Parte vittoriosa nel merito ed eccezioni disattese: è necessario riproporle con appello incidentale? Opportuno l’intervento delle SU

Costituisce questione di massima importanza ed oggetto di contrasto interpretativo quella circa la necessità, per la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, di proporre, in ipotesi di gravame formulato dalla parte soccombente, appello incidentale avente ad oggetto le eccezioni non accolte dalla sentenza di primo grado.

La Sez. II Civile della Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 4058/16 depositata il 1° marzo, ha rimesso gli atti al Primo Presidente della Corte per valutare l’opportunità di demandare all’esame delle Sezioni Unite la questione di particolare importanza, ed oggetto di ricorso, inerente la necessità, per la parte vittoriosa nel merito, di riproporre con formale appello incidentale, in caso di appello della controparte, le eccezioni rigettate in primo grado. Il caso. Nel 1989 veniva stipulato un contratto di compravendita. Successivamente, le parti venditrici convocavano in causa la parte acquirente una società semplice per ottenere l’accertamento della nullità del contratto, oltre al risarcimento dei danni, ovvero, in via subordinata, per ottenere l’annullamento dello stesso per dolo oppure per errore . In via ancor più subordinata le parti venditrici chiedevano, previa revoca della quietanza contenuta nell’atto di compravendita, la condanna della società acquirente al pagamento del prezzo di compravendita. Occorre peraltro porre subito in evidenza, quanto alla domanda di annullamento del contratto, che la società convenuta ne aveva eccepito la prescrizione. La situazione era resa più complessa da un procedimento penale che vedeva imputato un soggetto riconducibile alla società acquirente per truffa contrattuale. Il Tribunale accoglieva solo la domanda delle parti venditrici di condanna al pagamento del prezzo di compravendita, mentre rigettava le domande di nullità ovvero di annullamento del contratto. Quanto a quest’ultima domanda, l’eccezione di prescrizione veniva rigettata tuttavia la domanda stessa di annullamento veniva disattesa nel merito. In questo quadro, le parti venditrici proponevano appello, sostenendo in particolare che il Tribunale non aveva preso in adeguata considerazione le risultanze del processo penale conclusosi con la condanna, per truffa contrattuale, di un soggetto riferibile alla società convenuta. La società appellata proponeva appello incidentale, chiedendo la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui era stata accolta la domanda di pagamento del corrispettivo della compravendita, ed in via gradata, per la sola ipotesi di accoglimento dell’appello principale, chiedendo la condanna degli appellanti alla corresponsione a loro favore della maggior somma tra lo speso e il migliorato richiesta connessa alla realizzazione di una villa sul terreno oggetto di compravendita. La Corte d’appello rigettava l’appello principale e accoglieva quello incidentale, revocando la condanna degli appellati al pagamento del prezzo di compravendita. Inoltre, quanto alla domanda di annullamento del contratto, la stessa veniva considerata prescritta, pur affermando la Corte di appello di condividere la decisione di primo grado di rigetto nel merito di detta domanda. Seguiva ricorso per cassazione delle parti venditrici, cui resisteva con controricorso la società acquirente. Un punto fermo la truffa contrattuale rende annullabile e non nullo il contratto. La Cassazione precisa anzitutto che il contratto concluso per effetto di truffa, penalmente accertata, di uno dei contraenti in danno dell’altro, non è radicalmente nullo sebbene annullabile, atteso che il dolo costitutivo del delitto di truffa non è ontologicamente, neanche sotto il profilo dell’intensità, diverso da quello che vizia il consenso negoziale, entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati dall’agente e diretti ad introdurre in errore l’altra parte e così a viziarne il consenso. Il Tribunale aveva rigettato espressamente l’eccezione di prescrizione dell’azione di annullamento del contratto. Il Tribunale aveva disatteso l’eccezione di prescrizione proposta dalla società convenuta con riferimento all’azione di annullamento per dolo fatta valere dalle parti venditrici ed attrici, sul presupposto che il principio, per il quale l’ignoranza di un diritto non incide sulla prescrizione, è inoperante laddove l’ignoranza sia frutto del comportamento doloso della controparte. Il Tribunale aveva precisato, nel merito, che il dolo non aveva influito sulla volontà delle parti attrici di concludere il contratto. Quindi, il Tribunale ha espressamente rigettato l'eccezione di prescrizione