della tutela petitoria e possessoria, l’usufruttuario è legittimato ad agire ex lege aquilia ex art. 2043 c.c. in danno del terzo che abbia menomato il bene oggetto del suo diritto. Ed al contempo, ben può – in linea di principio – ammettersi che questo sia possibile anche se il terzo si identifica con la persona del nudo proprietario. Concludendo. Ad ogni modo, va comunque escluso recisamente, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte distrettuale, che l’usufruttuario possa conseguire ex art. 2043 c.c. o, comunque, ad altro titolo, dal nudo proprietario o dai suoi eredi, il controvalore pecuniario del bene oggetto del suo diritto, quasi come liquidazione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 18 dicembre 2015 – 22 marzo 2016, n. 5596 Presidente Mazzacane – Relatore Abete Svolgimento del processo Con atto notificato in data 15.6.1993 P.O. citava a comparire innanzi al tribunale di Vicenza il fratello, P.U. . Esponeva che, in virtù della successione mortis causa - regolata da testamento pubblicato il 6.11.1974 - del padre, deceduto in data 20.5.1974, nonché di donazione paterna con atto per notar Ferrigato del 16.9.1967, era usufruttuaria della quota di 1/2 dei beni tutti di spettanza del fratello, compresi quelli integranti l’azienda dallo stesso gestita e costituenti l’impresa familiare cui nel 1974 unitamente al fratello aveva dato vita che in forza di convenzione siglata il 6.11.1974 era altresì titolare nei confronti del medesimo germano di un credito corrispondente al valore di 3.000 quintali di frumento. Chiedeva che il convenuto fosse condannato a restituirle il deposito di L. 121.500.000, equivalente al valore commerciale di 3.000 quintali di frumento alla data del 12.10.1990, con interessi e rivalutazione a corrisponderle a titolo di risarcimento il valore della metà dell’usufrutto sugli immobili donati e relitti da padre, valore da quantificarsi in lire 300.000.000 ovvero nella diversa somma ritenuta di giustizia con interessi e rivalutazione a far data da ottobre 1989 a corrisponderle a titolo di risarcimento il valore della metà dell’usufrutto sui cespiti aziendali, valore da quantificarsi in corso di lite con interessi a far data da ottobre 1989 a risarcirle il danno sofferto per il mancato utilizzo della camera da letto quantificato in lire 500.000 per ogni mese a far data dall’ottobre 1989 a risarcirle il danno scaturito dalla violazione dell’obbligo di conduzione congiunta dell’azienda familiare e del suo diritto al mantenimento nella misura acclaranda in corso di lite e comunque ritenuta di giustizia il tutto con il favore delle spese di lite. Costituitosi, il convenuto instava per il rigetto della domanda. Riassunto il processo, a seguito della morte - non dichiarata dal procuratore - del convenuto, nei confronti della vedova, R.A. , e dei figli F. , Ca. e P.C. , si costituivano unicamente R.A. e P.C. . Disposta ed espletata c.t.u., con sentenza n. 1523/2005 il tribunale di Vicenza dichiarava inammissibili le domande attoree nei confronti di F. e Pe.Ca. dichiarava ammissibile l’intervento di R.A. e P.C. dichiarava prescritto il credito dell’attrice di cui alla convenzione siglata in data 6.11.1974 condannava parte convenuta, R.A. e P.C. a pagare all’attrice, per i titoli enunciati in motivazione sub II e III, il complessivo importo di Euro 68.292,57, oltre interessi sugli importi e dalle scadenze di cui in motivazione al saldo condannava parte convenuta, R.A. e P.C. a pagare all’attrice, per i titoli enunciati in motivazione sub IV, l’importo di euro 2.739,46, oltre rivalutazione monetaria dalle scadenze di cui in motivazione alla data della sentenza ed oltre interessi legali compensava per 1/4 le spese di lite e condannava in solido parte convenuta, R.A. e P.C. a rimborsare a controparte i residui 3/4 condannava in solido parte convenuta, R.A. e P.C. alle spese di c.t.u Interponevano appello R.A. e P.C. chiedevano preliminarmente che fosse dichiarata la nullità della sentenza impugnata per avere il tribunale erroneamente pronunciato nei loro confronti in mancanza di rituale riassunzione del