Revoca della dichiarazione di pubblica utilità: in caso di restituzioni, gli interessi legali decorrono dalla data della domanda stragiudiziale

In presenza di un accordo amichevole sull’indennità di esproprio, seguito dal pagamento dell’indennità concordata, nel caso in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia revocata per ragioni di pubblico interesse, il pagamento dell’indennità e la protrazione del possesso del bene dal parte dell’Amministrazione che lo ha occupato d’urgenza risultano privi di causa ed entrambe le parti sono obbligate alle restituzioni, in applicazione delle regole sulla ripetizione dell’indebito, a norma dell’art. 2033 c.c. in particolare, qualora il privato non intenda rientrare in possesso del bene, l’Amministrazione può liberarsi formulando offerta di restituzione in applicazione della disciplina sulla mora credendi e, dal canto suo, il privato è tenuto a corrispondere anche gli interesse maturati sull’indennità anticipatagli dal giorno in cui ha ricevuto la richiesta formale di restituzione, intendendosi la domanda” di cui all’art. 2033 c.c. come atto di costituzione in mora, anche stragiudiziale art. 1219, comma 1, c.c. .

Con la pronuncia n. 22852 del 9 novembre 2015, il S.C. chiarisce che, nel caso in cui non si giunga al perfezionamento della procedura di espropriazione, il privato è tenuto alla restituzione della somma già ricevuta a titolo di anticipazione per l’espropriazione, con obbligo di restituzione degli interessi legali a far data dalla domanda stragiudiziale di messa in mora. Il caso. La vicenda illustrata e decisa nella sentenza in commento prende le mosse da un accordo amichevole relativo alla espropriazione di alcuni terreni per una opera di pubblica utilità, successivamente non realizzata. Nelle more, i proprietari del terreno hanno ricevuto un’anticipazione e, stante il mancato perfezionamento dell’intera procedura, sono risultati destinatari della richiesta del Ministero di restituzione delle somme già ricevute e di rientrare nel possesso dei beni già consegnati al Ministero stesso. La domanda è accolta in primo grado, salvo il pagamento a carico del Ministero di alcuni importi a titolo di risarcimento. Lo stesso Ministero ha proposto appello in punto di decorrenza degli interessi legali, sostenendo la debenza degli stessi, a carico dei proprietari del terreno, dalla data di messa in mora stragiudiziale anziché di quella della domanda giudiziale, come invece statuito dal giudice di primo grado. La Corte territoriale ha quindi accolto tale prospettazione, confermata dal S.C. secondo la massima di cui sopra. Espropriazione accordo amichevole sull’ammontare o cessione volontaria del bene? Come chiarito preliminarmente dalla Cassazione, dall'accordo amichevole sull'ammontare dell'indennità di espropriazione non deriva una cessione volontaria del bene che renda non più necessario il completamento della procedura espropriativa occorre, invece che il procedimento espropriativo prosegua sino al suo completamento perché si verifichi l'effetto traslativo della proprietà, sì che se il procedimento non si conclude con l'espropriazione, viene meno l'efficacia dell'accordo amichevole sull'ammontare dell'indennità, non potendovi essere un'indennità di espropriazione se non c'è espropriazione in altri termini, non è configurabile in capo al privato che abbia concluso il detto accordo un diritto ad essere espropriato - né un obbligo in capo all'amministrazione a completare il procedimento - ma solo un diritto a ricevere per l'esproprio, quando esso abbia luogo, un'indennità nella misura concordata. Indebito oggettivo ed obbligo di restituzione la regola generale L'art. 2033 c.c., pur essendo formulato con riferimento all'ipotesi del pagamento ab origine indebito, è applicabile per analogia anche alle ipotesi di indebito oggettivo sopravvenuto per essere venuta meno, in dipendenza di qualsiasi ragione, in un momento successivo al pagamento, la causa debendi ”. In particolare, in un caso analogo a quello deciso dalla sentenza in commento, si è affermato che, venuto meno l’accordo amichevole successivamente alla sopravvenuta revoca della dichiarazione di pubblica utilità comportante l'inefficacia dell'accordo medesimo, il computo degli interessi compensativi ha preso avvio dal momento della domanda giudiziale, essendo rimasta esclusa la malafede del soggetto espropriando. Restituzione degli interessi dalla domanda giudiziale Secondo un diffuso orientamento giurisprudenziale, nell'ipotesi d'azione di ripetizione d'indebito oggettivo, ex art. 2033 c.c., il debito dell' accipiens , a meno che egli non sia in mala fede, produce interessi solo a seguito della proposizione di un'apposita domanda giudiziale, non essendo sufficiente un qualsiasi atto di costituzione in mora del debitore, atteso che all'indebito si applica la tutela prevista per il possessore in buona fede - in senso soggettivo - dall'art. 1148 c.c., a norma del quale questi è obbligato a restituire i frutti soltanto dalla domanda giudiziale, secondo il principio per il quale gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della proposizione della domanda. o dalla messa in mora stragiudiziale? Il S.C., per contro, nella sentenza in commento, sposa il diverso orientamento, affermato comunque in numerose pronunce, per il quale gli interessi sulle somme indebitamente riscosse sono dovuti dal percettore in buona fede dal momento della domanda, ovvero dalla costituzione in mora, quanto ai pagamenti anteriori, e dalla data dei singoli pagamenti, quanto a quelli successivi alla domanda stessa. Ne consegue che la domanda, anche, se stragiudiziale, purché idonea alla costituzione in mora, è dunque sufficiente perché decorrano gli interessi legali, dal momento del pagamento, anche sulle somme corrisposte successivamente, senza necessità di ulteriori richieste di rimborso. Siffatto effetto va ricondotto alla domanda non in quanto domanda di restituzione, riguardante necessariamente versamenti già effettuati, ma in quanto implicante la contestazione giudiziale dell'unica causa solvendi cui i singoli pagamenti si riferiscono.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 14 ottobre – 9 novembre 2015, n. 22852 Presidente Salvago – Relatore Lamorgese Svolgimento del processo 1.- Il Ministero della difesa, con atto di citazione notificato tra il 28 aprile e il 2 maggio 2001, convenne in giudizio i sig.ri P.M. , + altri , per sentire dichiarare l'inefficacia dell'accordo stipulato il 24 settembre 1990 con il loro dante causa, sig. P.P. , con cui era stata concordata e poi corrisposta l'indennità di esproprio pari a complessive lire 422.370.400 di terreni di loro proprietà, situati nel Comune di omissis , e condannare i convenuti alla restituzione della predetta somma, oltre interessi legali. Dei suddetti terreni era stata ordinata l'occupazione d'urgenza in data 22 giugno 1990, in vista della realizzazione dei lavori di ampliamento dell'aeroporto , dove doveva essere installata una base Nato, opera dichiarata di pubblica utilità con dPR n. 27 del 1989 tuttavia, avendo gli organi della Nato nel dicembre 1991 annullato il progetto, il Ministero aveva dovuto ordinare la cessazione delle attività espropriative che non si erano concluse, non essendo stato emesso il decreto di esproprio e, con dPR 22 aprile 1993 n. 817, la dichiarazione di p.u. era stata revocata per ragioni di interesse pubblico di conseguenza era stato intimato ai proprietari di rientrare in possesso dei beni e di restituire l'indennità percepita che era rimasta priva di giustificazione causale. 2.- Il Tribunale di Catanzaro dichiarò l'inefficacia dell'accordo sull'indennità di esproprio condannò i sig.ri P. alla restituzione dell'indennità Euro 218.137,00 , oltre interessi legali dal giorno della notifica della domanda giudiziale ordinò il rilascio dei terreni in loro favore e condannò il Ministero a pagare alcune somme a titolo risarcitorio. 3.