La cliente non sollecita la pratica all’avvocato? Peggio per lei: la prescrizione nel mentre matura

Nel caso in cui la decisione impugnata sia fondata su una pluralità di ragioni, tra di loro distinte e tutte autonomamente sufficienti a sorreggerla sul piano logico-giuridico, è necessario, affinché si giunga alla cassazione della pronuncia, che il ricorso si rivolga contro ciascuna di queste, in quanto, in caso contrario, le ragioni non censurate sortirebbero l'effetto di mantenere ferma la decisione basata su di esse.

La Terza sezione Civile della Cassazione, con la sentenza n. 25613 depositata il 21 dicembre 2015, ha rigettato il ricorso presentato da una signora contro il proprio avvocato, confermando la decisione di merito che aveva affermato, in ogni caso, la prescrizione del vantato diritto risarcitorio. Si segnalano alcune puntualizzazioni in tema di decorso del termine di prescrizione e di onere della prova, nonché sul piano processuale. Il caso. Una signora agiva contro il proprio avvocato per ottenere il risarcimento dei danni dallo stesso asseritamente causati, conseguenti all'assoluta inerzia serbata dal professionista in ordine al mandato conferitogli nel 1980 di procedere ad azione esecutiva nei confronti di due soggetti, per il recupero della somma di Lire 10 milioni, che costoro erano stati condannati a pagare a titolo di provvisionale in forza di statuizione del giudice penale. Sia il Tribunale, sia la Corte d’appello, respingevano le pretese della cliente. In particolare, i giudici di secondo grado, nel confermare la decisione di primo grado che aveva accolto l'eccezione di prescrizione per la considerazione che l'ultima prestazione professionale era individuabile alla data di ottobre 1980 momento di scadenza del precetto , mentre la prima richiesta risarcitoria risaliva al febbraio 1993, ha precisato che la prescrizione decennale doveva ritenersi sicuramente decorsa anche a volere ascrivere valore interruttivo della prescrizione ad una lettera di aprile 1992 e a spostare in avanti il dies a quo , aggiungendo al primo giorno utile per eseguire il pignoramento un ulteriore anno, durante il quale la cliente, stante il silenzio del suo avvocato, avrebbe potuto ragionevolmente interessarsi della propria pratica e sollecitarla. La Corte d’appello ha altresì precisato che, in ogni caso, l'azione di responsabilità contro l’avvocato era anche infondata dal momento che l'omissione del pignoramento non aveva comportato alcun danno alla cliente, per essere risultati i debitori insolventi e perché nessun compenso o fondo spese risultava essere stato versato per l'esecuzione del mandato. Da quale momento decorre la prescrizione? La decisione gravata in Cassazione ha fatto decorrere la prescrizione dalla scadenza dell’atto di precetto, peraltro aggiungendo anche un ulteriore anno. Secondo la ricorrente, invece, la prescrizione comincia a decorrere non già dalla cessazione del rapporto professionale, ma dal momento in cui il cliente è stato posta in grado di conoscere le lamentate inadempienze e che l'onere della prova di tale data era a carico della controparte che aveva eccepito la prescrizione. Secondo gli Ermellini queste censure sono però infondate. Infatti, è ben vero che nell'evoluzione giurisprudenziale della Suprema Corte il significato da attribuirsi all'espressione verificarsi del danno di cui all'art. 2935 c.c. è stato specificato nel senso che il danno si manifesta all'esterno quando diviene oggettivamente percepibile e riconoscibile anche in relazione alla sua rilevanza giuridica. È stato, tuttavia, precisato che il suddetto principio in tema di exordium praescriptionis non apre la strada ad una rilevanza della mera conoscibilità soggettiva del soggetto leso e che l'indagine, circa l'evolversi nel tempo delle conseguenze del fatto illecito o dell'inadempimento, deve essere ancorata a rigorosi dati obiettivi, valutando, alla luce della ordinaria diligenza esigibile, la condotta del danneggiato nell'acquisire informazioni per risalire alla causa del danno e nel manifestare istanze di reintegrazione della lesione subita. L’onere della prova e il principio di acquisizione. Il principio generale di riparto dell'onere probatorio di