Il compenso dell'avvocato per l'assistenza in mediazione passa per la negoziazione assistita

L'ordinanza del Tribunale di Verona del 17 novembre 2015 affronta il tema del compenso dell'avvocato che ha prestato la propria opera di assistenza nell'ambito di una mediazione civile e commerciale.

E ciò ha fatto decidendo una controversia promossa nelle forme del processo sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c. da un avvocato nei confronti di un cliente che non aveva contestato l'esistenza del diritto al compenso quanto piuttosto la quantificazione del dovuto in ragione dei parametri professionali di cui al d.m. n. 55/2014. Attività stragiudiziale . Ebbene, in primo luogo il Tribunale conferma la tesi secondo la quale l'opera prestata dall'avvocato in mediazione che si qualifica in termini di assistenza deve essere inquadrata nell'ambito dell'attività di assistenza stragiudiziale di cui alla tabella n. 25 che qui di seguito, per comodità, è bene richiamare. Valore da € 0,01 a €1100 da €1100,01 a €5200 da €5200,01 a €26000 da €26000,01 a €52000 Da € 52000,01 a € 260000 Da € 260000,01 a € 520000 Compenso 270 1215 1890 2295 4320 5870 Ecco allora che, essendo il valore dell'affare trattato in mediazione pari ad euro 10.000 il compenso spettante all'avvocato, secondo i parametri medi, è pari ad euro 1.800 oltre gli oneri accessori previsti per legge e, cioè, CAP e IVA oltre ancora alle spese generali ove domandate sic! oltre ad euro 30 per spese e indennità di trasferta. Onnicomprensività del compenso . Peraltro, proprio con riferimento all'assistenza stragiudiziale l'art. 18 d.m. n. 55/2014 prevede espressamente che i compensi liquidati per prestazioni stragiudiziali sono onnicomprensivi in relazione ad ogni attività inerente l’affare . Ne deriva per il Tribunale che non può invece riconoscersi nessun compenso per l’attività di consulenza stragiudiziale che avrebbe reso prima o nel corso del procedimento di mediazione quell'attività, infatti – verrebbe da dire – rappresenta proprio l'oggetto della prestazione di assistenza da parte dell'avvocato che assiste la parte in mediazione. Peraltro, occorre sottolineare che sebbene la mediazione rappresenti un procedimento che si svolge prima o in concomitanza dell'attività stragiudiziale, non vi può essere dubbio che essa riveste una autonoma rilevanza rispetto a quest'ultima” e quindi deve essere sempre e comunque liquidata in base ai parametri della tabella sopra riportata in linea con quanto previsto dall'art. 20 d.m. n. 55/2014. Valore dell'affare e transazione . In secondo luogo, poi, il Tribunale mette in evidenza come la liquidazione del compenso all'avvocato è basato sul valore della controversia risultante dalla domanda. Ciò significa che non rileva, ai fini della determinazione del compenso, il valore dell'eventuale accordo transattivo raggiunto tra le parti a definizione del giudizio ciò che viceversa rileva è ciò di che si è domandato. Questo principio, seppur affermato qui con riferimento alla domanda dell'avvocato di ottenere la liquidazione dell'attività svolta in sede di accertamento tecnico preventivo poi concluso con una transazione che determina l'applicazione della maggiorazione ex art. 4, comma 6, d.m. 55/2014 è valido anche con riferimento alla quantificazione delle indennità di mediazione dovute all'organismo di mediazione. Ove però il d.lgs. n. 28/2010 e il d.m. n. 180/2010 svolgono una precisazione importante e cioè che non rileva tanto quanto dichiarato dalle parti in sede di domanda ove potrebbero avere interesse a contenere il valore della domanda per vedersi applicate tariffe più basse ma il valore effettivo della domanda come potrebbe risultare anche durante lo stesso procedimento di mediazione. Da ultimo è bene ricordare che l'onorario dell'avvocato per aver prestato la propria opera di assistenza in mediazione può essere posto a carico dello Stato ove la parte abbia diritto al gratuito patrocinio in questo senso Trib. Firenze, II sezione civile del 13 gennaio 2015 . Negoziazione assistita e condanna alle spese . In terzo luogo, l'ordinanza affronta un altro tema molto importante rappresentato dalla