Reclamo avverso la liquidazione del compenso arbitrale: la decisione è impugnabile per cassazione?

Vanno rimessi gli atti al Primo Presidente affinché valuti l’opportunità che la Corte di Cassazione pronunci a Sezioni Unite sulla questione di massima importanza, ai sensi dell’art. 374, secondo comma, ultima parte, c.p.c., riguardante la natura del procedimento di cui all’art. 814 c.p.c., previsto per la liquidazione del compenso agli arbitri, in particolare al fine di stabilire se l’ordinanza conclusiva del procedimento in parola sia suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 4517/16, depositata l’8 marzo. Il caso. Il giudizio nasce dal reclamo proposto ex artt. 814, comma 3, e 825 c.p.c., avverso il decreto di liquidazione delle competenze arbitrali, cui seguiva la riduzione della somma liquidata in favore degli arbitri. Le parti si rivolgevano alla Corte di Cassazione. L’orientamento che sostiene la natura privatistica del procedimento. Il ricorso sottopone all’esame dei Giudici di legittimità una questione particolarmente dibattuta riguardante la natura del procedimento di cui all’art. 814 c.p.c All’uopo, gli Ermellini richiamano preliminarmente le due pronunce delle Sezioni Unite del 2009 la n. 15586 e la n. 15592 , che, nel modificare il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno dichiarato che il procedimento in parola nella formulazione anteriore alla riforma del d.lgs. n. 40/2006 svolga una funzione giurisdizionale non contenziosa, che si conclude con una ordinanza di natura essenzialmente privatistica, perciò carente di vocazione al giudicato ed insuscettibile di ricorso per cassazione. Con successiva sentenza n. 13620/2012, le Sezioni Unite hanno confermato tale orientamento, facendo leva sull’esigenza di assicurare una certa stabilità agli indirizzi giurisprudenziali formatisi riguardo all’interpretazione di norme che, come l’art. 814 c.p.c., presentano in proposito margini di opinabilità. Da qui vi è stato un automatico adeguamento giurisprudenziale, che ha considerato ormai acquisito quel risultato nonostante l’intervenuta modifica della disciplina applicabile e il manifestatosi dissenso di autorevole dottrina. L’overruling delle Sezioni Unite del 2013. Tuttavia, l’orientamento secondo cui l’arbitrato è sempre atto di autonomia privata è stato superato dalla recente ordinanza n. 24153/2013, resa dalle Sezioni Unite in materia di arbitrato estero ma sulla base di una rivisitazione dell’essenza dell’istituto. Nella specie, è stato affermato il principio per cui l’attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina ricavabile dalla legge 5 gennaio 1994, n. 5 e dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione. Tale overruling compiuto dalle Sezioni Unite, a giudizio degli Ermellini, sembra incidere anche sulla questione oggetto del presente procedimento. Le ragioni a sostegno del carattere contenzioso del procedimento. Invero, se la natura dell’arbitrato rituale è quella di un vero e proprio processo, la materia delle spese di esso non può esulare dal complessivo trattamento processuale di un ordinario conflitto, tra i contrapposti diritti, attinenti alla regolazione di esse. In questo rinnovato ambito sistematico, il procedimento dell’art. 814 c.p.c. non sembra più inquadrabile tra quelli riguardanti gli atti integrativi della volontà negoziale , ex art. 1349 c.c., espressa nel contratto d’arbitrato, perché mentre il meccanismo dell’art. 1349 c.c. attribuisce alle parti la facoltà di rivolgersi al Tribunale per ottenere la determinazione della prestazione non effettuata dal terzo a cui era stato demandato il relativo compito nel contratto, nella disciplina dell’art. 814 c.p.c. tale potere è sottratto alle parti e sono gli arbitri, in caso di non accettazione della determinazione del proprio compenso, a rivolgersi al presidente del Tribunale per ottenere un suo provvedimento. A sostegno del carattere contenzioso del procedimento milita poi il contenuto dell’accertamento che svolge il giudice, non finalizzato solo alla quantificazione numerica del credito dell’arbitro, ma spesso destinato ad accertare anche la sussistenza di presupposti della prestazione. Né il carattere contenzioso del procedimento