Anche se il giudice riduce la domanda la parte va condannata alle spese di lite

Non è sufficiente per giustificare la compensazione delle spese di lite il riferimento alla mera riduzione della domanda operata dal giudice in sede decisoria, permanendo, comunque, la sostanziale soccombenza della controparte che deve essere adeguatamente riconosciuta sotto il profilo della suddivisione del carico delle spese.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 2709 depositata l’11 febbraio 2016. Il fatto. La ricorrente, parte in un giudizio oramai definito, adiva la Corte di appello territorialmente competente per chiedere la condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento dei danni patrimoniali a titolo di equa riparazione, ai sensi della legge n. 89/2001 c.d. legge. Pinto per la durata eccessiva del giudizio civile. La Corte territoriale accoglieva con decreto la domanda e riconosceva l’indennizzo in favore della ricorrente solo per un certo numero di anni addebitando all’inerzia delle parti il ritardo dovuto a richieste di rinvio o mancata opposizione alle stesse. Su quest’ultimo punto il decreto veniva impugnato con ricorso per cassazione, ricorso che la Corte accoglieva cassando la sentenza impugnata in relazione a tale motivo e rinviando la causa anche per la liquidazione delle spese, alla Corte territorialmente competente in diversa composizione. La ricorrente, riassunto il giudizio riproponeva la domanda di equa riparazione alla luce del principio espresso dai giudici di legittimità. La Corte territoriale accoglieva il ricorso con decreto compensando per la metà le spese del giudizio e condannando il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore della ricorrente per la restante metà. La ricorrente adiva nuovamente la Corte di legittimità per chiedere la cassazione del predetto decreto. Spese di lite. Nel caso di specie, gli Ermellini, hanno ritenuto fondati tutti i motivi di doglianza lamentati dalla ricorrente per violazione di norme di legge - sia di diritto nazionale che comunitario – in quanto il giudice di appello erroneamente avrebbe compensato tra le parti la metà delle spese di giustizia sul semplice presupposto che il Ministero della Giustizia non si era opposto alla liquidazione del danno non patrimoniale. Inoltre, secondo il Collegio, la Corte distrettuale, disponendo la compensazione parziale delle spese, pur riconoscendo le ragioni della ricorrente, avrebbe di fatto vanificato il risultato del giudizio e, quindi, l’equità della riparazione negando, in sostanza, il diritto di rango costituzionale in forza del quale tutti possono agire in giudizio per la tutela delle proprie ragioni ed interessi legittimi. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità rientra nei poteri del giudice compensare le spese di lite purchè lo stesso fornisca adeguata motivazione in ordine alla propria decisione. Nel caso di specie, manca un’adeguata motivazione volta a giustificare la statuizione in tal senso, né vale invocare l’applicazione, in luogo del mero principio di soccombenza, del criterio di imputazione delle spese processuali a chi al processo ha dato causa. Non può tacersi, infatti, che è pur sempre da una colpa organizzativa della amministrazione della giustizia che dipende la necessità per il privato di ricorrere al giudice al fine di ottenere l’indennizzo spettategli per l’eccessiva durata del giudizio, e ciò indipendentemente dall’eventualità che l’amministrazione convenuta scelga poi di opporsi o meno alla liquidazione del danno a titolo di equa riparazione. Concludendo. Va osservato, infine, che in materia di spese processuali la parte, già soccombente nei precedenti gradi di giudizio di merito, ma poi risultata vittoriosa all’esito del giudizio di rinvio conseguente a quello di cassazione, ha diritto ad ottenere la liquidazione non solo delle spese processuali relative al giudizio di rinvio e a quello di Cassazione, ma anche di quelle sostenute nei precedenti gradi di giudizio, sicchè, ove ne abbia fatto richiesta, la mancata statuizione del giudice del rinvio sul punto, integra sicuramente un’omissione censurabile in sede di legittimità. Peraltro, il giudice di appello, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, sentenza 5 novembre 2015 – 11 febbraio 2016, n. 2709 Presidente Petitti – Relatore Scalisi Svolgimento del processo F.M. proponeva ricorso davanti alla Corte di appello di Catanzaro per chiedere la condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali a titolo di equa riparazione, ai sensi della legge n. 89 dei 2001 per la durata eccessiva dei giudizio civile, che l'aveva vista parte in causa davanti