condanna alle spese della parte che non abbia aderito all'invito a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. Ed infatti, la domanda formulata dall'avvocato essendo inferiore ai 50.000 euro era stata preceduta dall'invito a formulare una convenzione di negoziazione assistita. A quell'invito la resistente rectius l'avvocato aveva risposto in ritardo. Ma il giudice rileva che, al di là del ritardo e della circostanza che non si applica alla negoziazione assistita la sospensione feriale dei termini la risposta all'invito proveniva dall'avvocato e non, come avrebbe dovuto essere dalla parte sostanziale. Correttamente, infatti, il giudice osserva che il difensore non era munito al compimento di quell'atto negoziale in quanto nella procura alle liti allegata alla comparsa di risposta non vi era alcun cenno alla facoltà di svolgere l'attività negoziale perché di attività negoziale si tratta connessa alla negoziazione assistita. Qualche dubbio, invece, suscita l'affermazione del giudice secondo cui la mancata adesione all'invito non è di per sé sufficiente a giustificare la condanna ai sensi dell'art. 96 c.p.c. occorrendo che tale comportamento sia anche indicativo di mala fede o di colpa grave nel resistere in giudizio . Ed infatti, a mio avviso, per rendere efficienti le sanzioni previste dall'art. 4 d.l. n. 132/2014 è necessario interpretare quella norma nel senso che il può” è, in realtà, un deve” e, quindi, la valutazione ai fini dell'art. 96 e dell'art. 642, comma 1, id est la concessione obbligatoria della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo derivano dalla mancata accettazione dell'invito e al mancato accordo senza che sia necessario il riscontro di altri profili. Ciò che potrebbe essere valutata può essere semmai l'esistenza di un giustificato motivo, ma non si può richiedere un quid maggiore rappresentato addirittura dalla mala fede o colpa grave. In fondo la parte doveva rispondere e non l'ha fatto. Ed è questo ciò che conta in assenza di un giustificato motivo per non rispondere. Del resto è lo stesso giudice che riconosce, poi, la mala fede/colpa grave e giustamente nel senso della colpa grave nel comportamento di chi a parole dice di voler trovare un accordo e non formula neppure una proposta.

Tribunale di Verona, sez. III Civile, ordinanza 17 novembre 2015 Giudice Vaccari Rilevato che La domanda della ricorrente, che è diretta ad ottenere la condanna della resistente al pagamento in proprio favore della somma complessiva di euro 8.400,74, comprensivo di accessori, a titolo di compenso per due distinte attività di assistenza stragiudiziale che la ricorrente ha assunto di aver svolto, su incarico della resistente, una nel corso di un procedimento di mediazione e l’altra nel corso di un procedimento di atp, è fondata nei limiti di cui appresso e pertanto merita di essere accolta per quanto di ragione. Invero la resistente non ha contestato l’effettivo svolgimento delle predette attività ma solo il quantum della pretesa di controparte. In particolare la difesa di ha sostenuto che le parti avevano concordato che all’avv. sarebbe spettato un compenso di euro 800,00, oltre accessori, per le prestazioni professionali di cui alla procedura di mediazione ed un compenso di euro 1.100,00, oltre accessori, per le prestazioni di cui al procedimento di atp. In subordine la convenuta ha dedotto l’erronea applicazione da parte della attrice dei paramenti di cui al d.m. 55/2014. Il primo di tali rilievi è infondato, atteso che la resistente non ha avanzato istanze istruttorie orali né prodotto documentazione idonea a comprovare i suoi assunti. Quanto invece ai rilievi circa i criteri di quantificazione della somma dovuta seguiti dalla ricorrente essi sono in parte fondati. Innanzitutto può convenirsi con la resistente che l’attrice ha errato nella indicazione della fascia di valore dell’affare da 0 a 10.000,00 assunta a riferimento per determinare l’importo richiesto quale compenso per l’attività prestata nel procedimento di mediazione poiché le fasce di valore contemplate dalla tabella allegata al d.m. 55/2014 per le prestazioni di assistenza stragiudiziale, a