Fase monitoria e fase di opposizione sono un tutt’uno: i documenti prodotti nella prima non sono “nuovi” per il giudizio di appello

L’art. 345, comma 3, c.p.c. nel testo introdotto dall’art. 52, legge n. 353/1990, con decorrenza dal 30.4.1995 va interpretato nel senso che i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo e rimasti a disposizione della controparte, agli effetti dell’art. 638, comma 3, c.p.c. seppur non prodotti nuovamente nella fase di opposizione, rimangono nella sfera di cognizione del giudice di tale fase, in forza del principio di non dispersione della prova ormai acquisita al processo, e non possono perciò essere considerati nuovi, sicché ove siano in seguito allegati all’atto di appello contro la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado, devono essere ritenuti ammissibili.

In tal senso si è espressa la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 24639/2015, depositata il 3 dicembre scorso. Il caso. Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto aveva omesso di produrre i documenti allegati al fascicolo monitorio, salvo poi produrli nel giudizio di appello. La controparte eccepiva il divieto dei nova nel secondo grado e la Corte disponeva lo stralcio dei documenti prodotti dall’appellante per la prima volta in appello ritenendone l’inammissibilità ex art. 345 c.p.c La parte soccombente ricorreva così in Cassazione. Il ricorrente, in primo luogo, eccepisce la tardività della notifica del controricorso da parte dell’avversario. Come noto, il primo comma dell’art. 370 c.p.c. stabilisce che La parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddire, deve farlo mediante controricorso da notificarsi al ricorrente nel domicilio eletto entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso . Il terzo comma dell’articolo prosegue precisando che Il controricorso è depositato nella cancelleria della Corte entro venti giorni dalla notificazione, insieme con gli atti e i documenti e con la procura speciale, se conferita con atto separato . Nel caso di specie il ricorrente sostiene di far decorrere i termini sopra indicati dal momento in cui aveva richiesto la notifica del ricorso agli ufficiali giudiziari. Secondo tale successione temporale il controricorso sarebbe stato tardivo. Perfezionamento della notifica per il notificante e per il destinatario In realtà, come da giurisprudenza costante della Corte Costituzionale con le pronunce 477/2002 e 28/2004 e della Corte di Cassazione, in tema di notifica degli atti giudiziari occorre scindere i momenti di perfezionamento della stessa per il notificante e per il destinatario. Ciò significa che il momento in cui l’atto è portato alla notifica vale solo per il notificante al fine di verificare se l’attività da lui effettuata è tempestiva o meno. Al contrario per il destinatario occorre considerare il momento di effettiva ricezione del plico. Una soluzione diversa addosserebbe alle parti notificante o destinatario a seconda dei casi l’alea dei tempi di notifica degli atti, cioè un elemento che sfugge alle possibilità di controllo dei soggetti coinvolti. Poiché quindi, nel caso di specie, il ricorso era stato ricevuto dalla controparte alcuni giorni dopo la data in cui il notificante aveva portato l’atto dall’ufficiale giudiziario, solo dal momento dell’effettiva ricezione del plico potevano decorrere i termini di cui all’art. 370 c.p.c Il controricorso viene quindi giudicato tempestivo. La seconda parte della decisione riguarda invece il divieto di nuove produzioni documentali in appello con riferimento ai rapporti tra giudizio monitorio e giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. In relazione ai mezzi di prova l’art. 345 c.p.c. stabilisce espressamente che Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile . . Applicando rigorosamente tale disposizione la Corte d’Appello ha ritenuto che i documenti contenuti nel fascicolo del ricorso per decreto ingiuntivo e non riprodotti nel giudizio di opposizione fossero da considerare nuovi” in appello e, dunque, inammissibili. Gli Ermellini ribaltano la decisione di secondo grado, richiamando la recente pronuncia delle Sezioni Unite n. 14475/2015. In sostanza il procedimento per decreto ingiuntivo non è autonomo rispetto a quello eventuale che si apre con l’opposizione ex art. 645 c.p.c Pertanto, anche se la parte non ha allegato il fascicolo monitorio con i relativi documenti nei termini previsti per le memorie ex art. 183 VI comma c.p.c. del giudizio di primo grado , la documentazione ivi contenuta può comunque essere prodotta in appello non potendo essere considerata come prova nuova”. Si ritiene infatti che i documenti del fascicolo del ricorso per ingiunzione di pagamento, anche se non prodotti nella fase di opposizione, rimangono comunque nella disponibilità del giudice in ossequio al principio di non dispersione della prova” ormai acquisita al processo. Non costituiscono quindi elementi nuovi che fanno il loro ingresso per la prima nel giudizio di appello e la loro produzione è considerata ammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 23 ottobre – 3 dicembre 