Identità o connessione tra cause pendenti dinanzi al medesimo ufficio: gli atti vanno rimessi al capo dell’ufficio

Laddove tra due procedimenti pendenti dinanzi al medesimo ufficio giudiziario, o a sezioni diverse del medesimo ufficio, esista un rapporto di identità o di connessione, il giudice del giudizio pregiudicato non può disporre la sospensione ex art. 295 c.p.c., ma deve rimettere gli atti al capo dell’ufficio.

Così la Cassazione, con l’ordinanza n. 22292/15, depositata il 30 ottobre 2015. Il caso. La pronuncia in commento trae origine da un ricorso proposto per ottenere il rilascio immediato di un immobile di proprietà del ricorrente – che lo aveva acquistato dal proprio fratello -, detenuto in comodato dalla resistente. La resistente contestava la risolubilità del contratto di comodato ad nutum , sostenendo che l’immobile de quo era stato destinato ad abitazione familiare sua, del fratello del ricorrente e del loro figlio. Il Tribunale sospendeva la causa, ritenendo pregiudiziale alla decisione il ricorso proposto dalla resistente davanti al medesimo ufficio giudiziario per ottenere l’assegnazione dell’immobile in contestazione, al fine di abitarvi insieme al figlio. Il ricorrente, quindi, ha proposto regolamento di competenza dinnanzi alla Corte di Cassazione. Non sospensione, ma rimessione degli atti al capo dell’ufficio Gli Ermellini hanno rilevato che secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, qualora tra due procedimenti pendenti dinanzi al medesimo ufficio o a sezioni diverse del medesimo ufficio esista un rapporto di identità o di connessione, il giudice del giudizio pregiudicato non può adottare un provvedimento di sospensione ex art. 295 c.p.c. Sospensione necessaria , ma deve rimettere gli atti al capo dell’ufficio, secondo le previsioni degli artt. 273 Riunione di procedimenti relativi alla stessa causa o 274 Riunione di procedimenti relativi a cause connesse del codice di rito, a meno che il diverso stato in cui si trovano i due procedimenti non ne precluda la riunione – circostanza, quest’ultima, che però non è mai stata dedotta dal ricorrente, come sottolineano i Giudici di Piazza Cavour. Poiché la violazione di tale principio, come ricordato dai Giudici del Palazzaccio, può essere sindacata anche d’ufficio dalla Corte di Cassazione in sede di regolamento di competenza proposto avverso il provvedimento di sospensione, la Corte ha disposto la prosecuzione del giudizio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 10 giugno – 30 ottobre 2015, n. 22292 Presidente Finocchiaro – Relatore Amendola Svolgimento del processo Con ricorso ex art. 447 bis cod. proc. civ. C.D.F. ha chiesto a N.V. il rilascio immediato di un immobile di sua proprietà, dalla stessa detenuto in comodato. Ha esposto, a sostegno della domanda, di avere acquistato il cespite da suo fratello A., con atto a rogito notar D. di Pescara del 4 dicembre 2012. Costituitasi in giudizio, la convenuta ha ammesso l'esistenza del contratto di comodato. Ha tuttavia contestato la risolubilità dello stesso ad nutum, assumendo che, sin da epoca precedente il menzionato atto di alienazione, l'immobile era stato destinato ad abitazione familiare sua, di A. D.F., con il quale ella all'epoca conviveva, e del loro figlio Pavel. Il Tribunale di Teramo, rilevata la contestuale pendenza, innanzi al medesimo ufficio giudiziario, del procedimento originato dal ricorso ex art. 737 cod. proc. civ., proposto da N.V., al fine di ottenere l'assegnazione dell'immobile in contestazione, per abitarvi insieme al figlio ritenuta la pregiudizialità della decisione in ordine alla destinazione del bene a residenza familiare, ha sospeso, ex art. 295 cod. proc. civ., la causa proposta dal comodante, fino all'esito di quel procedimento. Avverso detto ordinanza C.D.F. ha proposto ricorso per regolamento di competenza ex art. 42 cod. proc. civ. Prestandosi il ricorso ad essere trattato con il procedimento di cui all'art. 380 ter cod. proc. civ., sono state richieste le conclusioni al Pubblico Ministero presso la Corte e all'esito del deposito della requisitoria con la richiesta di rigetto, ne è stata disposta la notificazione agli avvocati delle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale. Motivi della decisione 1. Ha dedotto il ricorrente, a sostegno del mezzo, che il giudice a quo aveva illegittimamente disposto la sospensione, ex art. 295 cod. proc. civ., non sussistendo alcuna pregiudizialità né logica, né giuridica, tra i due procedimenti, l'uno da lui medesimo incardinato innanzi al Tribunale di Teramo nei confronti di N.V., al fine di ottenere la restituzione dell'immobile dalla stessa detenuto in comodato, l'altro proposto dalla comodataria nei confronti di A. e C.D.F., per l'assegnazione dell'abitazione familiare. Sostiene quindi il ricorrente che le decisioni alle quali metteranno capo i due procedimenti sono affatto indipendenti l'una dall'altra e tali che tra le stesse non potrebbe insorgere alcun contrasto di giudicati, ma al più un contrasto di conseguenze pratiche, inidoneo a integrare una causa di sospensione cfr. Cass. civ. 23 ottobre 1998, n. 10558 . La pronuncia emananda nel giudizio sospeso avrebbe il merito di specificare, verso l'assegnataria, che il titolo della sua detenzione è il comodato mentre quella emessa all'esito del procedimento camerale varrebbe, verso il comodante, come accertamento della compressione del suo diritto, fino al maturare di determinate condizioni. 2. Il ricorso deve essere accolto, ancorché per ragioni diverse da quelle prospettate dal ricorrente e dal Procuratore generale nella sua requisitoria scritta. Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, invero, nel caso in cui tra due procedimenti, pendenti dinanzi al medesimo ufficio o a sezioni diverse del medesimo ufficio, esista un rapporto di identità o di connessione, il giudice del giudizio pregiudicato non può adottare un provvedimento di sospensione ex art. 295 cod. proc. civ., ma deve rimettere gli atti al capo dell'ufficio, secondo le previsioni degli artt. 273 o 274, a meno che il diverso stato in cui si trovano i due procedimenti non ne precluda la riunione, circostanza qui mai neppure dedotta. Ed è appena il caso di rimarcare che, mentre la violazione di tale principio può essere sindacata, anche d'ufficio, dalla Corte di cassazione in sede di regolamento di competenza proposto avverso il provvedimento di sospensione cfr. Cass. civ. 24 luglio 2014, n. 20149 26 luglio 2012, n. 13330 Cass. civ. 20 luglio 2012, n. 12741 , il problema della diversità di riti tra le due controversie, vertendosi in tema di connessione ai sensi dell'art. 34 cod. proc. civ., va risolto in base al disposto dell'art. 40, comma 3, cod. proc. civ Conseguentemente, caducata l'ordinanza impugnata, va disposta la prosecuzione del giudizio, qui statuendosi, a norma dell'art. 49, comma 2, cod. proc. civ., che il Tribunale dovrà provvedere ai sensi dell'art. 274 cod. proc. civ. Le spese del presente procedimento andranno liquidate dal giudice di merito. P.Q.M. La Corte, decidendo sul ricorso per regolamento di competenza, dispone la prosecuzione del giudizio. Spese al definitivo. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10 giugno 2015.