È sanzionabile disciplinarmente la carenza di autorganizzazione da parte del magistrato

In caso di reiterati ritardi nel deposito dei provvedimenti, il magistrato non può invocare di per sé l’esimente dell’eccessivo carico di lavoro o della buona e generale laboriosità personale, trattandosi di profili la cui rilevanza va accertata e valutata caso per caso.

Le Sez. Un. della Cassazione, con la sentenza n. 3800/16 depositata il 26 febbraio, hanno confermato la condanna disciplinare nei confronti di un magistrato che, a fronte di una complessiva buona produttività, aveva comunque depositato con ritardo diversi provvedimenti soprattutto sentenze penali monocratiche . Il caso. Un magistrato, nelle sue funzioni di giudice di Tribunale, veniva incolpato e condannato sanzione della censura dalla Sezione disciplinare del C.S.M. per aver violato i propri doveri di diligenza e di operosità, depositando n. 35 sentenze penali monocratiche oltre il termine di legge. In particolare, erano emersi ritardi nel deposito superiori ad un anno in n. 17 casi a due anni in n. 5 casi e a tre anni in n. 1 caso. Peraltro, a fronte dei descritti ritardi, il magistrato vantava una grande laboriosità, tenuto altresì conto del fatto che egli ricopriva più incarichi. Contro quella decisione l’incolpato proponeva un primo ricorso per cassazione, che veniva in parte accolto, con rinvio. Tuttavia, in sede di rinvio, la Sezione disciplinare del C.S.M. confermava la precedente sanzione. Contro tale decisione, l’incolpato proponeva un nuovo ricorso per cassazione. La prima decisione della Cassazione il ritardo nel deposito dei provvedimenti era sintomo non equivoco di mancanza di operosità o di capacita di autorganizzazione? L’originaria decisione della Sezione disciplinare del C.S.M. veniva cassata dalle Sezioni Unite perché era necessario valutare le peculiarità della fattispecie e, segnatamente, i profili qualitativi e quantitativi nonché la complessiva organizzazione dell'Ufficio e le funzioni svolte dal Magistrato . Elementi, in ipotesi, idonei a privare di fondamento l'addebito, stante la consistenza dei depositi tardivi rispetto a quelli avvenuti nel rispetto dei termini e la riconosciuta incidenza della complessiva situazione di lavoro del magistrato nel processo valutativo e tenuto conto che il ritardo, anche reiterato, non era idoneo, di per sé, ad integrare l'illecito disciplinare, occorrendo, pure, che costituisse sintomo non equivoco di mancanza di operosità o di capacita di autorganizzazione. La seconda decisione” della Sezione disciplinare del C.S.M. i ritardi erano comunque da considerarsi gravi e reiterati. Sotto il profilo della gravità veniva in rilievo la ripetitività ma soprattutto la notevole durata della gran parte dei ritardi contestati. La valutazione del parametro della gravità andava effettuata considerando contemporaneamente la durata dei singoli ritardi e la loro frequenza nel periodo considerato, in relazione al numero complessivo dei provvedimenti depositati dal magistrato. Non era dubbia, inoltre, la integrazione del requisito della reiterazione, proprio in considerazione della elevata ripetitività dei comportamenti contestati. I ritardi erano, inoltre, ingiustificati. L'ingiustificabilità del ritardo, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, non costituiva un ulteriore elemento della fattispecie, ma ne rappresentava un elemento esterno riconducibile alla categoria delle condizioni di inesigibilità. Si trattava quindi di un elemento funzionale alla delimitazione degli obblighi giuridicamente determinati sul piano normativo che aveva lo scopo di temperarne il rigore applicativo quando, per circostanze specificamente accertate, la sanzione sarebbe apparsa irrogata non iure, configurandosi, in sostanza, quale causa di giustificazione non codificata rilevante sul piano oggettivo o su quello soggettivo. Il carico di lavoro non può escludere l’illecito la carenza di capacità