- Il gravame del Ministero è stato parzialmente accolto dalla Corte d'appello di Reggio Calabria, con sentenza 21 gennaio 2009. Per quanto ancora interessa in questa sede, la Corte ha rigettato l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario sollevata dai privati ha qualificato la pattuizione del 1990 come un accordo amichevole sul quantum dell'indennità di esproprio e non una cessione volontaria , avente efficacia esclusivamente endoprocedimentale, inidoneo a produrre un effetto traslativo della proprietà del bene e a fare sorgere nei privati il diritto all'emissione del decreto di esproprio, con la conseguenza che il medesimo accordo era diventato inefficace poiché il procedimento di esproprio non si era concluso e che erano sorti a carico delle parti reciproci obblighi restitutori ha determinato le somme dovute ai privati a titolo di indennità di occupazione legittima Euro 15.750,97 e di risarcimento dei danni arrecati ai terreni e ad un fabbricato Euro 7.957,04+Euro 3.185,00 nel periodo dall'immissione in possesso 24 settembre 1990 alla data di cessazione degli effetti della dichiarazione di p.u. 22 aprile 1993 , nonché a titolo di risarcimento dei danni Euro 58.645,74, oltre interessi e rivalutazione per il successivo periodo in cui il Ministero aveva trattenuto i beni senza titolo, avendo intimato ai privati di riprenderli solo il 23 o 29 ottobre 1996 con offerta reale perfezionatasi il 19 o 26 novembre 1996 dopo una richiesta informale del febbraio 1996 con la quale i privati erano stati informati della intervenuta revoca della dichiarazione di p.u. ed era stato loro chiesto di restituire l'indennità decurtata delle somme ad essi spettanti invece, per il periodo successivo al 29 ottobre 1996, i privati non avevano diritto al risarcimento, avendo illegittimamente resistito alla richiesta di rientrare nel possesso dei beni ed essendo venuta meno l'imputabilità al Ministero dell'inadempimento all'obbligo restitutorio in tal senso ha accolto il motivo di gravame del Ministero infine, in accoglimento di altro motivo di gravame, ha indicato nel 23 ottobre 1996 anziché nella data della domanda giudiziale come stabilito dal primo giudice la decorrenza degli interessi legali sull'indennità di esproprio di Euro 218.137,00 . 4.- Avverso questa sentenza i sig.ri P. ricorrono per cassazione sulla base di due motivi il Ministero della difesa resiste e propone un ricorso incidentale affidato a tre motivi. Motivi della decisione 1.- Il primo motivo del ricorso principale, che denuncia violazione dei principi in tema di riparto della giurisdizione, si conclude con i seguenti quesiti di diritto rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la materia attinente a procedimento espropriativo ed alla decadenza e revoca della dichiarazione di pubblica utilità con le conseguenze ulteriori quanto alla caducazione del rapporto e alle restituzioni quanto alla normativa in materia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia espropriativa, trattandosi di normativa processuale, la stessa è di immediata applicazione per cui va applicata la normativa vigente al momento della proposizione della domanda giudiziale . 1.1.- Il motivo è inammissibile. Come eccepito dal Ministero della difesa, i proposti quesiti sono del tutto inadeguati, a norma dell'art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione temporis , risolvendosi in enunciazioni di carattere generale e astratto, prive di qualunque indicazione sui caratteri concreti della controversia e, quindi, inidonee a consentire di definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo v., tra le tante, Cass. s.u. n. 6420/2008 . 2.- Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 26 ss. della legge n. 2359 del 1865, 12 della legge n. 865 del 1971 e 5 bis della legge n. 359 del 1992, del t.u. sugli espropri d.lgs. n. 327 del 2001 , delle norme in tema di interpretazione dei contratti, di ripetizione dell'indebito e di calcolo degli interessi, nonché vizio di motivazione, per avere erroneamente escluso nella pattuizione del 24 settembre 1990 la natura di cessione volontaria e per avere fatto decorrere gli interessi sull'indennità da restituire da una data 23 ottobre 1996 antecedente alla domanda giudiziale. 2.1.- Il Ministero ha eccepito l'inammissibilità del motivo per inadeguatezza dei quesiti. 2.1.1.