processo, dopo la morte del loro dante causa convenuto, evento mai dichiarato dal procuratore costituito, onde il processo, che necessariamente non era stato interrotto, in mancanza di tale dichiarazione nemmeno poteva essere utilmente riassunto così ricorso principale, pagg. 5 - 6 chiedevano, nel merito, in riforma della gravata sentenza, il rigetto delle avverse pretese. Resisteva P.O. esperiva inoltre appello incidentale avverso il capo della statuizione di prime cure che aveva disconosciuto il suo diritto alla restituzione della somma depositata presso il fratello, rapportata al valore di mercato del frumento alla data del 12.10.1990 . quantificata . in Euro 48.726, oltre rivalutazione e interessi così ricorso principale, pag. 6 . Disposta la notificazione del gravame anche a F. e Pe.Ca. , costoro non si costituivano. Con sentenza non definitiva n. 578 dei 9.2/9.3.2010 la corte d’appello di Venezia, dichiarata la contumacia di P.F. e Ca. , dichiarava la nullità dell’appellata sentenza rigettava la domanda di pagamento della somma di cui alla scrittura in data 6.11.1974 accoglieva le ulteriori domande di pagamento esperite dall’appellante incidentale e, per l’effetto, dichiarava che gli eredi di P.U. erano tenuti a corrispondere ad P.O. la metà del valore dell’usufrutto sui soli beni immobili e sui macchinari aziendali, da calcolarsi a far tempo dall’ottobre 1989 fino all’attualità, nonché il valore locativo di stanza e bagno in uso di O. a far tempo sempre dall’ottobre 1989 fino al 20/1/1994 così sentenza d’appello non definitiva, pag. 29 rimetteva la causa in istruttoria al fine della quantificazione delle somme tutte spettanti all’appellata . cosi sentenza d’appello non definitiva, pag. 29 . Esplicitava la corte distrettuale, in ordine al secondo motivo dell’appello principale - con cui si era dedotta l’inesistenza di un titolo per tutte le avverse pretese, fatte valere . da O. sotto l’aspetto meramente risarcitorio, senza . comprovare . alcun comportamento doloso o colposo del fratello U. , tale che le avesse . impedito di fruire dell’usufrutto così sentenza d’appello, pag. 17 - che non veniva in questione una responsabilità del nudo proprietario pel mancato uso del bene da parte dell’usufruttuario così sentenza d’appello, pagg. 17 - 18 che, invero, si trattava semplicemente del diritto dell’usufruttuario di percepire quanto gli spetta . , in sostanza del riconoscimento, a suo favore, delle somme maturate ma non percepite durante tutto il periodo di mancato godimento dei beni oggetto . del diritto reale così sentenza d’appello, pag. 18 che, dunque, P.O. aveva pieno titolo per agire nei confronti del fratello, nudo proprietario, ai fini della liquidazione di quanto ancora le spettava per la mancata fruizione dei beni, a far tempo dal 1989 così sentenza d’appello, pag. 18 che, perciò, la causa petendi addotta dall’attrice, anche se impropriamente indicata come risarcitoria configurava la pretesa di recuperare quanto non più percepito da quella data relativamente all’usufrutto così sentenza d’appello, pagg. 18 -19 . Esplicitava la corte distrettuale, in ordine al terzo motivo dell’appello principale - con cui si era censurato il dictum di prime cure nella parte in cui aveva reputato interrotto il periodo prescrizionale e si era ribadita l’eccezione di prescrizione, ex art. 1014, n. 1, c.c., dell’avverso diritto - che correttamente il primo giudice aveva opinato nel senso che il riconoscimento dell’usufrutto di O. . contenuto nella scrittura 6/11/1974, con contestuale liquidazione di una somma a tale titolo, avesse comportato l’interruzione del termine prescrizionale, il quale, pertanto, ricominciando a decorrere, non erasi compiuto al tempo della citazione 18/6/’93 così sentenza d’appello, pag. 20 che il corso della prescrizione risultava poi nuovamente interrotto nel 1989, ai sensi dell’art. 2943, commi primo e secondo cod. civ. così sentenza d’appello, pag. 20 che difatti la prima contesa tra le parti afferente all’usufrutto risaliva ai mesi di settembre/ottobre 1989, allorché l’interessata iniziò il relativo contenzioso col fratello, poi