2015, n. 24639 Presidente Berruti – Relatore Rubino I fatti C.T. e A., eredi di P.E., convenivano in giudizio l'avv. G.R. chiedendo che questi fosse condannato a corrispondere a ciascuna di esse la quota parte rispettivamente spettante dell'importo di Euro 61.474,91, incassato dal G. su mandato della P., a conclusione del procedimento per il riconoscimento alla P. dell'indennità di accompagnamento curato dal legale. Nel frattempo l’avv. G., non avendo ricevuto il pagamento delle prestazioni professionali fruite dalla sig. P., chiedeva ed otteneva due distinti decreti ingiuntivi nei confronti delle due C. . Le sig. C. proponevano opposizione, i giudizi venivano riuniti ed il giudice di primo grado condannava l'avv. G. a restituire l'importo di Euro 19.000,00 a ciascuna delle opponenti. L'avv. G. proponeva appello, allegando al ricorso in appello i fascicoli dei procedimenti monitori nei quali erano contenuti la documentazione dell'attività professionale svolta in favore della P. ed anche le raccomandate con le quali aveva invitato le sorelle C. a ritirare le somme di rispettiva pertinenza, ed a saldare la parcella per le sue competenze professionali. La corte d'appello, con la sentenza qui impugnata, disponeva lo stralcio dei documenti prodotti dall'appellante per la prima volta in appello ritenendo la produzione documentale inammissibile ex art. 345 c.p.c. e confermava la sentenza di primo grado. L'avv. G. propone ricorso per cassazione articolato in due motivi avverso la sentenza n. 1098 del 2012 della Corte d'Appello di Roma, redatta in calce al verbale di udienza in data 28.2.2012. Resistono con controricorso C.A. e T L'avv. G. ha depositato memoria nella quale sostiene la tardività del deposito del controricorso delle C Le ragioni della decisione Va preliminarmente esaminata la questione della tempestività del controricorso, sollevata dal ricorrente con la memoria. Il ricorrente sostiene che, poiché nel caso di specie il ricorso è stato notificato in data 7 marzo 2013, il termine per il deposito di esso scadeva il 27.3.2013 ed il successivo termine per la notifica del controricorso scadeva il 16.4.2013. Essendo stato il controricorso consegnato all'ufficiale giudiziario per la notifica solo in data 18.4.2013, lo stesso sarebbe tardivo. Questa ricostruzione cozza contro la consolidata interpretazione in tema di decorrenza dei termini data dalla Corte. L'art. 370 c.p.c. prevede che il contro ricorrente debba notificare il ricorso al ricorrente nel domicilio eletto entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso. Il termine stabilito dal precedente art. 369 c.p.c. per il deposito del ricorso è di venti giorni dall'ultima notificazione. Tuttavia, in riferimento al termine per il deposito del ricorso il riferimento alla notificazione va inteso come notificazione perfezionatasi per il destinatario, per rispettare la logica espressa da Corte cost. n. 477 del 2002 e n. 28 del 2004. Questa Corte ha più volte ribadito che la distinzione dei momenti di perfezionamento della notifica per il notificante e il destinatario dell'atto, risultante dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, trova applicazione solo quando dall'intempestivo esito del procedimento notificatorio, per la parte di questo sottratta alla disponibilità del notificante, potrebbero derivare conseguenze negative per il notificante, quale la decadenza conseguente al tardivo compimento di attività riferibile all'ufficiale giudiziario, non anche quando la norma preveda che un termine debba decorrere o un altro adempimento debba essere compiuto dal tempo dell'avvenuta notificazione, come per il deposito del ricorso per cassazione e del controricorso, dovendo essa in tal caso intendersi per entrambe le parti perfezionata, come si ricava dal tenore testuale dell'articolo 369 cod. proc. civ., al momento della ricezione dell'atto da parte del destinatario, contro cui l'impugnazione è rivolta in questo senso Cass. n. 10837 e 14742 del 2007 e, di recente, Cass. 24346 del 2013 . Poiché nel caso di specie la notifica del ricorso è stata ricevuta dal destinatario TU.3.2013, la notifica del controricorso intrapresa il 18.4.2013 risulta collocarsi nei quaranta giorni successivi, quindi deve ritenersi tempestiva. Diversamente opinando si porrebbe a carico del controricorrente l'alea dei tempi di notifica del ricorso, ovvero un elemento che sfugge alla sua possibilità di controllo e si ridurrebbe in dipendenza di tale elemento il lasso di tempo a disposizione del controricorrente per predisporre le sue difese e portarle a conoscenza della controparte. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c Segnala che la corte d'appello, pur richiamando alcuni precedenti di legittimità che hanno affermato la possibilità di produrre per la prima volta in appello i documenti prodotti nella fase monitoria ma non nel giudizio di primo grado senza andare incontro al divieto dei nova in appello fissato dall’art. 345 c.p.c., se ne è discostata motivando sul punto, ritenendo non convincentemente delineato da tali pronunce il concetto della indispensabilità di nuove prove. Il motivo è fondato e va accolto. Sui limiti della ammissibilità della produzione documentale in appello si è pronunciata come è noto Cass. S.U. n. 8203 del 2005 secondo la quale Nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l'art. 345, terzo comma, cod.proc.civ. va interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova nuovi - la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza - e, quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con il porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame sempre che essi siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi nell'atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione. Peraltro, nel rito ordinario, risultando il ruolo del giudice nell'impulso del processo meno incisivo che nel rito del lavoro, l'ammissione di nuovi mezzi di prova ritenuti indispensabili non può comunque prescindere dalla richiesta delle parti . Per quanto concerne in particolare il procedimento monitorio, però, questa Corte ha già avuto modo di affermare, come richiamato dal ricorrente, che il procedimento che si apre con la presentazione del ricorso per decreto ingiuntivo e si chiude con la notifica del decreto stesso non è autonomo rispetto a quello che si apre con l'opposizione di cui all'art. 645 cod. proc. civ Di conseguenza, si è ritenuto che nel giudizio di opposizione, ove la parte opposta non abbia allegato al fascicolo nel termine di cui all'art. 184 cod. proc. civ., la documentazione posta a fondamento del ricorso monitorio, tale documentazione possa essere utilmente prodotta nel giudizio di appello, non potendosi considerare come nuova Cass. n. 11817 del 2011 . Poiché la questione della conciliabilità o meno della possibilità di produrre per la prima volta in appello il fascicolo di parte della fase monitoria e i documenti ivi contenuti con il divieto di produzione di nuove prove in appello continuava ad avere soluzioni non perfettamente coincidenti nella giurisprudenza di legittimità, la questione è stata sottoposta alle Sezioni Unite che hanno recentemente composto il contrasto in relazione a questa specifico aspetto della più generale questione della ammissibilità di nuove prove in appello, affermando che L'art. 345, terzo comma, cod. proc. civ. nel testo introdotto dall'art. 52 della legge 26 novembre 1990, n. 353, con decorrenza dal 30 aprile 1995 va interpretato nel senso che i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo e rimasti a disposinone della controparte, agli effetti dell'art. 638, terzo comma, cod. proc. civ., seppur non prodotti nuovamente nella fase di opposizione, rimangono nella sfera di cognizione del giudice di tale fase, in forza del principio di non dispersione della prova ormai acquisita al processo, e non possono perciò essere considerati nuovi, sicché, ove siano in seguito allegati all'atto di appello contro la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado, devono essere ritenuti ammissibili” Cass. S.U. n. 14475 del 2015 . La sentenza impugnata propugna argomenti tenuti in conto e non condivisi da tale recentissimo arresto giurisprudenziale, intervenuto proprio a comporre il contrasto esistente sul punto senza segnalare aspetti che possano indurre a riconsiderare la questione. Essa va pertanto cassata in accoglimento del primo motivo. Con il secondo motivo si denuncia l'omessa motivazione sul punto della ritenzione delle somme da parte dell'avv. G. . Il motivo è in sé così genericamente formulato da essere inammissibile, in quanto non puntualizza neppure se fosse stata proposta una domanda di accertamento dell'illegittimo esercizio del diritto di ritenzione da parte del legale, se essa fosse stata rigettata o meno, se sull'eventuale rigetto fosse stato proposto appello. Dalla lettura della sentenza emerge che la corte territoriale si è motivatamente pronunciata sul punto, a pag. 1 della motivazione, affermando che, non contestato in fatto che l'avv. G. trattenesse sul proprio conto somme di spettanza delle eredi P. , tali somme, in difetto di un diverso accordo avrebbero dovuto essere consegnate presso il loro domicilio ex art. 1183 terzo comma c.c., fermo restando il diritto del legale ad ottenere anche il rimborso delle spese per l'esecuzione del mandato. La corte pertanto ha negato con argomentazioni fondate su presupposti in fatto non contestati l'incasso da parte del G. delle somme spettanti alla sua cliente su mandato di questa il diritto di ritenzione del legale, né il ricorrente contesta argomentatamente il contenuto della motivazione evidenziandone la mera apparenza o l'incoerenza motivazionale. Il primo motivo di ricorso va pertanto accolto, inammissibile il secondo, e la sentenza impugnata va cassata con rimessione alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione che deciderà anche sulle spese esaminando i documenti facenti parte del fascicolo monitorio dell'avv. G. che questi aveva prodotto in appello, in conformità al principio di diritto sopra riportato. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per la decisione sulle spese alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione.