In fuga dalla Libia sconvolta da violenze e scontri armati: niente protezione umanitaria

Nessuna tutela per lo straniero, cittadino ghanese, approdato in Italia e scappato dalla Libia. Decisivo il fatto che egli abbia vissuto solo per pochi mesi nel Paese nordafricano, toccato dalla cosiddetta ‘primavera araba’.

Originario del Ghana, ma presente in Libia per alcuni mesi, nel periodo della cosiddetta ‘primavera araba’. Tale permanenza nel Paese nordafricano, però, non è sufficiente per riconoscere all’uomo, approdato in Italia, la protezione umanitaria” Cassazione, ordinanza numero 3986, sezione sesta civile, depositata oggi . Protezione . In prima battuta, nel contesto del Tribunale, allo straniero era stato però concesso il permesso di soggiorno per motivi umanitari . Decisiva la constatazione della provenienza dalla Libia, all’epoca – primi mesi del 2011 – sconvolta da violenze e scontri armati. Riferimento decisivo, per i giudici di primo grado, le misure umanitarie di protezione temporanea previste per i cittadini provenienti dai Paesi del Nord Africa . Tale visione, però, è smentita in appello, dove vengono considerati lacunosi i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria per il cittadino ghanese. E questa decisione viene condivisa e confermata dai Giudici della Cassazione. In terzo grado, difatti, viene rimarcato che lo straniero non è cittadino di un Paese nordafricano , poiché egli stesso ha dichiarato di essere cittadino del Ghana e di essere stato pochi mesi in Libia, precisamente dal gennaio 2011 al marzo 2011 , prima di partire per l’Italia . Tutto ciò consente di leggere in maniera chiara, sempre secondo i Giudici, la situazione personale dell’uomo egli, in sostanza, non ha reciso i legami con il Paese d’origine e ha soggiornato per pochissimo tempo sul territorio libico .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 7 luglio 2015 – 29 febbraio 2016, numero 3986 Presidente Dogliotti – Relatore Ragonesi Fatto e diritto La Corte rilevato che sul ricorso numero 1498/2015 proposto da Y. K. nei confronti del Ministero Interno il consigliere relatore ha depositato ex art .380 bis cpc la relazione che segue. Il relatore Cons. R., letti gli atti depositati, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. osserva quanto segue. Con ricorso depositato il 16.11.2012, Y. K. impugnava dinanzi al Tribunale di Bologna la decisione assunta in data 31.05.2012 dalla Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Torino - Sezione Distaccata di Bologna - che gli negava il riconoscimento della protezione internazionale. Con ordinanza del 19.01.2014, il Giudice adito negava al ricorrente lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria, accogliendo tuttavia la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Avverso tale decisione proponeva appello il Ministero dell'Interno chiedendo la riforma del provvedimento impugnato e la conseguente revoca della protezione umanitaria. Lo Y. si costituiva in giudizio chiedendo la conferma dell'ordinanza del Tribunale di Bologna impugnata. Con sentenza del 30.09.2014, la Corte d'Appello di Bologna, riformando il provvedimento impugnato, accoglieva l'appello proposto dal Ministero dell'Interno e rigettava la domanda dello Y Avverso tale provvedimento lo Y. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Il Ministero non ha svolto alcuna attività difensiva. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell art. 20 del D.lgs. 25 luglio 1998 numero 286, per non avere il Giudice di merito applicato tale disposizione alla situazione personale dello Y L'art. 20 D.lgs. 286/1998, prevede che in occasioni di conflitti o di altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all'Unione Europea, possano essere previste particolari misure di protezione con decreto del presidente del Consiglio. In attuazione di tale norma, ed in occasione della cosiddetta `primavera araba , il 05.04.2011 è stato emanato un DPCM contenente alcune misure umanitarie di protezione temporanea. In particolare, l 'art, 2 del predetto DPCM delinea in modo specifico le condizioni di accoglienza sul territorio nazionale dei cittadini provenienti dai Paesi del Nord Africa, disponendo che gli stessi siano inviati, se necessario, presso strutture di primo soccorso sul territorio nazionale e che il questore, dopo aver verificato la provenienza e la nazionalità degli interessati, rilasci un permesso di soggiorno per motivi umanitari della durata di sei mesi. Nel caso di specie il ricorrente non è però cittadino di un Paese nordafricano, in quanto egli stesso ha dichiarato di essere cittadino del Ghana e di essere stato pochi mesi in Libia, precisamente dal gennaio 2011 al marzo 2011, prima di partire per l'Italia. Lo stesso, come si evince dal provvedimento impugnato, non aveva reciso i legami con il Paese d origine e non può considerarsi di nazionalità libica. Del tutto incongruo appare, dunque, il richiamo all art. 20, che presuppone un'applicazione fondata su qualifiche soggettive non riscontrabili nel ricorrente odierno. Lo Y. lamenta, inoltre, una irragionevole disparità di trattamento degli stranieri giunti in Italia sino al 5 aprile 2011 data sino alla quale è stata prorogata l applicazione delle misure umanitarie disposte dal DPCM e quelli che vi siano giunti nel periodo immediatamente successivo, come lui medesimo, sostenendo che, per evitare un contrasto costituzionale con l art. 3 Cost., il DPCM del 05.04.2011 debba essere interpretato estensivamente. La doglianza appare infondata e comunque ininfluente poiché non potendo usufruire comunque il ricorrente delle disposizioni di cui al DPCM in esame, nessuna rilevanza e interesse riveste l'estensione temporale di applicazione della norma. Quanto poi alla prospettata interpretazione estensiva che sarebbe giustificata dal rispetto del principio di euguaglianza, va rammentato che la scelta di limitare sia sotto il profilo soggettivo che sotto quello temporale l'operare di misure urgenti, dettate dall'eccezionalità della situazione che si stava verificando nei paesi nordafricani,è espressione del legittimo esercizio della discrezionalità legislativa non trasmoda, quindi, in una violazione del principio di ragionevolezza e di eguaglianza. Sotto un diverso profilo è appena il caso di osservare che trattandosi di norma eccezionale, la stessa non è suscettibile di interpretazione estensiva. Pertanto il primo motivo appare infondato. Con il secondo motivo si censura l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, dolendosi, il ricorrente dell omessa valutazione da parte del giudice di merito di alcune dichiarazioni da lui rese, volte a corroborare il fatto che lo stesso avesse in realtà reciso i legami con il Paese d'origine e che si fosse trasferito in Libia con l'intento di ivi stabilirsi definitivamente. Il Giudice di merito nel provvedimento impugnato ha adeguatamente motivato il rigetto della richiesta del permesso di soggiorno, valutando in modo specifico la situazione personale del ricorrente e basando la propria decisione sul dato storico della breve durata del soggiorno dello Y. sul territorio libico e della sua cittadinanza ghanese. Le contestazioni mosse dal ricorrente circa il modo in cui il Giudice territoriale ha valutato le risultanze istruttorie investono inammissibilmente il merito della decisione e, dunque, non possono essere valutate in tale sede di legittimità. Ove si condividano i testè formulati rilievi, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all'art. 375 c.p. c. P.Q.M. Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio. Considerato che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra che pertanto il ricorso va rigettato senza spese non avendo il Ministero svolto attività difensiva P.Q.M. Rigetta il ricorso Non sussistono le condizioni per l'applicazione del doppio contributo ex art 13 comma 1 quater DPR 115/02