autorganizzativa. Secondo gli Ermellini, la Sezione disciplinare ha plausibilmente affermato che il rilevante numero dei ritardi e la loro specifica entità erano circostanze che, unitariamente considerate, non consentivano di ricondurre al solo carico di lavoro, pur notevolissimo, la causa della condotta illecita contestata e, dunque di eliderne il disvalore disciplinare e da rendere ingiustificata l'inflitta sanzione, peraltro contenuta nel minimo edittale. Tale conclusione e le puntuali argomentazioni ad essa sottese sono state considerate dalle Sezioni Unite aderenti al dettato normativo, ai principi giurisprudenziali sul tema, quali anche affermati nella precedente sentenza di legittimità, logiche e plausibili, non essendosi con esse evidentemente inteso stigmatizzare laboriosità e produttività del magistrato incolpato - pure giustamente valorizzate nella valutazioni professionali espresse da altri organi competenti rispetto al diverso ambito della sua progressione in carriera -, ovvero surrettiziamente pretendere l'incremento di quei profili, in tesi inesigibile, ovvero ancora ascrivergli compiti e responsabilità altrui, ma essenzialmente addebitargli, in linea con le prefissate e seguite regole e con gli emersi connotati dei ritardi implicanti carente diligenza autorganizzativa, il difetto di prova di eccezionali circostanze atti a giustificarli e quindi discolparlo, e sostanzialmente la mancata dimostrazione che in tutto il lasso di tempo interessato, non sarebbero stati ragionevolmente possibili suoi diversi ed ipotizzabili comportamenti di organizzazione e impostazione del lavoro, o che, in ogni caso essi non avrebbero potuto in alcun modo evitare i ritardi accumulati o almeno ridurne la dilatazione. La scarsa rilevanza del fatto l’onere della prova grava sull’incolpato. Quanto all'esimente della scarsa rilevanza del fatto, in disparte l’inammissibilità della censura, i ritardi accertati, date le relative connotazioni, superavano secondo criteri oggettivi e generalizzabili il limite della scarsa rilevanza, arrecando discredito all'ordine giudiziario. Nel caso specifico, il ricorrente si è limitato a denunziare la violazione della norma, ma non ha esposto quali siano le specifiche circostanze esterne alla configurazione dell'illecito disciplinare, per le quali avrebbe dovuto essere applicata l'esimente invocata, non integrata dal mantenuto prestigio professionale. Infatti, già in precedenza le Sezioni Unite aveva affermato il principio per cui, in tema di responsabilità disciplinare del magistrato, ai fini della sussistenza dell'illecito per ritardo nel deposito dei provvedimenti, non è ostativa la mancata percezione della gravità dei fatti nella ristretta cerchia giudiziaria nella specie, da parte dei presidenti del Tribunale e della sezione di appartenenza , la quale può riflettere una desensibilizzazione circa la gravità della condotta, ma non la rende legittima, né elide la sua rilevanza.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 9 – 26 febbraio 2016, numero 3800 Presidente Rordorf – Relatore Giancola Svolgimento del processo Il 18.10.2012 veniva promossa azione disciplinare nei confronti del dottor D.T.A. e conclusivamente a lui contestato l’illecito di cui agli artt. 1 e 2, comma 1, lett. q del D.Lvo 23 febbraio 2006, numero 109 perché, nell’esercizio delle funzioni di giudice del Tribunale di e della sezione distaccata di omissis , nel periodo compreso tra il 26 maggio 2004 ed il 7 novembre 2011, aveva violato i propri doveri di diligenza e di operosità, depositando numero 35 sentenze penali monocratiche oltre il termine di legge. In particolare, erano emersi ritardi nel deposito superiori ad un anno in numero 17 casi a due anni in 5 casi e a tre anni in 1 caso. Con sentenza numero 86 dell’8.04-22.05.2014 la Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura riteneva il dottor D.T. responsabile dell’illecito disciplinare ascrittogli e gli infliggeva