cui all'art. 2697 c.c. deve essere contemperato con il principio di acquisizione, desumibile da alcune disposizioni del codice di rito quale ad esempio l'art. 245, comma 2, c.p.c. ed avente fondamento nella costituzionalizzazione del principio del giusto processo, in base al quale le risultanze istruttorie, comunque acquisite al processo, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale si siano formate, concorrono tutte alla formazione del convincimento del giudice. Con la conseguenza che anche il principio dispositivo delle prove va inteso in modo differente, traducendosi nel dovere del giudice di pronunciare nel merito della causa sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito da qualunque parte processuale provenga, con una valutazione non atomistica ma globale nel quadro di una indagine unitaria ed organica, suscettibile di sindacato, in sede di legittimità, per vizi di motivazione e, ove ne ricorrano gli estremi, per scorretta applicazione delle norme riguardanti l'acquisizione della prova. La ricorrente non aveva peraltro censurato la sentenza impugnata nella sua interezza. Gli Ermellini precisano ancora che era restata esente da censure il punto della decisione, di per sé idoneo a sorreggerla, laddove si è affermata l'infondatezza della pretesa risarcitoria per l'inesistenza del nesso causale tra l'omissione del pignoramento e il danno lamentato, logicamente desunta sul piano controfattuale dall'insolvenza dei debitori e confermata dalla mancata allegazione della corresponsione di un compenso o del rilascio di un fondo spese in favore del professionista. Ebbene, nel caso in cui la decisione impugnata sia fondata su una pluralità di ragioni, tra di loro distinte e tutte autonomamente sufficienti a sorreggerla sul piano logico-giuridico, è necessario, affinché si giunga alla cassazione della pronuncia, che il ricorso si rivolga contro ciascuna di queste, in quanto, in caso contrario, le ragioni non censurate sortirebbero l'effetto di mantenere ferma la decisione basata su di esse.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 14 ottobre – 21 dicembre 2015, numero 25613 Presidente Petti – Relatore Ambrosio Svolgimento del processo Con sentenza in data 15.11.2011, la Corte di appello di Roma, rigettando l'appello proposto da R.R. nei confronti dell'avv. C.A. e della terza chiamata in garanzia compagnia di assicurazioni Milano s.p.a., ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma numero 30707 del 2002 di rigetto della domanda proposta dall'appellante per il risarcimento dei danni conseguenti all'assoluta inerzia serbata dal professionista in ordine al mandato conferitogli in data 28.05.1980 di procedere ad azione esecutiva nei confronti di tali A.R. e F.R. per il recupero della somma di L. 10.000.000 che costoro erano stati condannati a pagare alla R. a titolo di provvisionale in forza di statuizione del giudice penale.Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione R.R. , svolgendo due motivi.Ha resistito C.A. , depositando controricorso dal canto suo la c.ia di ass.ni Milano, previo deposito di procura notarile, ha partecipato alla discussione orale in sede collegiale. Motivi della decisione 1. La Corte di appello - nel confermare la decisione di primo grado che aveva accolto l'eccezione di prescrizione per la considerazione che l'ultima prestazione professionale dell'avv. C. era individuabile alla data del 29.10.1980 di scadenza del precetto notificato in data 29.07.1980 , mentre la prima richiesta risarcitoria risaliva al febbraio 1993 - ha precisato che la prescrizione decennale doveva ritenersi sicuramente decorsa e ciò anche a volere ascrivere valore interruttivo della prescrizione alla lettera in data 07.04.1992 dall'avv. C. alla R. e a spostare in avanti il dies a quo , aggiungendo al primo giorno utile per eseguire il pignoramento un ulteriore anno, durante il quale la R. , stante il silenzio dell'avv. C. avrebbe potuto ragionevolmente interessarsi della propria pratica e sollecitarla. In disparte la Corte di appello ha precisato, che, in ogni caso, l'azione era anche infondata dal momento che l'omissione del pignoramento non aveva comportato alcun danno alla R. per essere risultati i debitori insolventi e perché nessun compenso o fondo spese risultava essere stato versato per l'esecuzione del mandato. 