Arresti domiciliari scaduti, il giudice dispone in ritardo la liberazione degli imputati: conseguenze disciplinari

Essendo stata dichiarata l’incostituzionalità, con sentenza n. 170/2015, dell'art. 13, comma 1, secondo periodo, d. lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, nella parte in cui dispone l'obbligatorietà del trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio quando ricorre una delle violazioni, previste dall'art. 2, comma 1, lett. a , stesso d. lgs., ogni decisione della Sezione disciplinare del CSM deve tenere conto della disciplina come rimodellata dall’intervento della Corte Costituzionale.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2724/2016 depositata l’11 febbraio, hanno parzialmente accolto il ricorso di un magistrato al quale era stata applicata in via automatica la sanzione del trasferimento dalla sede in precedenza assegnata, in violazione della disciplina come aggiornata all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 170/2015 . Il caso le sanzioni della censura e trasferimento applicate congiuntamente. La Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura dichiarava un magistrato responsabile dell'incolpazione di cui all'art. 2, comma 1, lettera a , del d. lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati , infliggendogli le sanzioni della censura e del trasferimento di sede, perché, quale magistrato con funzioni di giudice, aveva con negligenza inescusabile omesso di dichiarare tempestivamente la perdita di efficacia della misura cautelare degli arresti domiciliari di due imputati, con un ritardo di cinquantasei giorni per entrambi. Il ricorso per cassazione l’intercorsa decisione della Corte Costituzionale. Le Sezioni Unite hanno in pratica accolto parzialmente il ricorso perché la decisione della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura deve essere coordinata con la pronuncia della Corte Costituzionale nel mentre intervenuta sentenza n. 170/2015 . Con tale decisione, la Consulta ha dichiarato essere costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 13, comma 1, secondo periodo, del d. lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, limitatamente alle parole da quando ricorre a nonché . La sanzione del trasferimento di sede non può essere applicata automaticamente. Nella sostanza, la norma censurata, disponendo l'obbligatorietà del trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio quando ricorre una delle violazioni stabilite dal precedente art. 2, comma 1, lett. a vale a dire l'aver tenuto un comportamento che, violando i doveri di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità ed equilibrio, e di rispetto della dignità della persona, arrechi ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti , delinea una sanzione rigida, la cui applicazione non è conseguenza del necessario rapporto di adeguatezza col caso concreto, e rispetto alla quale l'indispensabile gradualità applicativa non forma oggetto di specifica valutazione. In particolare, la necessaria adozione di tale misura punitiva appare basata su una presunzione assoluta, del tutto svincolata — oltre che dal controllo di proporzionalità da parte del giudice disciplinare — anche dalla verifica della sua concreta congruità con il fine ulteriore e diverso rispetto a quello repressivo dello specifico illecito disciplinare di evitare che, data la condotta tenuta dal magistrato, la sua permanenza nella stessa sede o ufficio appaia in contrasto con il buon andamento dell'amministrazione della giustizia. Inoltre, il riferito illecito disciplinare costituisce l'unica ipotesi, tra le molteplici, cui consegue, come ulteriore sanzione imposta dalla norma censurata, il trasferimento obbligatorio del magistrato. Su queste basi, la Sezioni Unite hanno cassato il provvedimento e rinviato alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in altra composizione affinché la decisione, espunto il meccanismo automatico del trasferimento, sia presa in conformità al dettato normativo come rimodellato dall’intervento della Consulta.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 12 gennaio – 11 febbraio 2016, n. 2724 Presidente Rordorf – Relatore Napoletano In fatto e in diritto Rilevato che questa Corte con ordinanza dell'8 aprile 2014 n. 11228 ha, in relazione all'impugnazione proposta dall'incolpato in epigrafe avverso la sentenza con cui la sezione disciplinare dei Consiglio Superiore della Magistratura dichiarava il ricorrente responsabile dell'incolpazione di cui all'art. 2, comma 1, lettera a , del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f , della legge 25 luglio 2005, n. 150 , infliggendogli le sanzioni della censura e del trasferimento di sede, perché, quale magistrato con funzioni di giudice aveva con negligenza inescusabile omesso di dichiarare tempestivamente la perdita di efficacia della misura cautelare degli arresti domiciliari di due imputati, con un ritardo di cinquantasei giorni per entrambi, sollevato questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 13, comma 1, secondo periodo, limitatamente alle parole da quando ricorre a nonché , in relazione all'art. 3 Cost. queste Sezioni Unite, nella richiamata ordinanza, hanno preliminarmente ritenuto in termini di rilevanza