può negarsi in ragione delle forme semplificate che lo contraddistinguono, atteso che è sempre più frequente che la giurisdizione contenziosa sia calata in modelli sommari. Alla medesima conclusione conduce poi il confronto con analoghi procedimenti per la liquidazione di altre prestazioni professionali come quello per i diritti e onorari di avvocato , ai quali la giurisprudenza riconosce pacificamente carattere contenzioso e nei quali è perciò consentito l’accesso in Cassazione. Le modifiche legislative favoriscono un ripensamento. A ciò si aggiunga che la riforma del procedimento di liquidazione delle competenze arbitrali ha ora previsto all’art. 814, comma 3, c.p.c. che l’ordinanza presidenziale di liquidazione sia soggetta al reclamo a norma dell’art. 825, quarto comma, c.p.c., ossia al regime impugnatorio proprio del titolo esecutivo formatosi nell’ambito del procedimento arbitrale, sul quale epilogo vi è ampia affermazione giurisprudenziale circa la sua ricorribilità in Cassazione. Del resto, sebbene il testo della disposizione possa lasciare intendere che la reclamabilità sia legata e dipenda solo dalla qualificazione del provvedimento come titolo esecutivo che sia quindi reclamabile la sola ordinanza che contenga un quantum , i Giudici di legittimità ritengono più corretto intendere l’estensione di questo tipo di reclamo non solo all’ordinanza di prime cure che abbia contenuto condannatorio, ma anche a quella avente un contenuto processuale, come ad esempio quella con cui il presidente del Tribunale si dichiari incompetente o chiuda il procedimento per qualsiasi ragione di rito o che neghi nel merito il diritto al compenso. Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte di Cassazione ritiene quindi necessario un ripensamento della soluzione negativa, e rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 2 febbraio – 8 marzo 2016, n. 4517 Presidente Forte – Relatore Genovese Svolgimento del processo 1. La Corte d’Appello di Roma ha parzialmente accolto il reclamo, ex articolo 814, 3 co., e 825 c.p.c., avverso il decreto di liquidazione delle competenze arbitrali compiuta dal Presidente del Tribunale della stessa città, riducendo la somma liquidata dal primo in favore degli arbitri sigg. dr. L.M. , avv. V.S. e avv. F.P. e posta a carico solidale delle parti del giudizio arbitrale ma ripartiti in 2/3 alla Todini Costruzioni Generali SpA ed 1/3 ad Altarea sca, società di diritto francese, e Altarea Italia srl. , con compensazione delle spese del procedimento. 2. La Corte territoriale, per quello che ancora interessa e rileva in questa sede, ha affermato che l’abrogazione delle tariffe forensi, ad opera del DL n. l del 2012, in attesa del decreto attuativo ex articolo 9 del detto DL, non impediva di servirsi di quelle, come strumento equitativo per valutare l’adeguatezza del compenso liquidato agli arbitri, ancor più perché questi formavano un collegio misto, e senza che potesse rilevare, in quella sede, l’asserita inesistenza o nullità dell’attività arbitrale. 3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società Todini Costruzioni Generali SpA, con due mezzi, articolati, e sulla premessa di una rimeditazione, da parte di questa Corte, dell’ammissibilità del ricorso ex articolo 111 Cost 3.1. Contro tale ricorso hanno resistito, con controricorso, i sigg. dr. L.M. , avv. V.S. e avv. F.P. . 4. Hanno altresì proposto controricorso le società condebitrici Altarea sca e Altarea Italia srl, chiedendo la cassazione del provvedimento impugnato. 4.1. Avverso di esso hanno resistito, con controricorso, i predetti sigg. dr. L.M. , avv. V.S. e avv. F.P. . Motivi della decisione 1. Il controricorso delle società Altarea deve essere qualificato come ricorso per cassazione, avendo con esso, le società controricorrenti richiesto la cassazione del provvedimento impugnato. 