cui ha fatto seguito il rigetto della domanda attorea nel merito, con la conseguenza che all'esito del giudizio di primo grado, relativamente alla domanda di annullamento del contratto per dolo, la società convenuta è risultata totalmente vincitrice. La Corte d’appello aveva invece accolto l’eccezione di prescrizione non proposta con appello incidentale. Proposto appello, la parte acquirente, oltre a proporre appello incidentale sulla domanda relativa alle somme di cui alla quietanza contestuale alla vendita, nella comparsa si limitava a riproporre l'eccezione di prescrizione, ed all'esito del giudizio di appello la Corte distrettuale accoglieva detta eccezione, aggiungendo in ogni caso di condividere anche le ragioni che nel merito avevano portato il Tribunale a disattendere la domanda di annullamento. Secondo i ricorrenti, la Corte di appello avrebbe riesaminato la questione, accogliendo l'eccezione di prescrizione, in violazione di un giudicato interno venutosi a formare in ragione della mancata proposizione di un'impugnazione ad opera dell'appellata sulla questione relativa al rigetto dell'eccezione di prescrizione. Quanto alla prescrizione dell’azione di annullamento, in altre parole, la società convenuta non aveva proposto un vero e proprio appello incidentale, limitandosi, nella comparsa di risposta, ad affermare non può non eccepirsi la prescrizione nella quale le controparti sono incorse in tal senso sarebbe violato il principio della specificità dei motivi di appello di cui all’art. 342 c.p.c. . Sostengono i ricorrenti che tali espressioni non consentono di ritenere formalmente proposto appello incidentale in ordine al rigetto dell'eccezione di prescrizione, cosicché su tale punto si sarebbe formato un giudicato. Del resto, l’eccezione di prescrizione era stata espressamente rigettata dal Tribunale. Quindi, la Corte d’appello avrebbe errato nell’esaminare ed accogliere tale eccezione. La parte comunque vittoriosa nel merito deve riproporre le eccezioni disattese con appello incidentale? La questione processuale è quella di stabilire, a fronte non già del semplice assorbimento o della mancata disamina, ma dell'espresso rigetto di un'eccezione della parte, e peraltro di un'eccezione in senso stretto, quale quella di prescrizione di cui si controverte nel presente giudizio, se la parte - risultata per il resto totalmente vittoriosa - qualora sia interessata ad una nuova disamina da parte del giudice di appello, debba proporre appello incidentale ovvero possa limitarsi alla mera riproposizione della questione ex art. 346 c.p.c., come avvenuto nel caso di specie . La questione non è affatto pacifica. II punto di perdurante frizione interpretativa è rappresentato dal divergente apprezzamento del concetto di eccezioni autonome , da cui far discendere che il loro espresso rigetto imporrebbe la proposizione dell'appello incidentale a cura della parte che sia comunque risultata totalmente vittoriosa nel merito, essendo oggetto di non univoca interpretazione nella successiva giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione. L’ordinanza interlocutoria qui in esame dà atto della sussistenza, a tale riguardo, di due filoni interpretativi tra loro contrastanti. L’appello incidentale non è necessario Un primo filone interpretativo non pretende la proposizione di un appello incidentale. Infatti, secondo le Sezioni Unite del 2010, la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, difettando di interesse al riguardo, non ha l'onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado , da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite o anche quelle esplicitamente respinte qualora l'eccezione mirava a paralizzare una domanda comunque respinta per altre ragioni, ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell'art. 346 c.p.c. Nella specie, la Corte aveva escluso la necessità dell'appello incidentale da parte di chi si era visto rigettare l'eccezione di decadenza per tardività della domanda attorea comunque respinta per altre ragioni . anzi, l’appello incidentale è necessario. Invece, secondo una seconda opzione interpretativa, fatta propria da altre decisioni della Suprema Corte, l’appello incidentale sarebbe necessario. È stato infatti parimenti affermato che la parte risultata vittoriosa nel merito nel giudizio di primo grado, al fine di evitare la preclusione della questione di ammissibilità risolta in senso ad essa sfavorevole, è tenuta a proporre appello incidentale, non essendo sufficiente ad impedire la formazione del giudicato sul punto la mera riproposizione della questione, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., in sede di costituzione in appello, stante la non applicabilità dell'art. 