trasferito avanti al Tribunale di Vicenza per le domande che esorbitavano la competenza del giudice adito così sentenza d’appello, pagg. 20 - 21 . Esplicitava la corte distrettuale, in ordine al sesto motivo dell’appello principale - con cui si era censurato il dictum di prime cure nella parte in cui aveva pronunciato condanna per la mancata fruizione dei beni oggetto dell’usufrutto fino al mese di ottobre del 2002 e, quindi, pur per il periodo successivo al decesso, avvenuto in data 10.12.1995, di P.U. , unico obbligato nei confronti della sorella O. così sentenza d’appello, pag. 24 e con cui si era addotto che gli eredi sono stati citati in giudizio unicamente come tali, e non già come diretti responsabili di altri, invero mai neppure configurali, impedimenti così ricorso principale, pag. 20 - che la doglianza era infondata, giacché non si verteva in materia di illecito, ma di liquidazione del diritto di usufrutto, che U. , nudo proprietario, non avrebbe potuto trattenere per sé a far tempo dal venir meno della collaborazione tra i due, verificatosi nel 1989 così sentenza d’appello, pag. 24 che, perciò, gli eredi di P.U. dovevano rispondere, iure hereditatis, dell’obbligazione in relazione alla quale il de cuius era originariamente stato convenuto in giudizio così sentenza d’appello, pag. 24 . Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso R.A. e P.C. ne hanno chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese. P.F. ha depositato controricorso con cui ha aderito ai motivi di cui al ricorso principale ed ha esperito ricorso incidentale articolato in un unico motivo ha chiesto cassarsi la sentenza non definitiva della corte d’appello di Venezia con ogni susseguente statuizione in ordine alle spese di lite. I ricorrenti principali hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione Con il primo motivo i ricorrenti principali deducono violazione e falsa applicazione di norme di diritto art. 360, n. 3, c.p.c., con riferimento agli artt. 981, 984 nonché 820 c.c. così ricorso principale, pag. 11 , segnatamente in relazione alle domande avverse accolte con il capo 3 del dispositivo. Adducono che non è da condividere la costruzione della corte distrettuale, secondo cui si configura un diritto di credito dell’usufruttuario nei riguardi del nudo proprietario, discendente dalla mancata fruizione dei beni da parte del primo così ricorso principale, pag. 13 che infatti l’usufrutto, diritto reale, ha per oggetto immediatamente il bene, il cui godimento non è mediato da un rapporto obbligatorio nei confronti del nudo proprietario, il quale pertanto nulla deve all’usufruttuario . né . ha senso parlare di diritto a conseguire somme maturate ma non percepite ”, perché il nudo proprietario non è debitore verso l’usufruttuario di alcuna somma e non esiste alcun credito così ricorso principale, pag. 13 . Adducono altresì che, quantunque l’usufruttuario abbia diritto a percepire i frutti, ciò può essere solo nei riguardi di chi abbia assunto la corrispondente obbligazione sulla base di un contratto . e non certo nei riguardi del nudo proprietario, ma . mai un siffatto rapporto è stato neppure assunto esistere così ricorso principale, pag. 14 che anzi in mancanza di un siffatto rapporto frutti civili, ai sensi dell’art. 820, 3 co., c.c., neanche esistono e, perciò, neppure poterebbero dirsi maturati. Adducono inoltre che nemmeno può ipotizzarsi che il diritto a un corrispettivo derivi dal godimento solitario che di detti beni ha avuto P.U. e poi i suoi eredi così ricorso principale, pag. 14 che, per un verso, un simile assunto potrebbe giustificarsi se fosse stata allegata - il che non è avvenuto - la circostanza della concessione in locazione dei beni oggetto dell’usufrutto che, per altro verso, in quanto pieno proprietario per la quota di 1/2, l’originario convenuto aveva senz’altro titolo per fruire dei beni oggetto del diritto reale di godimento spettante alla sorella. Adducono infine che P.O. ebbe a cessare volontariamente dal godimento dei beni oggetto del suo diritto, il che non costituisce certo titolo per conseguire un equivalente monetario