al Pretore del Lavoro di Reggio Calabria. La Corte di Appello di Catanzaro con decreto accoglieva la domanda e riconosceva l'indennizzo in favore della F. pari ad e. 750,00 per i primi tre anni di ritardo ed E. 1000 per gli ulteriori anni di ritardo. Ciò posto la Corte di Catanzaro riteneva che il ritardo riconducibile all'Amministrazione della Giustizia indennizzabile fosse pari a dodici anni, addebitando all'inerzia delle parti un lasso temporale pari a tre anni e tre mesi per richieste di rinvio o mancata opposizione a richieste di rinvio. Su tale punto il decreto veniva impugnato con ricorso per cassazione. La Corte di Cassazione accoglieva il ricorso in ragione del seguente principio di diritto ai fini dell'accertamento della durata ragionevole del processo, a fronte di una cospicua serie di differimenti chiesti dalla parte, o non opposti, e disposti dal giudice istruttore, si deve distinguere, come impone la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, tra tempi addebitabili alle parti e tempi addebitabili allo Stato per la loro evidente irragionevolezza e, pertanto, salvo che sia motivatamente evidenziata una vera e propria strategia dilatoria di parte, idonea ad impedire l'esercizio dei poteri di direzione del processo, propri dei ore, è necessario individuale la durata irragionevole comunque ascrivibile allo Stato, ferma restando la possibilità che la frequenza ad ingiustificatczza delle istanze di differimento incidano sulla valutazione del patema indotto dalla durata e conseguentemente sulla misura dell'indennizzo da riconoscere Cass. 2008/1715 2010/11307 Cass. n. 6868 del 2011 . Cassava la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinviava della causa, anche per la liquidazione delle spese, alla Corte di appello di Catanzaro in diversa composizione. La causa veniva riassunta da F.M. riproponendo la domanda di equa riparazione alla luce del principio espresso dalla Corte di Cassazione. Si costituiva il Ministero della Giustizia riportandosi a quanto già dedotto nella precedente fase del giudizio. La Corte di appello di Catanzaro con decreto n. 204 del 2013 accoglieva il ricorso, compensava per metà le spese del giudizio e condannava il Ministero della Giustizia al pagamento, a favore della ricorrente, della restante metà delle spese legali. La cassazione di questo decreto è stata chiesta da F.M. per tre motivi. Il Ministero della Giustizia in questa fase non ha svolto alcuna attività giudiziale. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo del ricorso F.M. lamenta la violazione degli artt. 91 e 348 cpc. in relazione all'ari. 2 della legge n. 89 del 2001 ed all'ari. 6 della Convenzione per la Salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta fondamentali. Secondo la ricorrente, la Corte di appello di Catanzaro, erroneamente non avrebbe provveduto a, liquidare le spese del giudizio di primo grado, la cui liquidazione nel suo importo non era stata oggetto di censura e dunque andava confermata, essendo stata travolta dalla sentenza della cassazione solo la coliipcnsazionc delle stesse. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la ricorrente chiede che questa Corte decida nel merito confermando la statuizione contenuta nel decreto cassato in ordine alle spese di lite una volta eliminata la compensazione delle stesse. 1.1.= il motivo è fondato. Va qui osservato che in materia di spese processuali la parte, già soccombente nei precedenti gradi di giudizio di merito, ma poi vittoriosa all'esito del giudizio di rinvio conseguente a quello di cassazione, ha diritto ad ottenere la liquidazione non solo delle spese processuali relative al giudizio di rinvio e a quello di cassazione, ma anche di quelle sostenute nei precedenti gradi di merito, sicché, ove ne abbia fatto richiesta, la mancata statuizione, sul punto, del giudice del rinvio integra un'omissione censurabile in sede di legittimità. Per altro, il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d'ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l'esito complessivo della lite, poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, Ora nel caso in esame l'attuale ricorrente è risultato vincitore all'esito della precedente sentenza pronunciata da questa Corte e, di conseguenza, avrebbe avuto diritto alla liquidazione delle spese di giudizio anche in relazione ai precedenti gradi di merito. La Corte d'appello, invece, dopo aver accolto la - domanda nel giudizio di rinvio, Ira rieotiosciulo la liquidazione delle spese soltanto a quanto quel giudizio e a quello di cassazione il che configura una sicura omissione in considerazione dell’esistenza di una forma richiesta in tal senso, Né vi può essere, su questo punto, un rigetto implicito. 2.= la ricorrente lamenta a Con il secondo motivo la violazione degli arti. 91, primo comma e 92 secondo comma cpc. Secondo la ricorrente, erroneamente, la Corte distrettuale avrebbe compensato tra le parti la metà delle spese di giustizia sul semplice presupposto che il Ministero della Giustizia non si era opposto alla liquidazione del danno non patrimoniale. Epperò, la mancata opposizione del Ministero non integrerebbe gli estremi dei presupposti previsti dal nuovo art. 92 comma secondo cpc. il quale consente che il Giudice proceda alla compensazione delle spese, oltre che nelle ipotesi di soccombenza reciproca solo in presenza di gravi ed eccezionali ragioni che vanno esplicitamente indicati in motivazione. b Con il terzo motivo, la violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione e dell'art. 2 della legge n. 89 del 2001 e dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali. Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale, disponendo la compensazione parziale delle spese , pur riconoscendo le ragioni della ricorrente avrebbe di fatto vanificato il risultato del giudizio e, quindi l'equità della riparazione negando, in sostanza, il diritto sancito dall'art. 24 della Costituzione e in forza del quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi. sarebbe evidente, infatti, che l'odierna ricorrente pur avendo ottenuto il riconoscimento del proprio diritto è stata costretta a farsi carico dell'onorario del difensore che l'ha assistita nel piecedeilte Bardo del giudizio e pertanto la stessa finisce con il non goder più di un diritto di azione effettivo. 2.1 .= I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro innegabile connessione, dato che entrambi, sia pure sotto profili diversi prospettano la medesima questione, ovvero, l'errata compensazione delle spese giudiziali, sono fondati. Va qui osservato, che i giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, proposti ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, 3 non si sottraggono all'applicazione delle regole poste, in tema di spese processuali, dagli artt. 91 e ss. cod. proc. civ., trattandosi di giudizi destinati a svolgersi dinanzi al giudice italiano, secondo le disposizioni processuali dettate dal codice di rito. Ne consegue, che la compensazione delle spese, anche nel giudizio di equa riparazione, postula che il giudice motivi adeguatamente la propria decisione in tal senso. Ora, nella specie, il riferimento alla mancata opposizione da parte del Ministero della Giustizia non giustifica, di per sè, la compensazione allorché, come nella specie, la parte sia stata costretta ad adire il giudice per ottenere il riconoscimento del diritto. Nè varrebbe, in un simile caso, invocare l'applicazione, in luogo del mero principio di soccombenza, del criterio d'imputazione delle spese processuali a chi al processo ha dato causa. E pur sempre da una colpa organizzativa dell'amministrazione della giustizia che dipende la necessità per il privato di ricorrere al giudice, al fine di conseguire l'indennizzo spettategli per l'eccessiva durata del processo, indipendentemente dal fatto che l'amministrazione convenuta scelga poi di opporsi o meno alla liquidazione del dainio a lilulo di equa riparazione. 2.2.- A sua volta, come ripetutamente è affermato da questa Corte, a giustificare la compensazione delle spese di lite non è, neppure, sufficiente il riferimento alla mera riduzione della domanda operata dal giudice in sede decisoria, permanendo, comunque, la sostanziale soccombenza della controparte, che deve essere adeguatamente riconosciuta sotto il profilo della suddivisione del carico delle spese cfr. Cass. n. 5598 del 2010, ord. Cass. n. 30534 del 2011 e Cass. n. 901 del 2012 . In definitiva, il ricorso va accolto, il decreto impugnato va cassato e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito, riformulando il regolamento delle spese in ordine al giudizio di merito. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza. Le spese vanno distratte a favore degli avv.ti Domenico Polimeni e Attilio Cotroneo che si sono dichiarati antistatari. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e decidendo nel merito liquida le spese dei primo grado di merito in €. 1.140,00 di cui €. 50,00 per spese,€. 600,00 per onorari e €. 490,00 per diritti, elide la compensazione del secondo grado di merito, condanna il Ministero al pagamento della somma di €. 500,00 per le spese del presente giudizio di legittimità. Le spese vanno distratte a favore degli avv.ti DP e A.C. che si sono dichiarati antistatari.