346 c.p.c. riferibile, invece, a domande o eccezioni autonome sulle quali non vi sia stata decisione o non autonome e interne al capo di domande deciso a domande o eccezioni autonome espressamente e motivatamente respinte, rispetto alle quali rileva la previsione dell'art. 329 c.p.c., comma 2, per cui in assenza di puntuale impugnazione opera su di esse la presunzione di acquiescenza. In questo contesto la questione è stata rimessa al Primo Presidente della Cassazione, affinché valuti l’opportunità di rimettere ogni definitiva valutazione al riguardo alle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza interlocutoria 4 febbraio – 1 marzo 2016, n. 4058 Presidente Bianchini – Relatore Criscuolo In fatto Con atto di citazione ritualmente notificato in data 11/1/1995, T.R.L. , R.A.M. , B.L. e B.P.E. , questi ultimi due quali eredi di B.G. , convenivano in giudizio dinanzi alla Tribunale di Parma la D. e G.Z. Società Semplice al fine di ottenere l’accertamento della nullità dell’atto di compravendita concluso in data 16/3/1989 fra T.R.L. , in proprio e quale rappresentante della figlia R.A.M. , e B.G. , quali venditrici, e la società convenuta, all’epoca Azienda agricola G.Z. & amp C. s.a.s., oltre al risarcimento dei danni, ovvero in via subordinata l’annullamento dello stesso contratto per dolo ovvero per errore. In via ancora più subordinata chiedevano, previa revoca della quietanza contenuta nell’atto di compravendita, la condanna della società al pagamento del prezzo pattuito nell’atto di compravendita pari a L. 69.000.000, oltre interessi legali dalla data del rogito, ed il maggior danno. Attesa la coeva pendenza di un procedimento penale per il reato di truffa contrattuale, che vedeva come imputato Z.G. , la convenuta, oltre ad invocare il rigetto della domanda in quanto del tutto destituita di fondamento, in corso di causa chiedeva l’estinzione del processo, in quanto le attrici avevano esercitato l’azione civile per le restituzioni ed il risarcimento dei danni nell’ambito del suddetto procedimento penale. Nel corso del processo intervenivano altresì le sentenze penali pronunziate nei confronti dello Z. dapprima dal Pretore di Parma e successivamente dalla Corte di Appello di Bologna. Il Tribunale con la sentenza del 4/2/2002 n. 10016 accoglieva esclusivamente la domanda delle attrici di condanna al pagamento della somma di L. 69.000.000, rigettando le domande di nullità ovvero di annullamento del contratto. Avverso tale sentenza interponevano gravame le attrici assumendo l’erroneità della decisione impugnata per non avere adeguatamente preso in considerazione le risultanze del processo penale conclusosi con la condanna in via definitiva dello Z. . Si costituivano gli appellati, i quali a loro volta spiegavano appello incidentale, chiedendo la riforma della sentenza del Tribunale nella parte in cui aveva accolto la domanda di pagamento del corrispettivo della compravendita, ed in via gradata, per la sola ipotesi di accoglimento dell’appello principale, chiedendo la condanna degli appellanti alla corresponsione in loro favore della maggior somma tra lo spesso ed il migliorato, connessa alla realizzazione di una villa sul terreno oggetto di compravendita. La Corte di Appello di Bologna con la sentenza n. 749 del 5/7/2010 rigettava l’appello principale ed accoglieva l’appello incidentale, revocando la condanna degli appellati al pagamento della somma corrispondente al prezzo pattuito. Per la cassazione di tale sentenza, R.A.M. , anche quale erede di T.R.L. , B.M. ed B.P.E. hanno proposto ricorso sulla base di 10 motivi. Resiste con controricorso la società intimata. I ricorrenti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c Rilevato in diritto 1. In via preliminare può delibarsi l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla società intimata sul presupposto dell’esistenza di un giudicato costituito dalla sentenza n. 643 del 2009 della Corte di Appello di Bologna, con la quale, nell’accogliere la domanda risarcitoria conseguente ai danni scaturenti dalla condotta delittuosa posta in essere dallo Z. , sarebbe stata esclusa la natura truffaldina della vendita effettuata in favore della SIGEO, trattandosi dell’unica vendita in cui le venditrici erano comparse di persona. Si sostiene pertanto che, poiché anche nel contratto oggetto di causa le venditrici erano intervenute personalmente alla vendita, tali affermazioni rivestirebbero efficacia di giudicato anche in relazione al procedimento in esame. L’eccezione deve essere disattesa. In primo luogo la stessa pecca del requisito dell’autosufficienza in quanto, ben avrebbero dovuto i controricorrenti, onde consentire a questa Corte il riscontro ed il vaglio dei propri