così ricorso principale, pag. 15 e che non è in realtà ammissibile quella specie di conversione del diritto di usufrutto nel diritto di conseguire dal nudo proprietario una somma che sostituisca il godimento di quel diritto, ciò che invece in ultima analisi costituisce il Leitmotiv dell’impugnata sentenza così ricorso principale, pag. 15 . Il motivo è fondato e meritevole di accoglimento. Ed invero per nulla corretto è, giuridicamente, il riconoscimento, operato dalla corte di merito, della pretesa di P.O. di ottenere dagli eredi di P.U. la metà del valore dei beni oggetto del suo diritto di usufrutto, giacché l’originaria attrice non avrebbe percepito quanto - pur maturato - le spetta in forza del titolo che all’uopo vanta. Certo all’usufruttuario, in quanto avente diritto - ex art. 981 c.c. - a godere della cosa oggetto del suo diritto, compete - ex art. 982 c.c. - conseguirne il possesso, in primo luogo compete conseguirne la detenzione cfr. Cass. 6.3.1976, n. 762, secondo cui nei rapporti col nudo proprietario l’usufruttuario è mero detentore della cosa oggetto dei rispettivi diritti dal nudo proprietario. D’altro canto è indubitabile che, al di là della tutela petitoria e possessoria cfr. Cass. 11.1.1967, n. 106, secondo cui deve riconoscersi all’usufruttuario il potere di agire giudizialmente contro coloro che effettuano ingerenze sulla cosa oggetto dell’usufrutto e, quindi, la legittimazione ad agire non solo nella vindicatio usufructus, ma in tutte le azioni, possessorie e petitorie, dirette a conservare il possesso nella sua sfera originaria e a recuperarlo, se perduto in tutto o in parte, e, comunque, dirette a difendere e a realizzare l’uso e il godimento della cosa , ben può l’usufruttuario agire ex lege aquilia per conseguire il risarcimento del danno dal terzo che abbia menomato il bene oggetto del suo diritto cfr. Cass. 11.8.2000, n. 10733, secondo cui l’usufruttuario ha un’autonoma legittimazione ad agire ai sensi dell’art. 2043 c.c. per il risarcimento del danno cagionato da un terzo al bene oggetto del suo diritto . Ed al contempo ben può - in linea di principio - ammettersi che l’usufruttuario attivi, all’occorrenza, la tutela aquiliana pur in danno del nudo proprietario. Tanto in rapporto al rilievo per cui, nella fattispecie, P.O. ha azionato propriamente ed univocamente una pretesa risarcitoria in danno del fratello cfr. ricorso principale, pag. 2 . Pur tuttavia è da escludere recisamente che l’usufruttuario possa conseguire ex art. 2043 c.c. o, comunque, ad altro titolo dal nudo proprietario ovvero dai suoi eredi, siccome viceversa la corte veneziana ha ammesso nel caso de quo , il controvalore pecuniario del bene oggetto del suo diritto, quasi a mò di liquidazione, ancorché, si badi, la res permanga integra e non abbia subito alcun pregiudizio. Per altro verso, nel caso di specie va tenuto conto e senza dubbio recepito il rilievo dei ricorrenti cfr. ricorso principale, pag. 14 secondo cui P.U. aveva ed ora i suoi eredi hanno, ex art. 1102 c.c., il diritto, in quanto pieni proprietari per la quota di 1/2, di fruire dei beni oggetto del diritto reale di godimento in pari tempo spettante pro quota all’originaria attrice. Con il secondo motivo i ricorrenti principali deducono omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio art. 360, n. 5, c.p.c. così ricorso principale, pagg. 15 - 16 . Adducono che con il terzo motivo d’appello avevano censurato la statuizione di prime cure, deducendo che il riferimento all’ usufrutto su tutti gli immobili che si rinveniva nella scrittura del 6.11.1974, non poteva che esser correlato all’oggetto della scrittura, riguardante in via esclusiva la volontà testamentaria del genitore , sicché da tale riconoscimento esulava l’usufrutto originato dalla donazione che, conseguentemente, per i beni oggetto dell’usufrutto traente titolo dalla donazione del 1967, la prescrizione si era . senz’altro maturata già nel 1987 così ricorso principale, pag 16 . Adducono che, nondimeno, la corte di merito ha del tutto ignorato la surriferita deduzione, indubbiamente decisiva, in quanto idonea a