Il mancato rispetto dei termini a difesa stabiliti per legge integra automaticamente vizio di nullità

Risponde alla logica del giusto processo e della sua ragionevole durata fondare – in linea di principio – la nullità sulla lesione in concreto del diritto di difesa, con la conseguenza che in mancanza di pregiudizio effettivo, manca altresì l’interesse ad eccepire la nullità in quando improduttiva di danno. Tuttavia questo principio va derogato nel caso dei termini a difesa perché in queste ipotesi il legislatore ritiene che termini inferiori pregiudichino l’effettività della difesa stessa.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20180/15, depositata l’8 ottobre. In definitiva, secondo i Giudici di Piazza Cavour, nel caso dei termini a difesa, il giudizio sul danno è fatto dal legislatore e non dal giudice. Esso è quindi in re ipsa la violazione automaticamente comporta la lesione del diritto di difesa - senza necessita di essere provata dalla parte che la eccepisce - e determina la nullità del procedimento art. 156, comma 2 c.p.c. e della sentenza art. 159, comma 1 c.p.c. . Il caso. La vicenda riguarda una richiesta di risarcimento danni svolta dalla vittima di un sinistro nei confronti del responsabile civile e della compagnia di assicurazioni. A seguito della sentenza del Giudice di pace, il danneggiato proponeva appello al Tribunale di Roma. Quest’ultimo confermava la decisione di prime cure, ma la sentenza risultava essere stata redatta prima della scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali ed eventuali repliche. L’appellante ricorreva allora per cassazione per far dichiarare la nullità della decisione di secondo grado. Sì alla lesività in concreto, ma non a scapito del diritto di difesa. La decisione della Cassazione ruota intorno ad un’unica questione di tipo meramente processuale qual è la sorte di una sentenza che risulta essere stata delibata prima della scadenza dei termini ex art. 190 c.p.c. stabiliti per il deposito degli scritti conclusionali? Secondo una recente pronuncia della stessa Corte di legittimità n. 7086/15 , una simile sentenza non è automaticamente affetta da nullità, poiché occorre dimostrare la lesione concretamente subita dalla parte in conseguenza della lamentata violazione processuale. In particolare bisogna evidenziare le argomentazioni difensive contenute nella memoria non esaminata dal giudice che invece avrebbero potuto ragionevolmente portare a una decisione diversa da quella assunta. Tale orientamento è dunque fondato sulla lesività in concreto” delle nullità processuali. In pratica, in virtù dei principi della ragionevole durata del processo, dell’efficienza e dell’economia processuale, una nullità che non produce alcun danno effettivo e oggettivo non incide in realtà sulla bontà” del processo e non impedisce di amministrare correttamente la giustizia, anzi aumenta solo inutilmente la durata del procedimento. Simile ragionamento è in linea di principio corretto e apprezzabile tuttavia, con riferimento al caso specifico della fissazione di termini a difesa, gli Ermellini rilevano che la conclusione che ne deriva è invero contraria all’orientamento oggi prevalente, secondo il quale la sentenza va giudicata senz’altro nulla per violazione del principio del contraddittorio senza necessità di ulteriori dimostrazioni e prove . Infatti la decisione assunta prima della scadenza dei termini di legge ex art. 190 c.p.c. impedisce al difensore di svolgere appieno il diritto di difesa. Il principio del contraddittorio va assicurato per tutto il processo. Sottolinea la Suprema che il principio del contradditorio – cardine e fondamento del processo civile – non è limitato solo agli atti introduttivi del giudizio, bensì deve sussistere e essere assicurato durante tutto il procedimento. Nella decisione in commento la Cassazione aderisce a tale impostazione, spiegando che, quando il legislatore fissa dei termini perentori per l’esercizio delle attività difensive, significa che ha già ritenuto, per così dire ab origine , che un termine inferiore lederebbe il diritto di difesa, altrimenti la perentorietà del termine non avrebbe alcun senso giuridico. Quindi nel caso in cui il giudice non abbia rispettato simili tempistiche, la lesione del diritto di difesa è in re ipsa in virtù della valutazione a monte compiuta dal legislatore che stabilito il termine stesso. Da ciò consegue inevitabilmente la nullità del procedimento ex art. 156, comma 2, c.p.c. e della sentenza emessa all’esito dello stesso come previsto dall’art. 159, comma 1, c.p.c. . La Cassazione, quindi, accoglie il ricorso proposto dal danneggiato e cassa con rinvio la sentenza di secondo grado.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, sentenza 15 luglio – 8 ottobre 2015, n. 20180 Presidente Finocchiaro – Relatore Vivaldi Fatto e diritto O.L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi avverso la sentenza del 30.4.2013 con la quale il tribunale di Roma - sezione distaccata di Ostia - in un giudizio di risarcimento danni da sinistro stradale dalla stessa proposto nei confronti di Generali Business Solutions scpa, in proprio e n.q. di rappresentante di Assicurazioni Generali spa, e di Z.M. ed E. -, aveva rigettato l'appello confermando la sentenza con la quale il giudice di pace aveva condannato in solido i convenuti al pagamento della somma di Euro 6.242,81 a titolo di risarcimento danni. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 190 e 352 c.p.c Il motivo è fondato. La Corte di legittimità, da ultimo, con sentenza 9.4.2015 n. 7086 si è pronunciata sul punto affermando il seguente principio di diritto La sentenza la cui deliberazione risulti anteriore alla scadenza dei termini ex art. 190 cod. proc. civ., nella specie quelli per il deposito delle memorie di replica, non è automaticamente affetta da nullità, occorrendo dimostrare la lesione concretamente subita in conseguenza della denunciata violazione processuale, indicando le argomentazioni difensive - contenute nello scritto non esaminato dal giudice - la cui omessa considerazione avrebbe avuto, ragionevolmente, probabilità di determinare una decisione diversa da quella effettivamente assunta . Il principio enunciato si pone in contrasto con il prevalente orientamento giurisprudenziale di questa Corte per il quale è nulla, per violazione del principio del contraddittorio, la sentenza emessa dal giudice prima della scadenza dei termini dal medesimo fissati ex art. 190 c.p.c., impedendo in tal modo al difensore della parte di svolgere nella sua pienezza il diritto di difesa. Il principio del contraddittorio, infatti, non è riferibile soltanto all'atto introduttivo del giudizio, ma deve realizzarsi nella sua piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo e, quindi, anche con riferimento ad ogni atto o provvedimento ordinatorio, in relazione al quale si ponga l'esigenza di assicurare la presenza in causa e la diretta difesa di tutti gli interessati alla lite. Viola quindi il detto principio, determinando la nullità della sentenza emessa, il giudice che decida la causa prima della scadenza dei termini dal medesimo fissati, ex art. 190 c.p.c., impedendo, in tal modo al difensore di una parte di svolgere nella sua completezza il proprio diritto di difesa e ciò senza che, ai fini della deduzione della nullità con il mezzo di impugnazione, la parte sia onerata di indicare se e quali argomenti non svolti nei precedenti atti difensivi avrebbe potuto svolgere se le fosse stato consentito il deposito della conclusionale. La norma di cui all'art. 190 c.p.c. descrive un modo di svolgimento della fase di decisione della causa, la cui mancata osservanza da luogo a nullità del procedimento art. 156 c.p.c., comma 2 e della sentenza art. 159, comma 1 , perché l'illustrazione delle conclusioni, che i difensori fanno nelle comparse, e le osservazioni che possono contrapporvi nelle repliche rappresentano un complemento dell'esercizio del diritto di difesa nel contraddittorio tra le parti fra le varie Cass. ord. 5.4.2011 n. 7760 Cass. 24.3.2010 n. 7072 Cass. 3.6.2008 n. 14657 Cass. 10.3.2003 n. 6293 . A tale orientamento questo Collegio presta convinta adesione per le ragioni che seguono. Il primo orientamento fa leva sul principio della lesività in concreto delle nullità. Tale principio trova la propria fonte di legittimazione nel principio costituzionale della ragionevole durata del processo e nella sua implicazione operativa dell'efficienza processuale invero, una nullità che non produce alcun danno in concreto quindi, siamo in presenza di una nullità tipica, ma non lesiva non accresce la giustizia del processo, ma ne mina la sua ragionevole durata. E tale orientamento trova ulteriore legittimazione nella giurisprudenza della Corte EDU il cui diritto vivente - formatosi attraverso reiterate conformi affermazioni - è nel senso che le violazioni del diritto di difesa non devono essere ipotetiche e virtuali, ma effettive e concrete. Ma l'indirizzo che qui si confuta - valido in linea di principio - soffre una vistosa eccezione nel caso di violazione di termini perentori fissati dalla legge. Qui la lesività è in re ipsa e non deve essere accertata in concreto e caso per caso per la semplice ragione che è il legislatore a fissare tale lesività. In altri termini, nel momento in cui il legislatore fissa un termine perentorio ha evidentemente giudicato che un termine inferiore lederebbe il diritto di difesa. Si tratta di una valutazione legale tipica che è implicita in ogni fissazione di termini perentori. Altrimenti la perentorietà del termine non avrebbe alcun senso giuridico. In conclusione, risponde alla logica del giusto processo e della sua ragionevole durata ancorare - in linea di principio - la nullità alla lesione in concreto del diritto di difesa con la conseguenza radicale che - in mancanza di lesività - viene a mancare l'interesse ad eccepire la nullità siamo in presenza, per così dire, di una nullità inerte, in quanto improduttiva di danno . Ma questo principio va derogato nel caso dei termini a difesa perché in questi casi il legislatore - con valutazione legale tipica ancorata ai principi di razionalità e normalità cioè il legislatore ritiene secondo l' id quod plerumque accidit che termini inferiori pregiudichino l'effettività della difesa - ha stabilire in astratto e una volta per tutte che la violazione del termine produce la lesione del diritto di difesa. In definitiva, nel caso dei termini a difesa, il giudizio sul danno alla difesa è fatto dal legislatore e non dal giudice. È quindi in re ipsa la violazione automaticamente comporta la lesione del diritto di difesa, lesione che non ha bisogno di essere provata dalla parte che la eccepisce. Conclusivamente, è accolto il primo motivo sono dichiarati assorbiti gli altri la sentenza è cassata in relazione, e la causa è rinviata al tribunale di Roma - sezione distaccata di Ostia in persona di diverso magistrato. Le spese sono rimesse al giudice del rinvio. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo dichiara assorbiti gli altri. Cassa in relazione e rinvia, anche per le spese, al tribunale di Roma - sezione distaccata di Ostia in persona di diverso magistrato.