la sanzione della censura. Successivamente, in accoglimento per quanto di ragione del ricorso proposto dal Magistrato, la decisione della Sezione Disciplinare veniva cassata con rinvio per riesame, con sentenza numero 7071 del 2015 delle Sezioni Unite di questa Corte. Con sentenza numero 81 del 14.05-14.07.2015 la medesima Sezione Disciplinare, decidendo in sede di rinvio, riteneva di nuovo il D.T. responsabile dell’incolpazione ascrittagli e gl’infliggeva la sanzione disciplinare della censura. La Sezione Disciplinare a premetteva anche che con la citata sentenza rescindente si era affermato - che il grave e reiterato ritardo nel deposito delle sentenze poteva essere giustificato dalla ricorrenza di evenienze eccezionali e/o straordinarie che escludessero la punibilità della condotta dell’incolpato, quali la particolare e complessiva situazione di lavoro del Magistrato - che il ritardo nel deposito delle sentenze e dei provvedimenti giudiziari, pur se reiterato, non poteva da solo integrare un illecito disciplinare del Magistrato dal momento che occorreva anche stabilire se il ritardo fosse sintomo di mancanza di operosità oppure trovasse giustificazione in situazioni particolari collegate alla complessiva situazione di lavoro, tenendo presenti i profili qualitativi e quantitativi nonché gli aspetti inerenti alla complessiva organizzazione dell’ufficio e le funzioni svolte dal Magistrato - che per i ritardi precedenti l’entrata in vigore del D.Lgs. numero 109/2006, era necessario applicare la disciplina pregressa, che disponeva che il ritardo nel deposito dei provvedimenti fosse rilevante disciplinarmente solo se lo stesso fosse stato anche caratterizzato da carente laboriosità b affermava dunque - la necessità di valutare le peculiarità della fattispecie e, segnatamente, i profili qualitativi e quantitativi nonché la complessiva organizzazione dell’Ufficio e le funzioni svolte dal Magistrato elementi, in ipotesi, idonei a privare di fondamento l’addebito, stante la consistenza dei depositi tardivi rispetto a quelli avvenuti nel rispetto dei termini e la riconosciuta incidenza della complessiva situazione di lavoro del Magistrato nel processo valutativo e tenuto conto che il ritardo, anche reiterato, non era idoneo, di per sé, ad integrare l’illecito disciplinare, occorrendo, pure, che costituisse sintomo non equivoco di mancanza di operosità o di capacità di autorganizzazione - la necessità di valutare nel giudizio i seguenti elementi che il dr. D.T. , oltre a svolgere la normale attività presso la prima sezione penale del Tribunale di era stato pure assegnato, e reggeva, la Sezione distaccata di omissis , che i ritardi censurati non riguardavano l’attività svolta ed i provvedimenti adottati presso la sede del Tribunale di , bensì solo i provvedimenti resi presso la precitata sede distaccata , che nel periodo in considerazione dal 26.5.2004 al 7.11.2011 aveva depositato regolarmente circa 2.950 provvedimenti, di cui 1562 sentenze, corrispondenti a una media annua di circa 450 decisioni, di cui 240 sentenze , che aveva partecipato, come da certificazione della cancelleria, ad un numero di udienze, variabile in ciascun anno, da un minimo di 106 ad un massimo di 130 . Tanto anche premesso, la Sezione Disciplinare ha ritenuto che - gli artt. 1 e 2, comma 1, lett. q del d.lgs. 23 febbraio 2006, numero 109 stabiliscono che il ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni costituisce illecito disciplinare quando concorrono tre condizioni. Occorre innanzitutto che il ritardo sia reiterato. Non è necessaria, la sistematicità del ritardo ma occorre nondimeno che si tratti di reiterazioni significative. In secondo luogo, occorre che si tratti di ritardo grave. E il concetto di gravità va riferito all’entità, in termini temporali, dei ritardi reiterati, oltre che eventualmente all’importanza dei procedimenti interessati. Può accadere, infatti, che la particolare rilevanza degli interessi in gioco o le possibili conseguenze del ritardo ad esempio in tema di libertà personale siano tali anche da superare la presunzione normativa di non gravità. È necessario, infine, che si tratti di ritardi ingiustificati, come tale intendendosi - in ogni caso - il ritardo che leda il diritto delle parti alla durata ragionevole del processo di cui agli artt. 111, comma secondo, Cost. e 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali laboriosità o no del magistrato incolpato, suo carico di lavoro, organizzazione dell’ufficio giudiziario di appartenenza, funzioni giurisdizionali concretamente svolte - ed altre ancora, possono rilevare, se adeguatamente dimostrate, quali indici di giustificazione del ritardo, vale a dire quali situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo che determinino la concreta inesigibilità del rispetto dei termini stabiliti per il deposito dei provvedimenti giurisdizionali in ogni caso, la soglia di giustificazione deve ritenersi sempre superata in concreto, qualora il ritardo leda il su richiamato diritto delle parti alla durata ragionevole del processo quando, per quantità di casi ed entità del ritardo, risulti superata in concreto tale soglia di giustificazione, il comportamento del magistrato è di per sé espressione di colpa, quantomeno in relazione alla incapacità di organizzare in modo idoneo il proprio lavoro, salva la dimostrazione di circostanze eccezionali, specificamente connesse ai ritardi maturati - nel caso di specie non era dubbio che i ritardi dovessero considerarsi gravi e reiterati. In particolare dagli elenchi allegati era emerso che nel periodo compreso tra il 26 maggio 2004 ed il 7 novembre 2011 il dott. D.T. aveva depositato 35 sentenze penali monocratiche, con ritardi compresi in un anno in numero 17 casi, due anni in 5 casi e tre anni in un caso. Più precisamente doveva sottolinearsi, come correttamente evidenziato dalla difesa, che la totalità dei provvedimenti riguardava la sezione di Martina Franca e tra i provvedimenti depositati in ritardo non sussisteva responsabilità disciplinare con riferimento alle sentenze numero 1, 18, 20, 38, 39 e 40 poiché tali ritardi si erano verificati prima del 19 giugno del 2006, che era la data come era noto di entrata in vigore del decreto legislativo 109 del 2006, con conseguente applicazione dell’articolo 18 del R.D. numero 511/1946 in relazione al quale per la sussistenza dell’illecito era necessario dimostrare la scarsa laboriosità o negligenza dell’incolpato. Sotto il profilo della gravità veniva in rilievo la ripetitività ma soprattutto la notevole durata della gran parte dei ritardi contestati. La valutazione del parametro della gravità andava effettuata considerando contemporaneamente la durata dei singoli ritardi e la loro frequenza nel periodo considerato, in relazione al numero complessivo dei provvedimenti depositati dal magistrato. Non era dubbia, inoltre, la integrazione del requisito della reiterazione, proprio in considerazione della elevata ripetitività dei comportamenti contestati. I ritardi sopra indicati erano, inoltre, ingiustificati. L’ingiustificabilità del ritardo, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, non costituiva un ulteriore elemento della fattispecie, ma ne rappresentava un elemento esterno riconducibile alla categoria delle condizioni di inesigibilità. Si trattava quindi di un elemento funzionale alla delimitazione degli obblighi giuridicamente determinati sul piano normativo che aveva lo scopo di temperarne il rigore applicativo quando, per circostanze specificamente accertate, la sanzione sarebbe apparsa irrogata non iure, configurandosi, in sostanza, quale causa di giustificazione non codificata rilevante sul piano oggettivo o su quello soggettivo. La giurisprudenza di legittimità aveva, peraltro, attribuito particolare rilievo ai ritardi di grande entità nel deposito dei provvedimenti, per il fatto che essi comportavano la violazione del principio di ragionevole durata del processo riconducibile alla garanzia costituzionale del giusto processo articolo 111 Cost. . Si era anche indicato mediante la valorizzazione di indicazioni della Corte Europea dei diritti dell’uomo relative alla durata di un giudizio di legittimità nel superamento del termine di un anno l’elemento che poteva determinare tale specifica intollerabilità del ritardo collegando ad esso una riduzione dell’ambito di operatività della causa di giustificazione, richiedendosi a tal fine il concorso di fattori eccezionali e proporzionati alla particolarità gravità attribuita alla violazione. La Suprema Corte aveva, in ogni, caso, precisato che, anche in tali ipotesi, non era dato di ritenere la sussistenza di una presunzione di ingiustificabilità del ritardo, essendo possibile pervenire alla esclusione della punibilità disciplinare alla stregua del parametro dell’inesigibilità, da verificare in concreto, di una condotta diversa e, quindi, sulla scorta della dimostrazione dell’inevitabilità del ritardo, malgrado il magistrato avesse fatto tutto quanto era nelle sue possibilità per evitarlo. In tale quadro, ai fini della valutazione della inesigibilità doveva tenersi in adeguato conto il complessivo novero delle attività affidate al magistrato ai fini di assicurare il citato diritto delle parti, comprensive non solo del corretto deposito in termini delle sentenze, ma anche del mantenimento di una idonea produttività, e dello svolgimento di adeguata istruttoria mediante il compimento delle udienze, atteso che il rispetto del dovere di tempestivo deposito nei termini delle sentenze doveva essere contemperato con la necessità che il giudice assicurasse l’adempimento degli altri suoi doveri, nell’ambito delle sue concrete possibilità lavorative. L’inesigibilità poteva, quindi, essere affermata in relazione alla gravosità del complessivo carico di lavoro, alla consistenza del ruolo, al numero delle udienze tenute, ai dati della laboriosità e dell’operosità, desumibili dall’attività svolta sotto il profilo quantitativo e qualitativo, all’organizzazione dell’ufficio giudiziario di appartenenza, alle funzioni giurisdizionali concretamente svolte, alle situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo. Nella medesima prospettiva, il ritardo poteva ritenersi giustificato qualora fosse stato determinato da fattori aleatori od imprevedibili, quali l’aumento imprevedibile del carico di lavoro, la necessità di assumere ruoli di procedimenti organizzati precedentemente da altri magistrati, il venir meno dell’ausilio della magistratura onoraria, od altre analoghe evenienze. Spettava alla Sezione disciplinare il compito di valutare le peculiarità della fattispecie e, segnatamente, i profili qualitativi e quantitativi nonché la complessiva organizzazione dell’Ufficio e le funzioni svolte dal Magistrato elementi, in ipotesi, idonei a privare di fondamento l’addebito, stante la consistenza dei depositi tardivi rispetto a quelli avvenuti nel rispetto dei termini e la riconosciuta incidenza della complessiva situazione di lavoro del Magistrato nel processo valutativo e tenuto conto che il ritardo, anche reiterato, non era idoneo, di per sé, ad integrare l’illecito disciplinare, occorrendo, pure, che costituisse sintomo non equivoco di mancanza di operosità o di capacità di autorganizzazione. Sul punto un dato emergeva in maniera incontrovertibile dalla lettura degli atti la notevole entità del ritardo. In particolare l’incolpato ha depositato con ingenti ritardi - in particolare in un caso tre anni, in 5 casi due anni ed in diciassette casi ritardi superiori ad un anno - un numero comunque rilevante di provvedimenti nel periodo di riferimento dato che permaneva anche ritenendo valido quanto sostenuto dalla difesa che specificava che in realtà in 6 dei 35 casi contestati il ritardo sarebbe stato inferiore ad un anno. La difesa a giustificazione