sottrarre l’usufrutto sugli immobili aziendali e sui macchinari, costituito con la donazione del 1967, all’operatività del riconoscimento del 1974 così ricorso principale, pagg. 16 - 17 . Il motivo non merita seguito. Si rimarca che, in ossequio al canone di cosiddetta autosufficienza del ricorso per cassazione cfr. Cass. sez. lav. 4.3.2014, n. 4980 , quale positivamente sancito all’art. 366, l co., n. 6 , c.p.c., ben avrebbero dovuto i ricorrenti principali ed incidentale , onde consentire a questa Corte il compiuto riscontro, il compiuto vaglio dei loro assunti, riprodurre più o meno integralmente nel corpo del ricorso principale e del controricorso il testo dell’ accordo ricognitivo del 1974 e non già limitarsi - i ricorrenti principali - a riprodurne - in nota - uno specifico stralcio. È innegabile in ogni modo che la censura de qua si risolve propriamente in una quaestio ermeneutica, specificamente afferente alla portata dell’ accordo ricognitivo del 1974 . Intesa in tal guisa non possono che esplicar valenza gli insegnamenti di questo Giudice del diritto. Ovvero l’insegnamento secondo cui l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178 cfr. Cass. 25.2006, n. 10131 . Ovvero l’insegnamento secondo cui né la censura ex n. 3 né la censura ex n. 5 del 1 co. dell’art. 360 c.p.c. possono risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione d’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni plausibili , non è consentito - alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito - dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178 cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131 . Con il terzo motivo i ricorrenti principali deducono omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio art. 360, n. 5, c.p.c. . Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, art. 360, n. 3, c.p.c., con riferimento all’art. 2943 c.c. così ricorso principale, pag. 17 . Adducono che parimenti con il terzo motivo d’appello avevano censurato la statuizione di prime cure, nella parte in cui il primo giudice aveva opinato per l’interruzione della prescrizione dapprima a seguito della proposizione della domanda risarcitoria dinanzi al pretore quale giudice del lavoro nel 1989 e poi a seguito della domanda introduttiva del presente giudizio che in particolare avevano dedotto che il tribunale aveva obliterato la consolidata regola, per la quale l’effetto interruttivo non deriva da ogni domanda giudiziale, bensì solamente da quella con cui l’attore chiede il riconoscimento e la tutela giudiziale del diritto del quale si eccepisce la prescrizione così ricorso principale, pagg. 17 - 18 , sicché, seppur il corso prescrizionale fosse stato interrotto dal riconoscimento di cui alla scrittura del 6.11.1974, la prescrizione sarebbe comunque giunta a compimento. Adducono dunque che immotivatamente ed erroneamente la statuizione di seconde cure ha riaffermato invece l’idoneità interruttiva sia della domanda formulata nel ricorso del 1989, sia di quella della citazione introduttiva del presente giudizio, pur se formulate sub specie risarcitoria così ricorso principale, pag. 18 . Adducono inoltre, con riferimento agli immobili abitativi oggetto dell’usufrutto testamentario e per i quali la scrittura in data 6.11.1974 aveva effettivamente avuto valore interruttivo della prescrizione, che avevano ulteriormente dedotto che P.O. non ne aveva mai avuto il possesso, poiché erano sempre stati utilizzati da P.U. per la sua abitazione senza contestazione od opposizione alcuna da parte della sorella, cosicché successivamente all’accordo del 6.11.1974 nessun evento interruttivo si era verificato e la prescrizione si era compiuta nel 1994 che, tuttavia, la corte territoriale ha similmente obliterato la summenzionata prospettazione. Il motivo è immeritevole di seguito. Si rimarca analogamente che, in ossequio al canone di cosiddetta autosufficienza del ricorso per cassazione, ben avrebbero dovuto i ricorrenti principali riprodurre più o meno integralmente nel corpo del ricorso il testo del ricorso del 1989. E ciò tanto più, per un verso, giacché la