Violenze sì ma non indiscriminate nel Paese d’origine: niente protezione per lo straniero

Rifiuto netto alla richiesta di un cittadino nigeriano approdato in Italia. Complicata la situazione in quel territorio, ma la violenza non è così diffusa da considerare concreto il rischio per ogni persona di rientro nel Paese.

Episodi di violenza e conflitti interni nel Paese d’origine dell’immigrato approdato clandestinamente in Italia. Ciò, però, non è sufficiente per ritenere accettabile la richiesta di protezione sussidiaria presentata dall’uomo Cassazione, ordinanza n. 24111/2015, Sezione Sesta Civile, depositata oggi . Violenza. In prima battuta è stata riconosciuta la protezione al cittadino nigeriano arrivato in Italia. Il racconto fatto dall’uomo, e relativo alla morte violenta del padre e del fratello, è stato ritenuto inattendibile , tuttavia i giudici del Tribunale hanno considerato prevalente la situazione di violenza indiscriminata e conflitti interni che si vive in Nigeria. Di avviso opposto, però, i giudici d’Appello, che negano la protezione sussidiaria , condividendo quanto deciso in origine dalla Commissione territoriale. Decisiva, in questa ottica, la valutazione del rapporto di Amnesty International’ e del sito Viaggiare sicuri’ del Ministero degli Affari esteri dalla documentazione a disposizione emerge che non tutta la Nigeria è percorsa da violenza indiscriminata . E, peraltro, anche nelle zone più calde’ del Paese non vi è un generale indiscriminato rischio anche per le persone prive di credibili ragioni di specifico coinvolgimento nelle contrapposte partigianerie . Rischio. Ora l’ultima tappa della vicenda, che vede sconfitto il cittadino nigeriano. Anche per i giudici della Cassazione, difatti, non è accettabile la richiesta dell’uomo di ottenere protezione . Nodo gordiano è la situazione socio-politica in Nigeria. Su questo fronte viene ritenuta condivisibile la valutazione compiuta in Appello, laddove è stata esclusa l’ipotesi di una violenza indiscriminata , cioè di livello così elevato da presumere che un civile, rientrato nel Paese, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire una minaccia alla propria persona. A completare questa visione, poi, anche la sottolineatura del fatto che per il cittadino nigeriano la regione di provenienza è, in realtà, priva di effettivi pericoli . Corretta, quindi, la decisione di negare all’uomo la protezione .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile 1, ordinanza 18 settembre 25 novembre 2015, n. 24111 Presidente Dogliotti Relatore De Chiara Premesso Che nella relazione ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. si legge quanto segue 1. - Il sig. C.A., cittadino nigeriano, ricorse al Tribunale di Bologna avverso il diniego di protezione internazionale da parte della competente Commissione territoriale. Il Tribunale accolse la domanda sotto il subordinato profilo della protezione sussidiaria, riconoscendo la sussistenza della minaccia di un danno grave ai sensi dell'art. 14, lett. c , d.lgs. 17 novembre 2007, n. 251 in caso di rimpatrio del richiedente. Quest'ultimo allegava di essere nigeriano, cristiano, originario di Agbor, nel Delta State di aver vissuto dall'età di 15 anni ad Okerenghigo, nella regione di Warri, dove la famiglia si era trasferita a causa del lavoro del padre, poliziotto che il fratello si era arruolato nel Movimento per l'Indipendenza del Delta del Niger, dal quale era stato poi ucciso nel 2006, insieme a un altro fratello e al padre, essendo sospettato di essere una spia a causa della professione di quest'ultimo di essere quindi fuggito, temendo per la propria vita, rifugiandosi prima da uno zio a Jos, riparando poi in Libia a seguito dell'aggravarsi del conflitto interreligioso a Jos e lasciando, infine, anche la Libia per l'Italia a causa della guerra scoppiata nel 2011. La Corte ha osservato che il Tribunale, pur giudicando inattendibile tale racconto, aveva tuttavia riconosciuto la protezione sussidiaria sul presupposto della violenza indiscriminata e dei conflitti interni che