di detti ritardi aveva addotto numerosi elementi degni di essere presi in attenta osservazione - che il dr. D.T. , oltre a svolgere la normale attività presso la prima sezione penale del Tribunale di Taranto era stato pure assegnato, e reggeva, la Sezione distaccata di OMISSIS - che i ritardi censurati non riguardavano l’attività svolta ed i provvedimenti adottati presso la sede del Tribunale di Taranto, bensì solo i provvedimenti resi presso la precitata sede distaccata - che nel periodo in considerazione dal 26.5.2004 al 7.11.2011 aveva depositato regolarmente circa 2.950 provvedimenti, di cui 1562 sentenze, corrispondenti a una media annua di circa 450 decisioni, di cui 240 sentenze - che aveva partecipato, come da certificazione della cancelleria, ad un numero di udienze, variabile in ciascun anno, da un minimo di 106 ad un massimo di 130. Gli elementi addotti dalla difesa a giustificazione dei ritardi non parivano tuttavia sufficienti a giustificare i ritardi, in considerazione della loro peculiare intensità e durata. La valutazione del parametro della gravità andava effettuata considerando contemporaneamente la durata dei singoli ritardi e la loro frequenza nel periodo considerato, in relazione al numero complessivo dei provvedimenti depositati dal magistrato che in ogni caso, la soglia di giustificazione doveva ritenersi sempre superata in concreto, qualora il ritardo avesse leso il diritto delle parti alla durata ragionevole del processo che nelle ipotesi in cui, per quantità di casi ed entità del ritardo, risultasse superata in concreto tale soglia di giustificazione, il comportamento del magistrato era di per sé espressione di colpa, quantomeno in relazione alla incapacità di organizzare in modo idoneo il proprio lavoro. Le circostanze addotte dalla difesa pur degne di nota e di considerazione non rivestivano tuttavia il carattere della eccezionalità specificamente connesso al ritardo maturato. Situazione questa che ad esempio si sarebbe potuta verificare nella ipotesi di malattia del giudice e di fascicolo non assegnato ad altro magistrato. Nel caso di specie come detto l’entità dei ritardi era stata particolarmente grave avuto riguardo al fatto che in un caso era di 3 anni, in 5 casi era superiore ai 2 anni, negli altri casi era superiore ad un anno. Non si voleva porre in dubbio che le condizioni lavorative esposte dall’incolpato avessero reso particolarmente gravosa al magistrato l’attività svolta e tuttavia non si poteva non rilevare che una più accorta autoorganizzazione del lavoro avrebbe potuto consentire un contenimento dei ritardi in termini più fisiologici e tali da non assurgere a livelli di rilevanza disciplinare. In altri termini, il rilevante numero dei ritardi e la loro specifica entità erano circostanze che, unitariamente considerate, non consentivano di ricondurre al solo carico di lavoro, pur notevolissimo, la causa della condotta illecita contestata . Avverso questa sentenza il dottor D.T.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e notificato al Ministero della Giustizia, che non ha svolto difese, ed al Procuratore Generale presso questa Corte. Il ricorrente ha anche depositato osservazioni per iscritto sulle conclusioni del PG, peraltro a lui favorevoli. Motivi della decisione A sostegno del ricorso il D.T. denunzia 1. Motivazione apparente, e comunque insufficiente, contraddittoria e manifestamente illogica su aspetti rilevanti della questione violazione dell’articolo 2 lett. q D. Lgs. numero 109/2006 violazione o falsa applicazione degli artt. 627 c.p.p., 6 CEDU, 111 e 36 Cost Art. 606, primo comma, lett. b c ed e c.p.p 2. Omessa pronuncia circa aspetti decisivi della questione sottoposta e travisamento del tema decidere omesso esame di documenti rilevanti al fine del decidere e omessa pronuncia circa le prove richieste violazione o falsa applicazione degli artt. 2, lett. q, e 3 bis D.Lgs. 23.2.2006 numero 109 e dei principii di cui