corte veneziana ha reputato il ricorso anzidetto - che P.O. ebbe a propone al giudice del lavoro - univocamente idoneo a interrompere il corso della prescrizione ex art. 1014, n. 1 , c.c. corretto è, in definitiva, il sillogismo del Tribunale secondo cui il dispiegamento della domanda proposta da O. sotto la specie del risarcimento, ma collegata al suo diritto di usufrutto, risalente alla data di inizio del giudizio davanti al Pretore del Lavoro, aveva interrotto il corso della prescrizione estintiva di quel diritto reale cosi sentenza d’appello, pag. 21 per altro verso, giacché la proposizione di una domanda giudiziale ha effetto interruttivo della prescrizione, protraentesi fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisca il giudizio decidendo il merito o eventuali questioni processuali di carattere pregiudiziale, con riguardo a tutti i diritti da essa coinvolti o che si ricolleghino, con stretto nesso di causalità, al rapporto cui essa inerisce cfr. Cass. 7.6.2013, n. 14427 per altro verso ancora, giacché, la valutazione dell’idoneità di un atto ad interrompere la prescrizione costituisce apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito e, come tale, è insindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici ed errori giuridici cfr. Cass. 24.11.2010, n. 23821 Cass. sez. lav. 13.12.1982, n. 6849 . In ogni caso si rimarca quanto segue. In primo luogo, che la prospettazione - riflesso della doglianza già veicolata mercé il terzo motivo d’appello - secondo cui per l’usufrutto concernente . gli immobili ad uso abitativo derivante dal testamento . P.O. non ha mai avuto il possesso, poiché sono stati sempre utilizzati per l’abitazione di P.U. , senza contestazione od opposizione alcuna da parte dell’O. così ricorso principale, pag. 19 , si risolve in una mera petizione di principio e, comunque , in una censura univocamente finalizzata a sollecitare - ben vero genericamente, sic et simpliciter - questa Corte di legittimità ad una rivisitazione in parte qua agitur della valutazione in fatto operata dalla corte di merito. In secondo luogo, che, alla luce dell’insegnamento n. 14427/2013 di questo Giudice del diritto dapprima citato, è da ammettere che, alla stregua del formale e sostanziale tenore delle conclusioni che P.O. ebbe a formulare nell’atto che ha segnato l’incipit del presente giudizio e quali in precedenza - in sede di svolgimento del processo - più o meno pedissequamente riprodotte , lo stesso atto introduttivo, giacché notificato in data 15.6.1993 cfr. ricorso principale, pag. 1 , ha sortito certamente l’effetto di interrompere il corso della prescrizione ventennale ex art. 1014, n. 1 , c.c Cosicché non può ipotizzarsi il maturarsi della prescrizione nel 1994 così ricorso principale, pag. 19 . Con il quarto motivo i ricorrenti principali deducono nullità della sentenza e del procedimento - art. 360, n. 4, c.p.c. - con riferimento agli arti. 112, 100 e 101 c.p.c. così ricorso principale, pag. 19 . Adducono, con riferimento alle ragioni del rigetto del sesto motivo d’appello, che si prospetta inesorabile la seguente alternativa. Ovvero che si ammetta un debito successorio, per il quale si possa chiedere la condanna degli eredi così ricorso principale, pag. 20 , in quanto si configuri la sussistenza di un diritto di credito traente causa da un fatto compiuto da P.U. , deceduto il 10.12.1995 che, nondimeno, la sentenza d’appello espressamente ha negato un titolo di responsabilità del sig. P.U. , senza peraltro indicare altro in realtà indefinibile, in quanto inesistente titolo per l’ ipotetica obbligazione sorta in capo a lui e che come tale . si sarebbe trasferita agli eredi così ricorso principale, pag. 20 . Ovvero che si ammetta che il diritto di P.O. per l’attualità cioè per l’epoca successiva alla morte di P.U. non può che derivare da una situazione attuale, che . nell’esegesi della sentenza non può che individuarsi nella titolarità stessa del diritto di usufrutto così ricorso principale, pag. 21 che, di conseguenza, il preteso diritto di credito, destinato a maturare di giorno in giorno, non può vedere come