assunti, riprodurre testualmente nel corpo del controricorso la sentenza n. 643/2009 della Corte di Appello di Bologna, che avrebbe dato vita al giudicato esterno . Ed, infatti è principio più volte ribadito da questa Corte quello secondo cui, il principio della rilevabilità del giudicato esterno deve essere coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso ovvero come nel caso in cui supporti un’eccezione di inammissibilità del mezzo di impugnazione, del controricorso , per cui la parte che deduca il suddetto giudicato deve, a pena d’inammissibilità, riprodurre il testo della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della stessa cfr. Cass. 11.2.2015, n. 2617 Cass. sez. lav. 13.12.2006, n. 26627 . In ogni caso, dalla stessa prospettazione degli intimati si palesa l’impossibilità di poter configurare nella sentenza invocata un giudicato vincolante anche nel presente giudizio, in quanto la diversa sentenza invocata non ha visto come parte anche la società resistente, ma esclusivamente lo Z. , ed ha avuto ad oggetto esclusivamente la pretesa di risarcimento del danno scaturente dagli atti di alienazione per i quali si è celebrato il processo penale per il reato di truffa a carico del predetto Z. , processo penale che viceversa, come si avrà modo di esporre nel prosieguo, non ha invece riguardato l’atto di vendita del 16/3/1989. 2. Parimenti appare infondata è l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata in ragione dell’evocazione in giudizio, oltre che della società, anche dei soci Z.D. e G. in proprio, atteso che, come si ricava dalla lettura del ricorso, gli stessi risultano destinatari dell’impugnazione, unitamente alla società, ma esclusivamente nella qualità di soci. A tal fine appare opportuno richiamare il costante principio giurisprudenziale per il quale cfr. Cass. 23 maggio 2006 n. 12125 il contraddittorio nei confronti di una società di persone può ritenersi regolarmente instaurato anche nel caso in cui non sia convenuta la società, ma siano citati in giudizio tutti i suoi soci, solo se risulti accertato, attraverso l’interpretazione della domanda e con apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, che l’attore abbia proposto l’azione nei confronti della società per far valere un proprio diritto nei suoi confronti cfr. altresì Cass. 2 dicembre 2011 n. 25860 Cass. 20 agosto 2015 n. 17004, secondo cui l’appello proposto da tutti i soci di una società personale - nella specie, una società semplice - investe la stessa posizione di quest’ultima, che è priva di una soggettività distinta da quella dei primi e si identifica con la compagine sociale, sicché neppure nei suoi confronti può ritenersi formato il giudicato . Deve pertanto ritenersi del tutto ammissibile l’estensione del contraddittorio nei confronti dei soci, ancorché la domanda in primo grado fosse stata avanzata nei confronti della sola società, non determinando la partecipazione dei primi al giudizio alcuna estensione soggettiva dell’ambito del giudizio. 3. Con il primo mezzo, i ricorrenti lamentano la violazione del giudicato esterno rappresentato dalla sentenza pronunciata dalla stessa Corte di Appello in sede penale in data 18/1/2010, divenuta successivamente irrevocabile, con la quale l’ingegner Z. è stato definitivamente condannato per il reato di truffa in danno dei ricorrenti. A fronte di analoga eccezione sollevata anche in grado di appello, la sentenza impugnata ha ritenuto che il precedente di questa Corte invocato da parte delle appellanti Cassazione civile 15/2/2001 n. 2200 non potesse trovare applicazione nella fattispecie in quanto la vendita del 16/3/1989, della quale viene chiesto l’accertamento della nullità ovvero l’annullamento, non rientrava tra gli atti traslativi che erano stati sottoposti direttamente all’attenzione del giudice penale, onde verificare la sussistenza degli estremi del delitto contestato allo Z. . Sebbene in sentenza vi fosse un riferimento all’atto del 16/3/1989, lo stesso era finalizzato esclusivamente a giustificare le incongruenze, dimenticanze ed errori del racconto delle parti lese, senza che però mai vi fosse stato un immediato accertamento circa l’incidenza causale della condotta delittuosa dell’imputato sulla volontà delle venditrici. Assumono i ricorrenti che al contrario, attesa la partecipazione al giudizio penale sia delle attrici che dello Z. , il giudicato penale formatosi in ordine all’accertamento dei fatti ed alla loro rilevanza penale, spiegherebbe piena efficacia anche nel presente giudizio, palesandosi pertanto l’erroneità della sentenza impugnata laddove è pervenuta ad una decisione di segno contrario rispetto a quella già adottata dalla Corte d’appello in sede penale. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in relazione alla domanda di nullità del contratto oggetto di causa, assumendosi che il giudice di appello, contraddicendo le premesse del suo stesso ragionamento argomentativo, afferma l’impossibilità di poter ravvisare la nullità del contratto, per difetto di volontà delle venditrici, non potendosi mai porre in dubbio che le stesse in realtà intendevano alienare l’intero fondo di loro proprietà. Infatti, essendosi riconosciuto che la truffa posta in essere da parte dello Z. era consistita nell’aver fatto credere che la vendita perfezionata il 14/2/1989 con la SIGEO riguardava l’intero cespite, non appariva logica la deduzione successivamente sviluppata in motivazione, secondo cui le venditrici non potevano non sapere che in realtà stavano vendendo all’intimata una frazione del fondo G. diversa da quella già venduta alla SIGEO. Con il terzo motivo di ricorso si denunzia sotto il profilo del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nonché, in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., la violazione delle regole in tema di presunzioni, lamentando una, del tutto inadeguata valutazione e comparazione delle risultanze istruttorie, trascurando in particolare le evidenze emergenti dal giudicato penale. Con il quarto motivo di ricorso i ricorrenti denunciano la violazione di legge nella parte in cui la sentenza impugnata ha affermato che non fosse proponibile l’azione degli attori, in mancanza della proposizione di querela di falso nei confronti dell’atto di vendita, in quanto stipulata nella forma dell’atto pubblico. Lamentano che i giudici di merito avrebbero di fatto sottoposto al regime probatorio privilegiato riservato dal legislatore all’atto pubblico, anche quella parte che attiene al contenuto intrinseco dello stesso, per il quale risulta invece possibile fornirne la prova e contraria, senza necessità di proporre formale querela di falso. Con il quinto mezzo di gravame, e relativamente alla domanda di annullamento, si denunzia la violazione di legge in tema di giudicato interno nonché in ordine all’erroneo rilievo ufficioso della prescrizione ed alla individuazione del termine di decorrenza della stessa. Nella prima parte del motivo si invoca il giudicato penale anche per quanto concerne l’individuazione del termine di prescrizione, evidenziandosi che dalle motivazioni delle sentenze penali intervenute nei confronti dello Z. emergeva che le venditrici solo nel 1993 avevano avuto piena contezza della condotta criminale del loro ex tecnico di fiducia, cosicché la sentenza impugnata erroneamente ha ritenuto che la prescrizione dell’azione di annullamento per dolo doveva decorrere dalla data stessa di stipulazione dell’atto di compravendita. Nella seconda parte del motivo si deduce però che il Tribunale nel decidere in primo grado la controversia, alla pagina 6, nell’esaminare l’eccezione di prescrizione sollevata da parte della convenuta, aveva osservato che le attrici solo nel 1993 erano venute a conoscenza dei fatti dolosi posti in essere dall’ingegner Z. nei loro confronti e che, ancorché l’ignoranza circa l’esistenza di un diritto non influisca sul decorso della prescrizione, tale regola viene tuttavia meno allorquando l’ignoranza sia frutto del comportamento doloso della controparte. Si sostiene pertanto che l’eccezione in oggetto era stata espressamente disattesa da parte del giudice di primo grado e che inopinatamente la Corte di Appello ha riesaminato tale questione, accogliendo l’eccezione di prescrizione in violazione di un giudicato interno venutosi a formare in ragione della mancata proposizione di un’impugnazione ad opera dell’appellata, sulla questione relativa al rigetto dell’eccezione di prescrizione. In particolare l’appello incidentale proposto da parte della società aveva per oggetto l’accoglimento della domanda di condanna al pagamento del corrispettivo della compravendita, ma, per quanto concerne lo specifico problema della prescrizione, a pagina 17 della comparsa di risposta, al punto 3.3, si era limitata ad affermare non può non eccepirsi la prescrizione nella quale le controparti sono incorse . Sostengono i ricorrenti che tali espressioni non consentono di ritenere formalmente proposto appello incidentale in ordine al rigetto dell’eccezione di prescrizione, cosicché su tale punto si sarebbe formato un giudicato. In ogni caso le espressioni letterali utilizzate dall’appellata, come sopra riportate, non sarebbero in grado di soddisfare il requisito della specificità dei motivi di appello, richiesto dall’articolo 342 c.p.c., con la conseguenza che era precluso alla Corte felsinea di poter ritornare sulla questione relativa alla prescrizione