1.1. Infatti, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che Un controricorso ben può valere come ricorso incidentale, ma, a tal fine, per il principio della strumentalità delle forme - secondo cui ciascun atto deve avere quel contenuto minimo sufficiente al raggiungimento dello scopo occorre che esso contenga i requisiti prescritti dall’articolo 371 in relazione agli artt. 365, 366 e 369 cod. proc. civ. e, in particolare, la richiesta - anche implicita - di cassazione della sentenza, specificamente prevista dal n. 4 dell’articolo 366 cod. proc. civ. ed essenziale per individuare nell’atto in questione un mezzo di impugnazione, alla luce dei principi della domanda, del contraddittorio e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, implicanti, rispettivamente, la chiara indicazione del mezzo processuale azionato, il diritto della controparte di essere messa in condizione di difendersi e di replicare e il potere-dovere del giudice di identificare la domanda senza incertezze, per non andare oltre il limite della stessa . Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20454 del 2005 . 1.2. Nella specie, la richiesta di cassazione del provvedimento della Corte territoriale è espressamente enunciato e così anche le ragioni di essa, sicché l’atto notificato dalle società francesi deve essere qualificato come ricorso incidentale. 1.3. Ne discende che i due ricorsi per cassazione il principale, notificato dalla Todini e l’incidentale delle due società Altarea vanno riuniti e trattati congiuntamente, ai sensi dell’articolo 335 del codice di rito. 2. Gli stessi, peraltro, vanno rimessi all’esame del Primo Presidente della Corte di Cassazione perché valuti la sua eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili, per la soluzione della questione di massima di particolare importanza, ai sensi dell’articolo 374, secondo comma, ult. parte, c.p.c., sintetizzata nel ragionamento che segue. 3. Com’è noto, due pronunce delle Sezioni unite del 2009 la n. 15586 e la n. 15592 , nel modificare il precedente orientamento della sezione naturalmente competente nella materia processuale per tutte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5950 del 2003 , hanno dichiarato che il procedimento di cui all’articolo 814 c.p.c. nella formulazione anteriore alla riforma del D.Lgs. n. 40/2006 previsto per la liquidazione del compenso agli arbitri svolge una funzione giurisdizionale non contenziosa , che si conclude con una ordinanza di natura essenzialmente privatistica, perciò carente di vocazione al giudicato ed insuscettibile di ricorso per cassazione, ex articolo 111, comma 7, Cost 3.1. Successivamente, la Seconda sezione civile della Corte di cassazione ordinanza n. 17209, del 2011 ha rimesso il ricorso al Primo Presidente per l’eventuale ritorno alle Sezioni unite, sollecitando un ripensamento sul tema. 3.2. Le Sezioni unite - con la sentenza n. 13620 del 2012 - hanno confermato l’orientamento già condiviso, seppure per il diverso ordine di considerazioni attinenti all’esigenza di assicurare un sufficiente grado di stabilità agli indirizzi giurisprudenziali formatisi riguardo all’interpretazione di norme che, come l’articolo 814 c.p.c., presentano in proposito margini di opinabilità . 3.3. Ne è seguito un, forse troppo, automatico adeguamento giurisprudenziale Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3069 del 2013 e, sulla sua scia, Cass. sez. 1, sentenze nn. 17394 del 2015, 20102 del 2015, 21835 del 2014, 19323 del 2014, 15458 del 2014 nonché Cass. sez. 6-1, Ordinanza n. 3836 del 2014 tutte non massimate che ha considerato ormai acquisito quel risultato, nonostante l’intervenuta modifica della disciplina applicabile gli artt. 814 e 825 c.p.c. e il manifestatosi dissenso di ampia ed autorevole dottrina. 4. Sennonché, il complessivo mutamento legislativo sulla materia dell’arbitrato non ha mancato di produrre i suoi rilevanti effetti, atteso che il noto arresto delle sezioni unite di questa Corte sentenza n. 527 del 2000 , secondo cui l’arbitrato è sempre atto di autonomia privata, è stato superato dal recente punto reso dalle menzionati Sezioni le quali, con l’ordinanza n. 24153 del 2013, resa in materia di arbitrato estero ma sulla base di una rivisitazione dell’essenza dell’istituto, hanno consapevolmente compiuto una consapevole overruling in materia processuale cfr. Sez. U, Ordinanza n. 23675 del 2014 , affermando, tra l’altro, il principio di diritto secondo cui l’attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla legge 5 gennaio 1994, n. 5 e dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti. alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione . 5. Tanto sembra incidere, in termini diversi, anche sulla questione oggetto del presente procedimento. 5.1. Se la natura dell’arbitrato rituale è quella di un vero e proprio processo, caratterizzato anche dalla difesa tecnica delle parti, la materia delle spese di esso non sembra esulare dal complessivo trattamento processuale di un ordinario conflitto, tra i contrapposti diritti, attinenti alla regolazione di esse, sia nell’ an che nel quantum . 5.2. In questo rinnovato ambito sistematico, risulta un evidente interesse al ripensamento dei punti critici già segnalati dall’ordinanza di rimessione della terza sezione civile del 2011 pur anteriore, temporalmente, al richiamato overruling e della dottrina più attenta al tema a il procedimento dell’articolo 814 c.p.c. non sembra più inquadrabile tra quelli riguardanti gli atti integrativi della volontà negoziale , ex articolo 1349 c.c., espressa nel contratto d’arbitrato, per il solo fatto che, mentre il meccanismo dell’articolo 1349 c.c. attribuisce alle parti la facoltà di rivolgersi al tribunale per ottenere la determinazione della prestazione non effettuata dal terzo a cui era stato demandato il relativo compito nel contratto, nella disciplina dell’articolo 814 c.p.c. tale potere è sottratto alle parti e sono gli arbitri, in caso di non accettazione della determinazione del proprio compenso, a rivolgersi al presidente del tribunale per ottenere un suo provvedimento b a sostegno del carattere contenzioso del procedimento milita il contenuto dell’accertamento che svolge il giudice, per come esso opera in concreto non finalizzato solo alla quantificazione numerica del credito dell’arbitro, bensì sovente destinato ad accertare anche la sussistenza di presupposti della prestazione dai quali è ragionevolmente difficile pensare che il tribunale adito ex articolo 814 c.p.c. possa prescindere c né il carattere contenzioso del procedimento può essere negato in ragione delle forme semplificate che lo contraddistinguono, atteso che è sempre più frequente che la giurisdizione contenziosa sia calata in modelli sommari, i quali non perciò vanno privati della funzione di risolvere una controversia tra parti contrapposte d alla medesima conclusione conduce poi il confronto con analoghi procedimenti per la liquidazione di altre prestazioni professionali non ultimo quello per i diritti ed onorari di avvocato procedimenti ai quali la giurisprudenza è stabile nel riconoscere carattere contenzioso e nei quali è perciò consentito l’accesso in cassazione. 6. A tali elementi va aggiunto che la riforma del procedimento di liquidazione delle competenze arbitrali ha ora previsto all’articolo 814, 3 co., c.p.c. che l’ordinanza presidenziale di liquidazione sia soggetta al reclamo a norma dell’articolo 825, quarto comma , ossia al regime impugnatorio proprio del titolo esecutivo formatosi nell’ambito del procedimento arbitrale, sul quale epilogo, poi, vi era ed è ampia affermazione giurisprudenziale circa la sua ricorribilità in Cassazione. 6.1. Peraltro, nonostante il testo della disposizione possa lasciare intendere che la reclamabilità sia legata e dipenda solo dalla qualificazione del provvedimento come titolo esecutivo che sia quindi reclamabile la sola ordinanza che contenga un quantum e valga perciò quale titolo per l’esecuzione forzata , appare più corretto intendere l’estensione di questo tipo di reclamo non solo all’ordinanza di prime cure che abbia contenuto condannatorio, ma anche a quella avente anche un contenuto processuale, come ad esempio quella con cui il presidente tribunale si dichiari incompetente o chiuda il procedimento per qualsiasi ragione di rito o che neghi nel merito il diritto al compenso. 6.2. Si comprenderà, ancor meglio, la necessità di un ripensamento della soluzione negativa, specie se compiuta alla luce dell’ overruling compiuto dalle stesse Sezioni unite, nel 2013. P.Q.M. Riunisce le cause e le rimette al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili, in ragione e per la soluzione della questione di massima di particolare importanza, ai sensi dell’articolo 374, secondo comma, ultima parte, codice di procedura civile.