interesserebbero la Nigeria che l'appellato non aveva contestato tale valutazione di inattendibilità, limitandosi a chiedere la conferma della decisione di primo grado che tale valutazione era comunque fondata su una serie di lacune e incongruenze della narrazione che, come risulta dalle stesse fonti utilizzate dal Tribunale rapporto 2011 di Amnesty International e sito Viaggiare sicuri del Ministero degli Affari Esteri , non contestate dall'appellato quanto a completezza, non tutta la Nigeria è percorsa da violenza indiscriminata, e anche le parti che lo sono, non lo sono nello stesso grado intenso capace di generale indiscriminato arrischiamento anche delle persone prive, come A., di credibili ragioni di specifico coinvolgimento nelle contrapposte partigianerie . Il sig. A. ha proposto ricorso per cassazione articolando quattro motivi di censura. L'amministrazione intimata ha resistito con controricorso. 2. - Con il primo motivo di ricorso, denunciando vizio di motivazione ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., si censura la valutazione di inattendibilità del racconto del ricorrente. 2.1 - La censura è inammissibile perché non è né rubricata, né, soprattutto, concretamente articolata in termini di omessa considerazione di fatti decisivi, secondo il disposto dell'art. 360, n. 5, cit., come novellato dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, cony. in 1. 7 agosto 2012, n. 134, qui applicabile ratione temporis. 3. - Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'art. 3, comma 5, d.lgs. n. 251 del 2007 e degli artt. 8 e 27, comma 1 bis, d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25. Lamentando che la Corte d'appello non si sia attenuta al principio dell'attenuazione dell'onere probatorio gravante sul richiedete asilo e della collaborazione istruttoria che il giudice dell'asilo è tenuto a prestare per l'accertamento dei fatti, il ricorrente deduce che le circostanze riferite nel suo racconto sono assolutamente compatibili con la situazione di violenza in cui versano varie aree della Nigeria e in particolare il Delta State, da cui egli proviene. 3.1. - Il motivo è inammissibile perché la Corte d'appello ha invece precisato di basare il proprio giudizio proprio sulle fonti acquisite d'ufficio dal Tribunale e non contestate, quanto a completezza, dall'attuale ricorrente. 4. - Con il terzo motivo si denuncia violazione dell'art. 2, comma 1 lett. g , dell'art. 5 e dell'art. 14, comma 1 lett. c , d.lgs. n. 251 del 2007, sostenendosi che quest'ultima disposizione, come interpretata dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea sentenze n. 172 del 2009, Elgafaji e n. 285 del 2012, Diakitè non prevede il requisito della individualizzazione del rischio. 4.1 - Neppure tale motivo può essere accolto. La Corte di giustizia, con le sentenze richiamate dal ricorrente, non ha affatto negato in assoluto la necessità del requisito della personalizzazione della minaccia con riferimento alla fattispecie di protezione sussidiaria di cui all'art. 15, lett. c , della direttiva 2004/83/CE corrispondente all'art. 14, lett. c , d.lgs. n. 251 del 2007 , ma ha affermato che 5.1. - Il motivo è inammissibile perché la Corte d'appello ha, invece, espressamente precisato di non fare una tale affermazione e di affermare, invece, che la stessa regione di provenienza del ricorrente è priva, per lui, dei pericoli denunciati. che detta relazione è stata ritualmente notificata agli avvocati delle parti costituite, i quali non hanno presentato memoria Considerato che il Collegio condivide le considerazioni svolte in detta relazione che pertanto il ricorso va rigettato, con condanna della parte ricorrente alle spese processuali liquidate come in dispositivo che, risultando dagli atti l'esenzione del ricorso dal contributo unificato, non trova applicazione l'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17,1. n. 228 del 2012. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, liquidate in 1.700,00, di cui 1.00,00 per compensi di avvocato, oltre spese generali e accessori di legge.