dell’azione proposta. Con il sesto motivo di ricorso, sempre in merito alla domanda di annullamento, si denunzia la violazione di legge ovvero l’omessa, insufficiente motivazione in ordine al valore interruttivo della missiva del 5/10/1993 con la quale si lamentava il mancato rendimento del conto da parte dello Z. e l’assenza di prove sul pagamento del prezzo del mappale interessato dalla vendita del 16 marzo 1998, e della denunzia querela proposta nei confronti dello Z. in data 31/12/1993 ed alla successiva costituzione di parte civile. Con il settimo motivo di ricorso si denunzia l’errore di diritto commesso dai giudici di appello che hanno ritenuto applicabile all’azione di annullamento il termine di prescrizione quinquennale anziché quello maggiore previsto per il reato di truffa aggravata. Con l’ottavo motivo di ricorso, che presenta evidenti motivi di connessione con il terzo, si denunzia, in relazione al rigetto della domanda di annullamento, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, sostanzialmente travisando le risultanze del processo penale che veniva inevitabilmente a coinvolgere, nell’accertamento della condotta delittuosa, anche la vendita per cui è causa, affermandosi altresì, in maniera del tutto illogica, che la società, della quale l’ing. Z. era legale rappresentante, ne ignorasse il dolo. Con il nono motivo di ricorso si denunzia l’omessa pronunzia da parte della Corte distrettuale sulla domanda risarcitoria parimenti proposta dalle originarie parti attrici, assumendosi altresì che, ove si ritenga esservi stato un rigetto implicito, la sentenza sarebbe in ogni caso viziata ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. per l’assoluta carenza di motivazione. Con il decimo motivo si denunzia infine l’iniquità della pronuncia impugnata nella parte in cui inopinatamente ha condannato le ricorrenti a restituire l’importo di cui alla quietanza contestuale all’atto di vendita. 4. Ad avviso del Collegio, una volta ribadito, alla luce della giurisprudenza di questa Corte che cfr. da ultimo Cass. 31 marzo 2011 n. 7468 il contratto concluso per effetto di truffa, penalmente accertata, di uno dei contraenti in danno dell’altro è non già radicalmente nullo ex art. 1418 cod. civ., in correlazione all’art. 640 cod. pen. , sebbene annullabile ai sensi dell’art. 1439 cod. civ., atteso che il dolo costitutivo del delitto di truffa non è ontologicamente, neanche sotto il profilo dell’intensità, diverso da quello che vizia il consenso negoziale, entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati dall’agente e diretti ad indurre in errore l’altra parte e così a viziarne il consenso conf. Cass. 26 maggio 2008 n. 13566 Cass. 10 dicembre 1986 n. 7322 , ed una volta evidenziata la non condivisibilità delle argomentazioni per le quali il giudicato formatosi in sede penale avrebbe tale efficacia anche nel presente giudizio e ciò in considerazione che la vendita in esame non rientra tra gli episodi delittuosi relativamente ai quali è intervenuta la sentenza irrevocabile di condanna dello Z. , e non avendo preso parte al giudizio penale l’odierna controricorrente , riveste rilievo assolutamente centrale ai fini anche della disamina delle altre doglianze dei ricorrenti, la questione giuridica sottesa alla proposizione del quinto motivo di ricorso. 5. Effettivamente, dalla lettura - resa possibile, anche in sede di legittimità, dalla natura del vizio censurato - della sentenza del Tribunale di Parma n. 10016 del 4 febbraio 2002, alla pag. 6, lett. b , emerge che il giudice di primo grado ebbe formalmente a disattendere l’eccezione di prescrizione sollevata dalla società convenuta relativamente all’azione di annullamento per dolo, sul presupposto che il principio, per il quale l’ignoranza di un diritto non incide sulla prescrizione, è inoperante laddove l’ignoranza sia frutto del comportamento doloso della controparte. Nel merito poi perveniva al rigetto della domanda de qua ritenendo che il dolo dello Z. non aveva influito sulla volontà delle attrici di concludere il contratto in esame. Emerge pertanto un rigetto espresso dell’eccezione di prescrizione cui ha fatto seguito il rigetto della domanda attorea, con la conseguenza che all’esito del giudizio di primo grado, relativamente alla domanda di annullamento del contratto per dolo, la società convenuta è risultata totalmente vincitrice. Proposto appello avverso la decisione del Tribunale, la controricorrente, oltre a proporre appello incidentale sulla domanda relativa alle somme di cui alla quietanza contestuale alla vendita, nella comparsa si limitava a riproporre l’eccezione di prescrizione, ed all’esito del giudizio di appello la Corte distrettuale accoglieva detta