- L'eccezione è fondata limitatamente al profilo concernente il denunciato vizio motivazionale, cui si riferisce un momento di sintesi - così formulato difetta in via assoluta la motivazione sulla natura giuridica dell'atto da qualificare come cessione volontaria e non come mera accettazione anche in considerazione del fatto che l'atto stesso non risulta nemmeno esplicitamente individuato ed esaminato - che è effettivamente inidoneo a sintetizzare il vizio argomentativo imputato alla Corte d'appello nella qualificazione giuridica della pattuizione intercorsa tra le parti. Esso è privo della necessaria indicazione degli elementi di fatto decisivi che, se valutati, avrebbero ragionevolmente indotto i giudici di merito alla diversa qualificazione invocata dai ricorrenti come cessione volontaria del bene, anziché come accordo sull'indennità e ignora l'articolata motivazione espressa al riguardo nella sentenza impugnata a pag. 12-14 , sollecitandosi una diversa interpretazione della volontà delle parti che, evidentemente, esorbita dalle finalità del giudizio di legittimità. È pertanto divenuto definitivo il capo decisorio che ha qualificato la pattuizione di cui si discute non come cessione volontaria del bene che renderebbe non più necessario il completamento del procedimento espropriativo al fine del passaggio della proprietà del bene dall'espropriato all'espropriante , ma come un accordo amichevole sull'ammontare della indennità di espropriazione, ai sensi dell'art. 26 della legge n. 2359 del 1865, con la conseguenza che l'Amministrazione che abbia iniziato un siffatto procedimento non è obbligata per legge a completarlo e non è configurabile in capo al privato che abbia concluso detto accordo un diritto ad essere espropriato, ma solo un diritto a ricevere una indennità nella misura concordata quando l'esproprio abbia luogo, mentre, se il procedimento non si conclude con l'espropriazione, viene meno l'efficacia dell'accordo v., tra le altre, Cass. n. 12704/2001 . 2.1.2.- Il quesito di diritto concernente la denuncia di violazione di legge - così formulato quanto alla decorrenza degli interessi, trattandosi di ripetizione dell'indebito, gli interessi compensativi sono dovuti all'Amministrazione dal momento della domanda giudiziale e mai comunque da quello della messa in mora , salva la dimostrazione della mala fede dell' accipiens , nel caso di specie palesemente esclusa dal titolo in base al quale legittimamente l' accipiens aveva percepito la somma in questione - è, invece, sufficientemente idoneo a fare comprendere l'errore di diritto imputato ai giudici di merito nella individuazione della decorrenza degli interessi sul debito di restituzione dell'indennità di esproprio. 2.2.- Il profilo in esame, concernente appunto la decorrenza degli interessi, è però infondato. La giurisprudenza di questa Corte si è più volte espressa nel senso che, qualora sia sopravvenuta la revoca della dichiarazione di pubblica utilità dopo che sia stata percepita l'indennità di espropriazione dal proprietario espropriando a seguito di accordo amichevole e sia avvenuta la presa di possesso del bene da parte dell'espropriante in virtù di occupazione d'urgenza , tutti i successivi atti che vi si ricollegano diventano inefficaci in forza del suddetto provvedimento terminativo della procedura espropriativa ne consegue che la somma anticipata all'espropriando diventa priva di causa, così come diventa ingiustificata e, perciò, illegittima la protrazione dell'occupazione del bene da parte del soggetto espropriante, con l'effetto che entrambi sono obbligati alle rispettive restituzioni in particolare, per la restituzione della somma ricevuta dal privato a titolo di indennità di espropriazione valgono le regole della ripetizione dell'indebito, essendo l'art. 2033 c.c. applicabile anche nel caso di sopravvenienza della causa che renda indebito il pagamento Cass., s.u., n. 5624 e 14886/2009 . A questa condivisibile premessa, nelle medesime sentenze poc'anzi richiamate, fa seguito l'ulteriore affermazione secondo cui gli interessi decorrono dal giorno della domanda giudiziale e non da quello dell'eventuale, precedente, costituzione in mora, atteso che all'indebito si applica la tutela prevista per il possessore in buona fede - in senso soggettivo - dall'art. 1148 c.c., a norma del quale questi è obbligato a restituire i frutti soltanto dalla domanda giudiziale, secondo il principio per il quale gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della proposizione della domanda . Quest'ultima affermazione, che richiama un tradizionale orientamento seguito, tra le altre, da Cass. n. 4745/2005 e 1581/2004 e, di recente, da Cass. n. 13424/2015 , non è condivisibile, dovendosi invece dare seguito all'indirizzo inaugurato da Cass. n. 7586/2011 e seguito incidentalmente da Cass. n. 16657/2014 secondo il quale, in tema di