debitore che gli attuali nudi proprietari . , da ciò univocamente derivando che i sigg. R.A. , P.C. , P.F. e Pe.Ca. ne risponderebbero in proprio e non già quali eredi di P.U. così ricorso principale, pag. 21 che, tuttavia, i predetti sigg. R. /P. sono stati citati in giudizio unicamente quali eredi di P.U. così ricorso principale, pag. 21 , cosicché la statuizione di seconde cure, da un lato, per la parte delle pronunce di condanna che trovano fonte in situazioni e per epoche successive alla morte di P.U. , . pronuncia ultra petitum , non essendo né potendo essere le corrispondenti domande, che avrebbero dovuto essere formulate personalmente nei loro confronti, mai state proposte in giudizio, dall’altro, viola il principio del contraddittorio, non essendo i sigg. R. /P. mai stati citati in proprio in giudizio così ricorso principale, pagg. 21 - 22 . Il motivo, nei termini che seguono, resta assorbito nel buon esito del primo motivo. Al cospetto dell’ alternativa che i ricorrenti principali configurano ed alla luce del conclusioni che P.O. ebbe a spiegare nell’iniziale atto di citazione, devesi opinare senz’altro nel senso che l’originaria attrice ebbe ad agire in via risarcitoria, ex lege aquilia , nei confronti del fratello U. , ancorché abbia formulato l’abnorme richiesta di corresponsione, sub specie di risarcimento del danno, del valore della metà dell’usufrutto sugli immobili donati e relitti dal padre così ricorso principale, pag. 2 e della metà del valore dell’usufrutto sull’azienda così ricorso principale, pag. 2 . In questi termini devesi reputare, da un canto, che l’azionata pretesa risarcitoria certamente è suscettibile di riversarsi sugli eredi di P.U. , sicché si accredita l’affermazione della corte distrettuale secondo cui gli eredi di P.U. devono rispondere, iure hereditatis, dell’obbligazione in relazione alla quale il de cuius era originariamente stato convenuto in giudizio così sentenza d’appello, pag. 24 devesi reputare, d’altro canto, che inesatta, viceversa, è l’affermazione della corte territoriale secondo cui non si verteva in materia di illecito, ma di liquidazione del diritto di usufrutto, che U. , nudo proprietario, non avrebbe potuto trattenere per sé a far tempo dal venir meno della collaborazione tra i due, verificatosi nel 1989 così sentenza d’appello, pag. 24 . Ebbene, è propriamente in relazione a tal ultimo profilo che la ragione di censura in disamina è destinata a rimaner assorbita nel buon esito del primo motivo del ricorso principale, nel senso cioè che pur al riguardo esplica valenza l’affermazione per cui è da escludere recisamente che l’usufruttuario possa conseguire ex art. 2043 c.c. o, comunque, ad altro titolo dal nudo proprietario ovvero dai suoi eredi il controvalore pecuniario del bene oggetto del suo diritto in guisa di liquidazione , quantunque, si badi, la res permanga integra e non abbia subito alcuna menomazione. Con il quinto motivo i ricorrenti principali deducono violazione e falsa applicazione di norme di diritto, art. 360, n. 3, c.p.c., con riferimento all’art. 754 c.c. così ricorso principale, pag. 22 . Adducono che con l’atto di gravame avevano ulteriormente censurato il primo dictum , giacché quali eredi pro quota, unitamente a F. e Pe.Ca. , erano tenuti a rispondere dei debiti del de cuius , giusta la previsione dell’art. 754 c.c., solo in proporzione alle rispettive quote ereditarie e non già solidalmente che, ciò malgrado, la sentenza di appello . al capo 3 del dispositivo . condanna gli eredi in via solidale tra loro ciò invero solo implicitamente, ma de iure univocamente . , con palese violazione . dell’art. 754 c.c. così ricorso principale, pag. 22 . Il motivo è destituito di fondamento. L’assunto dei ricorrenti principali, secondo cui la sentenza di appello, al capo 3 del dispositivo, reca implicitamente, nondimeno univocamente, condanna degli eredi in via solidale tra loro, risulta del tutto ingiustificato. Il dispositivo della sentenza nulla dice a tal specifico riguardo. Ed evidentemente la sua portata non può che essere intesa, deve essere intesa in conformità alla regola