la non fondatezza dei due motivi di impugnazione svolti dal ricorrente nella parte in cui rispettivamente si deduceva che il giudice a quo, nell'escludere che il fatto contestato fosse sanzionabile ai sensi del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, sia lett. a , sia lett. g , aveva erroneamente ritenuto applicabile la prima anziché la seconda di tali disposizioni, conseguentemente irrogando, oltre alla censura, anche la sanzione dei trasferimento di sede, comminata dall'articolo 13 dello stesso decreto legislativo come effetto automatico di una delle violazioni previste dall'art. 2, comma 1, lett. a e si denunciava il mancato riconoscimento, da parte della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, della sussistenza nella specie dell'ipotesi della scarsa rilevanza del fatto e quindi della non configurabilità dell'illecito, ai sensi del citato D.Lgs. n. 109 dei 2006, art. 3 bis a base di tale infondatezza queste Sezioni Unite hanno osservato che la giurisprudenza di questa Corte, relativamente proprio a ipotesi come quella in considerazione, di ritardo nella scarcerazione di imputato o indagati , si è stabilmente orientata nel senso che le previsioni del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. a e g , sono entrambe contestualmente applicabili, poiché non sussiste tra loro un rapporto di specialità, che comporti l'esclusione dell'una o dell'altra da questo principio, enunciato da Cass. s.u. 11 marzo 2013 n. 5943, 22 aprile 2013 n. 9691, 29 luglio 2013 n. 18191, non vi è motivo di discostarsi, stante la sua coerenza con il disposto delle norme da cui è stato desunto, le quali delineano le fattispecie di cui si tratta come comprese in cerchi non già concentrici ma adiacenti, anche se in parte interferenti, sicché l'ambito di ognuna non comprende interamente quello dell'altra alla stregua della suddetta giurisprudenza, risulta altresì da disattendere l'assunto del ricorrente, secondo cui la lett. a , attiene soltanto a comportamenti del magistrato intenzionalmente diretti ad arrecare ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti, atteso che la tesi è contraddetta dal tenore della disposizione, che configura l'illecito disciplinare di cui si tratta come conseguente alle violazioni dei doveri di cui all'art. 1 , tra le quali sono certamente comprese anche quelle colpose, in quanto riferite, tra l'altro, al dovere della diligemza nell'esercizio delle funzioni attribuite al magistrato appunto un difetto di diligenza è stato addebitato al Dott. D.P.M. per non essersi avveduto della scadenza del termine massimo della misura degli arresti domiciliari, cui erano sottoposte due persone nei cui confronti procedeva il suo ufficio, in un procedimento a lui affidato neppure si può aderire alla tesi dei ricorrente, secondo cui si sarebbe dovuta riconoscere, in applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, la non configurabilità come illecito del fatto contestatogli, stante la sua scarsa rilevanza attenendo il tema ad accertamenti di fatto e apprezzamenti di merito, insindacabili in questa sede se non sotto il profilo dei vizi della motivazione, dai quali però la sentenza impugnata risulta immune, poiché il giudice a quo ha dato adeguatamente conto delle ragioni del mancato riconoscimento dell'esimente in questione, ravvisate nella protrazione per 56 giorni, oltre i limiti di legge, dello stato di detenzione di due persone, con conseguente gravità del danno loro arrecato, consistente nella privazione della libertà personale per un consistente periodo di tempo la Corte Costituzionale con sentenza n. 170 del 2015 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f , della legge 25 luglio 2005, n. 150 , limitatamente alle parole da quando ricorre a nonché . Ritenuto che non vi sono valide ragioni giuridiche per discostarsi, come dei resto anche sottolineato dalla Corte Costituzionale nella predetta sentenza n. 170 del 2015, da quanto affermato da queste Sezioni Unite nella citata ordinanza circa i motivi d'impugnazione svolti dal ricorrente avverso la precitata sentenza della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura a seguito della dichiarata illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 1, secondo periodo, dei decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, è inapplicabile la sanzione dei trasferimento al Tribunale di Rimini irrogata in ragione della previgente obbligatorietà del trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio quando ricorre una delle violazioni previste dall'art. 2, comma 1, lettera a , dello stesso d.lgs ex art. 13, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 in parola la sentenza impugnata va,di conseguenza, in parziale accoglimento del primo motivo del ricorso ossia con riferimento alla dedotta illegittimità dell'automaticità della sanzione del trasferimento di sede cassata in parte qua con rinvio alla Sezione disciplinare dei Consiglio superiore della magistratura, in diversa composizione. P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite,accogiie in parte il primo motivo del ricorso e rigetta il secondo. Cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia alla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in diversa composizione.