all’articolo 627, 3 comma, c.p.p Art. 606, lett. b , c , d ed e . I due motivi del ricorso, suscettibili di esame unitario, non hanno pregio. La Sezione disciplinare del CSM risulta essersi uniformata al dictum della sentenza rescindente e non essersi sottratta al compito di riesaminare in sede di rinvio le specifiche questioni devolute al suo nuovo giudizio, inclusive del raffronto degli addebitati ritardi con la significativa ed encomiabile mole di lavoro svolto dal dott. D.T. nel settennio di riferimento. In conclusiva sintesi la Sezione disciplinare ha tuttavia plausibilmente affermato, senza trascurare l’espresso ed ineccepibile richiamo al suo potere valutativo discrezionale in materia e senza omettere la doverosa espunzione dei provvedimenti anteriori al 19 giugno del 2006, che il rilevante numero dei ritardi e la loro specifica entità erano circostanze che, unitariamente considerate, non consentivano di ricondurre al solo carico di lavoro, pur notevolissimo, la causa della condotta illecita contestata e, dunque di eliderne il disvalore disciplinare e da rendere ingiustificata l’inflitta sanzione, peraltro contenuta nel minimo edittale. Tale conclusione e le puntuali argomentazioni ad essa sottese, che rendevano in effetti anche superflue e non decisive le dedotte e non ammesse prove sulle varietà di funzioni svolte, sulle condizioni e sul carico di lavoro date per acquisite, si rivelano aderenti al dettato normativo, ai principi giurisprudenziali sul tema, quali anche affermati nella sentenza di legittimità, logiche e plausibili, non essendosi con esse evidentemente inteso stigmatizzare laboriosità e produttività del dottor D.T. , pure giustamente valorizzate nella valutazioni professionali espresse da altri organi competenti rispetto al diverso ambito della sua progressione in carriera, ovvero surrettiziamente pretendere l’incremento di quei profili, in tesi inesigibile, ovvero ancora ascrivergli compiti e responsabilità altrui, ma essenzialmente addebitargli, in linea con le prefissate e seguite regole e con gli emersi connotati dei ritardi implicanti carente diligenza autorganizzativa, il difetto di prova di eccezionali circostanze atti a giustificarli e quindi discolparlo, e sostanzialmente la mancata dimostrazione che in tutto il lasso di tempo interessato, non sarebbero stati ragionevolmente possibili suoi diversi ed ipotizzabili comportamenti di organizzazione e impostazione del lavoro, o che, in ogni caso essi non avrebbero potuto in alcun modo evitare i ritardi accumulati o almeno ridurne la dilatazione cfr. Cass. numero 14268 del 2015 . Quanto all’esimente della scarsa rilevanza del fatto di cui all’articolo 3 bis del d.lgs. 23 febbraio 2006, numero 109, il quinto motivo del precedente ricorso per cassazione che involgeva la richiesta di relativa applicazione era stato espressamente dichiarato assorbito dalla sentenza delle Sezioni Unite numero 7071 del 2015 e non risulta dal ricorso che in sede di rinvio la Sezione disciplinare fosse stata di nuovo sollecitata dall’interessato ad applicarla, sicché il giudice disciplinare non era tenuto ad esporre le ragioni per le quali non avesse ritenuto il fatto di scarsa rilevanza e, quindi, non avesse considerato quell’ esimente cfr Cass. SU numero 14665 del 2011 . D’altra parte i ritardi accertati, date le relative connotazioni, superavano secondo criteri oggettivi e generalizzabili il limite della scarsa rilevanza, arrecando discredito all’ordine giudiziario e nel caso il ricorrente si è limitato a denunziare la violazione della norma, ma non ha esposto quali siano le specifiche circostanze esterne alla configurazione dell’illecito disciplinare, per le quali avrebbe dovuto essere applicata l’esimente invocata, non integrata dal mantenuto prestigio professionale in tema cfr anche Cass. SU nnumero 4629 e 15688 del 2015 . Conclusivamente il ricorso deve essere respinto. Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.