tale categoria dovendo ricondursi quella in esame, sono quelle indicate dalla resistente in comparsa di costituzione e risposta. Peraltro tale errore non influisce nella determinazione della somma spettante alla ricorrente a titolo di compenso per l’attività di assistenza stragiudiziale euro 1.800,00 , atteso che non è contestato che il valore dell’affare fosse stato quello di euro 10.000,00 indicato dall’avv. . Alla ricorrente non può invece riconoscersi nessun compenso per l’attività di consulenza stragiudiziale che avrebbe reso prima o nel corso del procedimento di mediazione. Infatti, come osservato dalla difesa della resistente, poiché anche tale attività, come quella di assistenza, ha natura stragiudiziale trova applicazione l’articolo 18 del d.m. 55/2014, che stabilisce il carattere onnicomprensivo, in relazione ad ogni attività inerente l’affare, dei compensi liquidati in relazione a quel tipo di attività. Coerentemente a tale previsione il punto 25 della tabella allegata al regolamento individua i valori medi di liquidazione per le sole prestazioni di assistenza stragiudiziale. Ancora, non può condividersi l’assunto di parte resistente secondo cui il valore della controversia svoltasi nelle forme dell’atp andrebbe determinato sulla base dell’importo oggetto della transazione raggiunta all’esito di essa. Infatti, ai sensi dell’articolo 5, comma 2 del d.m. 55/2014 ai fini della liquidazione del compenso da porsi a carico del cliente occorre far riferimento al valore della domanda che in questo caso è pacificamente indeterminato. Meritano invece di essere condivisi gli ulteriori rilievi svolti dalla resistente rispetto a tale parte della pretesa dell’attrice. Per quanto attiene alla attività stragiudiziale connessa o propedeutica al procedimento di atp deve osservarsi come, in difetto della allegazione e della dimostrazione da parte della resistente che essa abbia avuto una autonoma rilevanza rispetto all’attività giudiziale presupposto chiesto dall’articolo 20 del d.m. 55/2014 , essa sia adeguatamente remunerata con il compenso da riconoscersi per la seconda fasi di studio e introduttiva del giudizio e pari ad euro 1.8000,00. Peraltro poiché, come riferito dalla ricorrente e non contestato dalla resistente, il procedimento di atp si è concluso con una transazione, tale importo può essere aumentato di un quarto ai sensi dell’articolo 4, comma 6 del d.m. 55/2014, trattandosi di parametro che può essere applicato ex officio dal giudice. La somma spettante alla ricorrente per l’assistenza prestata durante il procedimento di mediazione va pertanto quantificata in euro 1.800,00, ai quali vanno aggiunti euro 30,00 per spese e indennità di trasferta somma non contestata . Il compenso per l’assistenza nel procedimento di atp va invece liquidato in euro 2.250,00 ai quali vanno aggiunti euro 120,00 a titolo di spese e indennità di trasferta somma non contestata . LA somma complessivamente spettante alla attrice è pertanto di euro 4.200,00 oltre accessori. Ad essa vanno aggiunti gli interessi al tasso legale come incrementato dal quarto comma dell’articolo 1284 c.c., aggiunto dall’articolo 17 del d.l. 132/2014, norma che è entrata in vigore il 10.12.2014. Il momento di decorrenza di tali interessi poi va individuato in quello del deposito del presente provvedimento che corrisponde al momento di liquidazione del credito della ricorrente. Infatti, secondo il consolidato insegnamento della Suprema Corte di Cassazione, quando insorge controversia tra l’avvocato ed il cliente circa il compenso per prestazioni professionali, il debitore non può essere ritenuto in mora prima della liquidazione del debito, che avviene con l’ordinanza che conclude il procedimento” Cass. 2 febbraio 2011, n. 2431 Cass. 7 giugno 2005, n. 11777 Cass. 29 maggio 1999, n. 5240 Cass. 28 aprile 1993, n. 5004 e da ultimo anche la recentissima ordinanza Cassazione civile , sez. VI, 24.10.2014 n° 22678 . Venendo alla regolamentazione delle spese del giudizio esse vanno poste a carico della resistente in applicazione del criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo sulla base dei parametri di cui al d.m. 