eccezione, aggiungendo in ogni caso di condividere anche le ragioni che nel merito avevano portato il Tribunale a disattendere la domanda di annullamento. La questione processuale che viene evidenziata dalla formulazione del quinto motivo di ricorso è appunto quella di stabilire, a fronte non già del semplice assorbimento o della mancata disamina, ma dell’espresso rigetto di un’eccezione della parte, e peraltro di un’eccezione in senso stretto, quale quella di prescrizione di cui si controverte nel presente giudizio, se la parte - risultata per il resto totalmente vittoriosa - qualora sia interessata ad una nuova disamina da parte del giudice di appello, debba proporre appello incidentale ovvero possa limitarsi alla mera riproposizione della questione ex art. 346 c.p.c., come sembra essere avvenuto nel caso in esame. 6. Il contrasto presso questo organo di nomofilachia, già esistente negli anni passati, risulta essere stato altresì acuito dal noto intervento delle Sezioni Unite di cui all’ordinanza del 16 ottobre 2008 n. 25246, con la quale si è affermato che la parte risultata vittoriosa nel merito nel giudizio di primo grado, al fine di evitare la preclusione della questione di giurisdizione risolta in senso ad essa sfavorevole, è tenuta a proporre appello incidentale, non essendo sufficiente ad impedire la formazione del giudicato sul punto la mera riproposizione della questione, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., in sede di costituzione in appello, stante l’inapplicabilità del principio di rilevabilità d’ufficio nel caso di espressa decisione sulla giurisdizione e la non applicabilità dell’art. 346 cod. proc. civ. riferibile, invece, a domande o eccezioni autonome sulle quali non vi sia stata decisione o non autonome e interne al capo di domande deciso a domande o eccezioni autonome espressamente e motivatamente respinte, rispetto alle quali troverebbe applicazione la previsione dell’art. 329, secondo comma, cod. proc. civ., per cui in assenza di puntuale impugnazione opera su di esse la presunzione di acquiescenza. Il punto di perdurante frizione interpretativa è rappresentato dal divergente apprezzamento del concetto di eccezioni autonome , da cui far discendere che il loro espresso rigetto imporrebbe la proposizione dell’appello incidentale a cura della parte che sia comunque risultata totalmente vittoriosa nel merito, essendo oggetto di non univoca interpretazione nella successiva giurisprudenza di questa Corte. 7. Con specifico riferimento all’eccezione di prescrizione, Cass. 10 marzo 2011 n. 5735 ha affermato che la parte vittoriosa in primo grado ha l’onere di manifestare in maniera esplicita e precisa la propria volontà di riproporre domande od eccezioni respinte, anche implicitamente, dalla sentenza impugnata. Pur affermando l’inammissibilità dell’eccezione nella specie, quella di decadenza e prescrizione del committente dall’azione di responsabilità ex art. 2226 cod. civ. , formulata in primo grado, ma riproposta dalla parte vittoriosa non già nella comparsa di costituzione in appello, ma esclusivamente nella memoria di replica alla comparsa conclusionale avversaria in detto giudizio, ha però implicitamente opinato per la semplice riproponibilità ex art. 346 c.p.c In termini circa l’applicabilità dell’art. 346 c.p.c. per l’ipotesi in cui, pur essendovi stato il rigetto dell’eccezioni di prescrizione, l’eccipiente sia poi risultato totalmente vittorioso nel merito si veda anche Cass. n. 3715/2015, mentre per l’applicazione in generale della regola de qua a tutte le eccezioni ancorché formalmente respinte, si veda ex multis, e senza alcuna pretesa di esausitività, Cass. 8825/2015 Cass. 13411/2014 Cass. 3602/2014 Cass. 21967/2014 Cass. 14086/2010. Si segnala in particolare, proprio per la necessità di confrontarsi con il citato precedente delle Sezioni Unite, Cass. 26 novembre 2010 n. 24021, la cui massima così recita La parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, difettando di interesse al riguardo, non ha l’onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado , da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite o anche quelle esplicitamente respinte, qualora l’eccezione avesse mirato a paralizzare una domanda comunque respinta per altre ragioni, ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ. Nella specie, la Corte ha escluso la necessità dell’appello incidentale da parte di chi si era visto rigettare l’eccezione di decadenza per tardività della domanda attorea comunque respinta per altre ragioni . Nella parte motiva, nello sposare il rimedio della riproponibilità dell’eccezione respinta, la pronuncia da ultimo menzionata ha precisato che non contraddice tale indirizzo, del