1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell'art. 360 numero 3 cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione degli artt. 2935 e 2697 cod. civ Al riguardo parte ricorrente deduce che la prescrizione comincia a decorrere non già dalla cessazione del rapporto professionale, ma dal momento in cui il cliente è stato posto in grado di conoscere le lamentate inadempienze e che l'onere della prova di tale data era a carico della controparte che aveva eccepito la prescrizione. 1.2. Il motivo è infondato sotto entrambi i profili di violazione di legge enunciati in rubrica. È ben vero che nell'evoluzione giurisprudenziale di questa Corte cfr. Cass. numero 7194/2015 Sez. Unite numero 576/2008 Cass. numero 12666/2003 Cass. numero 9927/2000 il significato da attribuirsi all'espressione verificarsi del danno di cui all'art. 2935 cod. civ. è stato specificato nel senso che il danno si manifesta all'esterno quando diviene oggettivamente percepibile e riconoscibile anche in relazione alla sua rilevanza giuridica. È stato, tuttavia, precisato che il suddetto principio in tema di exordium praescriptionis non apre la strada ad una rilevanza della mera conoscibilità soggettiva del soggetto leso e che l'indagine, circa l'evolversi nel tempo delle conseguenze del fatto illecito o dell'inadempimento, deve essere ancorata a rigorosi dati obiettivi, valutando, alla luce della ordinaria diligenza esigibile, la condotta del danneggiato nell'acquisire informazioni per risalire alla causa del danno e nel manifestare istanze di reintegrazione della lesione subita. Orbene la decisione impugnata non si discosta affatto dai principi sopra esposti, giacché - ad onta di quanto assertivamente lamentato dall'odierna ricorrente - non ha affatto assunto come dies a quo della prescrizione la data dell'inadempimento del mandato professionale, ma ha considerato un ulteriore lasso temporale, individuato nel decorso di un anno da quello in cui avrebbe potuto essere e non venne intrapresa l'azione esecutiva per cui era stato conferito il mandato anno, entro il quale la R. stante il silenzio dell'avv. C. avrebbe ragionevolmente potuto interessarsi della propria pratica e sollecitarla ” cfr. pag. 4 della sentenza in tal modo escludendo che, dopo tale data, la danneggiata potesse giustificatamente accampare l'inconsapevolezza dell'inerzia del professionista e della sua rilevanza causale. 1.3. Neppure è ravvisabile la violazione dell'art. 2697 cod. civ. nel senso inteso dalla giurisprudenza di legittimità in tema di motivi ex art. 360 numero 3 cod. proc. civ., dal momento che la Corte territoriale non ha affatto attribuito l'onere della prova a una parte diversa da quella che ne è gravata, secondo le regole dettate da quella norma, ma è pervenuta all'impugnata decisione, svolgendo argomentazioni basate su risultanze istruttorie astrattamente idonee allo scopo e regolarmente acquisite. Invero il principio generale di riparto dell'onere probatorio di cui all'art. 2697 cod. civ. deve essere contemperato con il principio di acquisizione, desumibile da alcune disposizioni del codice di rito quale ad esempio l'art. 245, comma secondo, cod. proc. civ. ed avente fondamento nella costituzionalizzazione del principio del giusto processo, in base al quale le risultanze istruttorie, comunque acquisite al processo, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale si siano formate, concorrono tutte alla formazione del convincimento del giudice. Cass. 09 giugno 2008, numero 15162 , con la conseguenza che anche il principio dispositivo delle prove va inteso in modo differente, traducendosi nel dovere del giudice di pronunciare nel merito della causa sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito - da qualunque parte processuale provenga - con una valutazione non atomistica ma globale nel quadro di una indagine unitaria ed organica, suscettibile di sindacato, in sede di legittimità, per vizi di motivazione e, ove ne ricorrano gli estremi, per scorretta applicazione delle norme riguardanti l'acquisizione della prova cfr. Cass. 25 settembre 2013, numero 21909 . 