ripetizione d'indebito oggettivo, l'espressione domanda di cui all'art. 2033 c.c. non va intesa come riferita esclusivamente alla domanda giudiziale ma anche ad atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora, ai sensi dell'art. 1219 c.c., dovendosi considerare l' accipiens in buona fede quale debitore e non come possessore, con conseguente applicazione dei principi generali in materia di obbligazioni e non di quelli relativi alla tutela del possesso ex art. 1148 c.c La ragione di decorrenza degli interessi, di cui all'art. 2033 c.c., dalla domanda stragiudiziale invece che da quella giudiziale è di carattere generale. Come ritenuto da Cass. n. 7586/2011, la riconduzione della formula letterale dell'art. 2033, che parla di domanda senza aggettivi, alla domanda giudiziale ha un antico fondamento storico che a questo Collegio appare non più corrispondente all'attuale sistema del codice civile. L'art. 1147 del codice del 1865, riprendendo l'art. 1378 del code civil, disciplinava la restituzione dell'indebito, entro la sezione dei quasi contratti, con esclusivo riferimento alla ricezione in mala fede e faceva decorrere gli interessi dal giorno del pagamento , in ciò precorrendo l'attuale art. 2033. Quanto all'ipotesi, non prevista nel codice civile del 1865, della ricezione in buona lede, dottrina e giurisprudenza consideravano l' accipiens non già come debitore per la restituzione ma come possessore della somma altrui. Perciò egli doveva restituire i frutti pervenutigli dopo la domanda giudiziale art. 703 del codice del 1865, corrispondente all'art. 1148 del codice del 1942 . La ragione di quest'ultima disposizione stava, e sta, non nel fatto che la domanda giudiziale facesse venir meno lo stato di buona fede a ciò sarebbe bastata anche la domanda stragiudiziale , bensì nel già ricordato principio secondo cui, esercitata l'azione, la durata del processo non deve nuocere alla parte che ha ragione . In altri termini, considerato l' accipiens come possessore piuttosto che come debitore, la domanda giudiziale non ha l'effetto della costituzione in mora il possessore, in virtù dell'apparenza di verità che è data al suo titolo dalla buona fede che si presume , non cessa di essere tale né diventa mero detentore per il solo fatto che un terzo rivendichi il bene, seppure con una richiesta formale del tutto analoga a quella idonea per la costituzione in mora . Ciò spiega perché è soltanto una sentenza del giudice i cui effetti retroagiscono alla domanda giudiziale di cui parla l'art. 1148 c.c. che potrebbe fare cessare lo status di possessore in buona fede e la tutela riconosciutagli dall'ordinamento. Inserita tuttavia - dal codice del 1942 - la disciplina della ripetizione dell'indebito nel libro delle obbligazioni, risulta incongruente il fondamento legale della decorrenza degli interessi dalla domanda giudiziale, ma tale incongruenza è superabile abbandonando la disciplina del possesso e applicando alla ripetizione dell'indebito le norme del diritto delle obbligazioni. A sostegno di quest'orientamento sono utilizzabili anche ulteriori argomenti. Innanzitutto vi è un argomento di tipo letterale, al quale si è già accennato, che dimostra la diversità della disciplina del possesso rispetto a quella delle obbligazioni l'art. 2033 c.c. stabilisce che chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto agli interessi dal giorno della domanda , a differenza dell'art. 1148 c.c. secondo cui il possessore in buona fede fa suoi i frutti naturali separati e i frutti civili fino al giorno della domanda giudiziale . Un altro argomento proviene dalla comparazione giuridica il p.819 del BGB prevede che l' accipiens che sia o venga a conoscenza della mancanza della ragione giuridica del suo acquisto è obbligato alla restituzione a partire dal momento dell'acquisto o dalla successiva conoscenza come se in tale momento fosse stata presentata la domanda giudiziale di restituzione . Ciò dimostra che la successiva conoscenza del diritto altrui fa venire meno la buona fede e giustifica la restituzione dei frutti, mentre nel possesso ciò non accade prima della proposizione della domanda giudiziale art. 1147, comma 3, e 1148 del nostro codice . Inoltre, nel caso, come quello in esame, in cui all'obbligo dei privati di restituire l'indennità