55/2014. In particolare la somma da riconoscersi a titolo di compenso per le fasi di studio e introduttiva del presente giudizio può essere quantificata sulla base dei valori medi di liquidazione previsti per esse dal succitato regolamento. Alla ricorrente può riconoscersi poi un ulteriore importo di euro 600,00 a titolo di compenso per la partecipazione a due udienze di trattazione e, ai sensi dell’articolo 20 d.m.55/2014, quello di euro 600,00 per la fase di negoziazione assistita, svoltasi dopo che questo giudice aveva rilevato il difetto della condizione procedibilità della domanda, e assegnato alle parti il termine per l’invio dell’invito a stipulare la convenzione di negoziazione assistita ai sensi dell’articolo 3 comma 1, d.l. 132/2014. Alla ricorrente spetta il rimborso della somma corrisposta a titolo di contributo unificato euro 118,50 ma non quello delle spese generali, in difetto di specifica domanda sul punto cfr. ex plurimis Cass. Civile, sez. II, 26/11/2010 n° 24081 . In questa sede occorre anche valutare, ai fini della applicazione delle conseguenze sanzionatorie previste dall’articolo 4 del d.l. 132/2014, il comportamento tenuto dalla resistente nella predetta fase stragiudiziale. Infatti l’invito a stipulare la convenzione di negoziazione assistita inviato, tramite messaggio di posta certificata, in data 6 luglio 2015 dalla ricorrente alla resistente venne riscontrato dal difensore di quest’ultima, sempre tramite pec, con un messaggio, con il quale comunicò l’adesione della propria assistita alla procedura, in data 10 agosto, e quindi oltre il termine di trenta giorni fissato a tal fine dall’articolo 4 comma 1 la sospensione feriale dei termini processuali non si applica infatti alla negoziazione assistita che è una procedura stragiudiziale . A ben vedere però in questo caso non si è in presenza di un ritardo nel riscontrare l’invito a concludere l’accordo di negoziazione, che non avrebbe le conseguenze sanzionatorie di cui all’articolo 4, ma di un vero e proprio silenzio, che, come tale, può giustificare, astrattamente, la condanna ai sensi dell’articolo 96 c.p.c. Infatti la predetta risposta fu redatta e sottoscritta non già dal legale rappresentante della resistente, come avrebbe dovuto essere, ma dal suo difensore senza che questi fosse munito della procura al compimento di quell’atto negoziale nella procura alle liti allegata alla comparsa di costituzione e risposta non si fa cenno a quella facoltà . Peraltro, ad avviso di questo giudice, il silenzio tenuto a fronte dell’invito a concludere la convenzione non è di per sé sufficiente a giustificare la condanna ai sensi dell’articolo 96 c.p c occorrendo che tale comportamento sia anche indicativo di mala fede o di colpa grave nel resistere in giudizio. Orbene nel caso di specie appaiono sintomatiche del primo dei predetti elementi soggettivi il contegno tenuto dalla convenuta che, sebbene abbia contestato solo il quantum della pretesa di controparte, e nonostante questa, nel riscontrare la mail del 10 agosto, si fosse detta disponibile a trovare una soluzione conciliativa, a prescindere dal dato formale del mancato rispetto del termine per riscontrare l’invito, non ha assunto nessuna iniziativa conciliativa, come ben avrebbe potuto fare, formulando, ai sensi dell’articolo 91 primo comma c.p.c. una proposta di pagamento di una somma determinata sulla base dei criteri da essa proposti. La somma che si stima adeguata a sanzionare tale condotta è quella pari a poco meno della metà di quella liquidata a titolo di compenso. P.Q.M. Condanna la resistente a corrispondere alla ricorrente la somma di euro 4.200,00, oltre accessori e interessi, sulla somma imponibile, al tasso di cui all’articolo 1284, comma 4, c.c. a decorrere dalla data della pubblicazione del presente provvedimento a quella del saldo effettivo e alle spese del presente giudizio che liquida nella somma di euro 2.010,00, oltre Iva e Cpa, ed euro 118,50 per rimborso contributo unificato. Visti gli articolo 4, comma 1 d.l. 132/2014 e l’articolo 96 terzo comma c.p.c. condanna la resistente a corrispondere alla ricorrente l’ulteriore somma di euro 1.000,00.