1.4. E appena il caso di aggiungere che le valutazioni svolte in punto di individuazione del dies a quo per l'esercizio della pretesa risarcitoria costituiscono espressione di attività di stretto merito, suscettibili di essere censurate se del caso solo sotto il profilo motivazionale. In definitiva il motivo va rigettato. 2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell'art. 360 numero 5 cod. proc. civ. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Al riguardo parte ricorrente deduce che con l'atto di appello aveva riproposto la domanda risarcitoria nei confronti dell'avv. C. anche in relazione all'inerzia dello stesso tenuta nell'attivare l'azione di responsabilità extracontrattuale nei confronti della compagnia di assicurazione della vettura condotta dai responsabili ai sensi della L. numero 990/1969 che, a tal riguardo, la prescrizione non aveva mai cominciato a decorrere, dal momento che essa ricorrente non era mai stata notiziata del fatto che l'azione risarcitoria non era mai stata proposta nei confronti dell'assicuratore che il Tribunale aveva argomentato sul punto, confondendo i termini di prescrizione dell'azione risarcitoria della R. verso la compagnia di assicurazione Tirrena con quelli dell'azione risarcitoria proposta dalla R. nei confronti dell'avv. C. che, invece, i giudici di appello sul punto hanno completamente sorvolato ” considerando tout court prescritta l'azione promossa nei confronti dell'avv. C. per ogni condotta omissiva negligente dallo stesso posta in essere” . 2.1. Il motivo è inammissibile. Innanzitutto le censure motivazionali si appuntano su argomentazioni che sarebbero state svolte dal giudice di prime cure, addebitando a quello di secondo grado un vizio che - più che un’omessa motivazione - concreterebbe se sussistente un'omessa pronuncia su un motivo di appello, come tale censurabile sotto il profilo dell' error in procedendo in relazione agli artt. 112 e 360 numero 4 cod. proc. civ In ogni caso il motivo si rivela privo di correlazione con le ragioni della decisione, atteso che i giudici di appello - nell'escludere anche la fondatezza del merito della pretesa risarcitoria - hanno precisato che i debitori A. e F. nei confronti dei quali solo risulta il mandato professionale ad agire per recuperare il credito ” cfr. pag. 4 della decisione erano risultati insolventi il che dimostra che essi non hanno affatto ignorato le deduzioni dell'odierna ricorrente in ordine al mancato esercizio dell'azione risarcitoria nei confronti della compagnia di assicurazione, ma, al contrario, hanno inequivocamente escluso che detta azione costituisse oggetto del mandato professionale, ritenendo che l'eventuale danno avrebbe potuto prefigurarsi solo rispetto al mancato esercizio dell'azione esecutiva nei confronti degli A. -F. , peraltro insolventi. 2.2. Non appare superfluo aggiungere che resta esente da censure il punto della decisione, di per sé idoneo a sorreggerla, laddove si afferma l'infondatezza della pretesa risarcitoria per l'inesistenza del nesso causale tra l'omissione del pignoramento e il danno lamentato, logicamente desunta sul piano controfattuale dall'insolvenza dei debitori e confermata dalla mancata allegazione della corresponsione di un compenso o del rilascio di un fondo spese in favore dell'avv. C. . Si rammenta che, nel caso in cui la decisione impugnata sia fondata su una pluralità di ragioni, tra di loro distinte e tutte autonomamente sufficienti a sorreggerla sul piano logico-giuridico, è necessario, affinché si giunga alla cassazione della pronuncia, che il ricorso si rivolga contro ciascuna di queste, in quanto, in caso contrario, le ragioni non censurate sortirebbero l'effetto di mantenere ferma la decisione basata su di esse. Cass. 20 novembre 2009, numero 24540 . In conclusione il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. numero 55 del 2014, seguono la soccombenza, avuto riguardo alla diversa attività svolta dalle due parti resistenti. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge e contributo spese generali in favore di C.A. e in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge e contributo spese generali in favore della sia di assicurazioni Milano s.p.a