corrisponda quello dell'Amministrazione di restituire il bene, v'è l'esigenza di rispettare il sinallagma delle obbligazioni restitutorie. Tale sinallagma sarebbe vulnerato se si ritenesse il privato tenuto a corrispondere gli interessi sulla somma da restituire solo dalla domanda giudiziale, come se prima la sua obbligazione restitutoria non fosse ancora perfetta nonostante idonei atti stragiudiziali precedenti , e l'Amministrazione vincolata all'obbligazione già perfetta di restituire il bene nel momento stesso in cui per effetto della revoca della dichiarazione di pubblica utilità sia venuto meno il titolo legale che ne aveva giustificato la presa di possesso tanto da giustificare la mora credendi del privato . Infine - e la circostanza potrebbe avere valore decisivo - si deve considerare che il privato ha ricevuto soltanto un'anticipazione dell'indennità che diventerà definitiva se e quando il procedimento espropriativo, al quale è strumentale l'accordo amichevole stipulato con l'Amministrazione, si sarà concluso con l'emissione del decreto di esproprio. L'elemento soggettivo che caratterizza il potere di fatto esercitato dal privato sulla somma di denaro ricevuta sembra riconoscibile più come animus detinendi nomine alieno che come animus possidendi . In questa prospettiva sarebbe esclusa l'applicabilità alla fattispecie della disciplina, di cui all'art. 1148 c.c., relativa all'obbligo del possessore in buona fede di restituire i frutti percepiti solo dopo la domanda giudiziale Cass. n. 8796/2000 . 3.- Venendo al ricorso incidentale del Ministero della difesa, il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c., per avere ravvisato una evidente colpa da ritardo e/o inerzia del Ministero per la mancata tempestiva riconsegna dell'immobile, erroneamente desumendola dal solo fatto materiale della detenzione successivamente alla revoca della dichiarazione di pubblica utilità. 3.1.- Il motivo è infondato. La Corte d'appello, condannando il Ministero al risarcimento del danno per il mancato reddito conseguibile dal bene occupato senza titolo dopo la revoca della dichiarazione di pubblica utilità 22 aprile 1993 , sino al giorno in cui i privati creditori sono stati costituiti in mora, ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui la privazione del possesso del bene se abusiva , conseguente all'occupazione preordinata all'esproprio, integra di per sé un danno risarcibile Cass. n. 4797/2005, 11391/2001 . Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità il danno subito dal proprietario per l'occupazione senza titolo di un bene immobile altrui è in re ipsa , discendendo dalla perdita della disponibilità e dall'impossibilità di conseguire l'utilità ricavabile da esso Cass. n. 11992/2014, 9137/2013, 10498/2006 . 3.2.- Il secondo e terzo motivo sono inammissibili, in quanto privi di momenti di sintesi adeguati alla tipologia dei vizi motivazionali denunciati, a norma dell'art. 360 n. 5 c.p.c 4.- In conclusione, dev'essere enunciato il seguente principio di diritto in presenza di un accordo amichevole sull'indennità di esproprio, seguito dal pagamento dell'indennità concordata, nel caso in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia revocata per ragioni di pubblico interesse, il pagamento dell'indennità e la protrazione del possesso del bene da parte dell'Amministrazione che lo ha occupato d'urgenza risultano privi di causa ed entrambe le parti sono obbligate alle restituzioni, in applicazione delle regole sulla ripetizione dell'indebito, a norma dell'art. 2033 c.c. in particolare, qualora il privato non intenda rientrare in possesso del bene, l'Amministrazione può liberarsi formulando offerta di restituzione in applicazione della disciplina sulla mora credendi e, dal canto suo, il privato è tenuto a corrispondere anche gli interessi maturati sull'indennità anticipatagli dal giorno in cui ha ricevuto la richiesta formale di restituzione, intendendosi la domanda di cui all'art. 2033 come atto di costituzione in mora, anche stragiudiziale art. 1219, comma 1, c.c. . 5.- Entrambi i ricorsi sono rigettati. Le spese possono essere compensate, in considerazione della reciproca soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta entrambi i ricorsi compensa le spese del giudizio di cassazione.