codicistica di cui all’art. 754 c.c., secondo cui gli eredi sono tenuti verso i creditori al pagamento dei debiti e pesi ereditari personalmente in proporzione della loro quota ereditaria . Con l’unico motivo il ricorrente incidentale deduce nullità della sentenza e del procedimento - art. 360, n. 4, c.p.c., con riferimento all’art. 101 c.p.c. così ricorso incidentale, pag. 13 . Premette che con atto notificato in data 20.5.2006 anche P.O. aveva provveduto all’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti nonché della sorella Ca. altresì, che, stante la dichiarata nullità dell’atto con cui egli ricorrente incidentale e la sorella Ca. erano stati citati in prime cure, l’atto notificato in data 20.5.2006 costituiva la prima formulazione nei loro confronti delle domande svolte in giudizio dalla sig.ra P.O. così ricorso incidentale, pag. 14 . Indi adduce che tale atto però è giuridicamente inesistente/radicalmente nullo per carenza di sottoscrizione da parte del procuratore della sig.ra P.O. così ricorso incidentale, pag. 15 che invero tale atto reca in calce unicamente una sigla, altresì assolutamente indecifrabile, senza neppure alcuna indicazione di un nome del sottoscrivente così ricorso incidentale, pag. 15 che identica è la situazione nell’originale utilizzato per la notifica che, conseguentemente, nei suoi riguardi non è mai stata svolta alcuna domanda da parte dell’attrice . , così che la sentenza . impugnata, che ha pronunciato anche nei suoi confronti, è nulla per violazione dell’art. 101 c.p.c. così ricorso incidentale, pag. 15 che la nullità si configura altresì quale radicale nullità dell’intera sentenza, trattandosi di litisconsorzio necessario fra coeredi dell’originario convenuto così ricorso incidentale, pag. 15 . Il motivo è destituito di fondamento. È sufficiente il riferimento all’insegnamento di questa Corte secondo cui il requisito della sottoscrizione degli atti processuali è soddisfatto dall’apparizione di una sigla, in luogo della firma per esteso, perché essa possiede una precisa individualità grafica, si da potersi attribuire alla persona indicata nell’atto come sottoscrittore cfr. Cass. 26.11.1991, n. 12656 nella specie, questa Corte, in base all’enunciato principio, ha confermato la decisione impugnata che aveva disatteso l’eccezione di nullità con riguardo alla sottoscrizione dell’alto di appello da parte del difensore . In dipendenza dell’accoglimento del primo motivo di ricorso, formulato ed accolto nel segno della previsione del n. 3 del 1 co. dell’art. 360 c.p.c., si attende, giusta la previsione dell’art. 384, 1 co., c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto - al quale ci si dovrà uniformare in sede di rinvio - nei termini che seguono l’usufruttuario può agire ai sensi dell’art. 2043 c.c. per conseguire il risarcimento del danno dal terzo che abbia menomato il bene oggetto del suo diritto, pur nell’evenienza in cui il terzo si identifichi col nudo proprietario ciò nondimeno è da escludere che l’usufruttuario, che assume che gli sia stata impedita la fruizione del bene, possa conseguire ex art. 2043 c.c. o, comunque, ad altro titolo dal nudo proprietario ovvero dai suoi eredi il controvalore pecuniario del bene oggetto del suo diritto, quasi a mò di liquidazione, ancorché la res permanga integra e non abbia subito alcun pregiudizio. In accoglimento del primo motivo del ricorso principale, accoglimento idoneo a comportare l’assorbimento del quarto motivo dello stesso ricorso, la sentenza non definitiva n. 578 dei 9.2/9.3.2010 della corte d’appello di Venezia va conseguentemente e nei limiti della censura accolta cassata. In sede di rinvio si provvederà alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, in tal guisa assorbita la disamina del quarto motivo del medesimo ricorso rigetta gli ulteriori motivi del ricorso principale rigetta il ricorso incidentale cassa la sentenza non definitiva n. 578 dei 9.2/9.3.2010 della corte d’appello di Venezia in relazione al motivo accolto rinvia ad altra sezione della corte d’appello di Venezia anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.