resto risalente e consolidato, l’apparentemente difforme pronuncia di Cass., sez. unite, 16 ottobre 2008 n. 25246, che, andando di contrario avviso a precedenti pronunce difformi anche delle stesse sezioni unite Cass., sez. unite, 19 febbraio 2007, n. 3717 , ha ritenuto la necessità dell’impugnazione incidentale in ordine all’eccezione di difetto di giurisdizione. Nel caso ivi esaminato si trattava, infatti, di un’eccezione pregiudiziale di rito, potenzialmente impeditiva, in limine, del giudizio stesso, oggetto di accertamento negativo ed estranea ai presupposti sostanziali della domanda poi rigettata nel merito. Il discrimine tra la mera riproponibilità di un’eccezione ex art. 346 cod. proc. civ. e la necessità dell’appello incidentale - secondo Cass. 25246/2008 - sarebbe segnato dal presupposto dell’esistenza, o no, di una decisione - formalmente espressa, o anche implicita - sull’eccezione o, a fortiori sulla domanda . In questo senso, la dizione normativa eccezioni non accolte non va intesa come endiadi per rigettate bensì, per non esaminate , perché assorbite. Se quindi manca una statuizione di rigetto, l’eccezione sarà sicuramente riproponibile nelle forme e termini di cui al combinato disposto degli artt. 347, 166 e 167 cod. proc. civ., senza necessità di assumere la veste dell’appello incidentale. L’art. 346 cod. proc. civ. sarebbe infatti riferibile, secondo la decisione che qui si esamina, infatti, ad eccezioni autonome sulle quali non vi sia stata decisione come pure ad eccezioni non autonome e disattese, se interne al capo di domanda egualmente respinto, ma per difetto dei presupposti sostanziali. Le domande o eccezioni autonome quali, appunto, quelle concernenti giurisdizione e competenza motivatamente respinte soggiacciono, per contro, alla previsione di cui all’art. 329 c.p.c., comma 2 con la conseguente presunzione di acquiescenza, legata all’omessa impugnazione. Da tale impostazione dogmatica discende che la presenza di una decisione esplicita non preclude automaticamente la facoltà di cui all’art. 346 cod. proc. civ. se l’eccezione non accolta mirava a paralizzare una domanda che sia stata, poi, comunque, respinta per altre ragioni. Nella specie, l’eccezione di decadenza, per tardività, della domanda svolta dal .”. 8. A favore invece della tesi della necessità dell’appello incidentale si pongono invece altre decisioni di questa Corte. Cass. 27 aprile 2011 n. 12315, nell’esaminare la questione, ha espressamente affermato che, alla luce del menzionato intervento delle SS.UU., la regola ivi affermata per la giurisdizione, era da reputarsi estensibile a tutte le questioni pregiudiziali e preliminari, assumendosi la necessità dell’appello incidentale affinché non si formi il giudicato sul rigetto da parte del giudice di primo grado. In senso conforme si pone poi, e sempre con richiamo a Cass. n. 25246/2008, Cass. 30 agosto 2013 n. 19995, e proprio con specifico riferimento al rigetto espresso di un’eccezione di prescrizione in senso conforme ed esteso a tutte le eccezioni, si veda anche, e sempre senza pretesa di esaustività, Cass. 15448/2014 Cass. 21967/2014 . 9. Alla luce del segnalato contrasto di giurisprudenza, che pur partendo dal comune dato giurisprudenziale costituito dal citato intervento delle Sezioni Unite, perviene tuttavia a conclusioni applicative assolutamente divergenti, deve reputarsi che tale contrasto non sia obiettivamente suscettibile di essere composto individuando una complementarità logica tra le opposte posizioni. Inoltre la risoluzione della questione risulta avere rilevanti riflessi applicativi anche per quanto attiene al giudizio di legittimità attesa la pacifica inapplicabilità in questa sede della previsione di cui all’art. 346 c.p.c., ove si opti per la tesi della superfluità dell’impugnazione incidentale, la parte totalmente vittoriosa nel merito all’esito del giudizio di appello, non sarebbe tenuta a proporre ricorso incidentale condizionato per far valere l’erroneo rigetto dell’eccezione, conservando la possibilità di riproporla eventualmente in sede di rinvio . Pertanto, considerata anche la sussistenza di una questione di massima di particolare importanza, reputa il Collegio che sussista l’opportunità di richiedere al Primo Presidente di valutare, ai sensi dell’art. 374 co. 2 c.p.c., se disporre che la Corte debba pronunciare al riguardo a Sezioni Unite. P.Q.M. Si rimettono gli atti al Primo Presidente di questa Corte perché valuti l’opportunità di demandare all’esame delle Sezioni Unite la questione di massima di particolare importanza - oggetto anche di contrasto interpretativo - indicata in parte motiva. Manda alla Cancelleria di comunicare la presente ordinanza alle parti costituite.