Niente contratto scritto per il professionista che lavora per la PA: l’indennizzo esclude il lucro cessante

L’indennizzo per ingiustificato arricchimento dovuto al professionista che abbia svolto la propria attività in favore della pubblica amministrazione in difetto di un contratto scritto, non può essere determinato in base alla tariffa professionale che questi avrebbe potuto ottenere se avesse svolto la sua opera a favore d’un privato, né in base all’onorario che la p.a. avrebbe dovuto pagare, se la prestazione ricevuta avesse formato oggetto d’un contratto valido.

È quanto deciso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 19886/15, depositata il 6 ottobre. Il caso. La pronuncia in commento trae origine dalla controversia promossa da un professionista nei confronti di una s.p.a. gestrice di servizi idrici, della quale l’uomo chiedeva la condanna al pagamento del corrispettivo dovutogli per l’attività professionale svolta o, in subordine, dell’indennizzo per ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c Il tribunale rigettava entrambe le domande dell’attore, mentre la corte d’appello, confermato il rigetto della domanda di adempimento contrattuale, accoglieva la domanda di ingiustificato arricchimento, sul presupposto che utilizzando il progetto predisposto dal professionista la pubblica amministrazione avesse ammesso per facta concludentia l’utilità dell’opera. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la s.p.a., lamentando che la corte d’appello avrebbe errato nel liquidare l’indennizzo ex art. 2041 c.c. ponendo alla base del calcolo le tariffe professionali, dal momento che la giurisprudenza di legittimità ha tabilito che ai fini della determinazione di quanto dovuto dalla PA ai sensi del sopra citato articolo nel caso di acquisizione di prestazioni professionali nulle per difetto di forma scritta, non può farsi riferimento né al mancato guadagno del professionista, né alle tariffe professionali. Le Sezioni Unite hanno escluso dall’indennizzo il lucro cessante. Gli Ermellini ritengono fondata la doglianza avanzata dal ricorrente. I criteri con i quali deve essere calcolato l’indennizzo dovuto all’impoverito ai sensi dell’art. 2041 c.c., ricordano preliminarmente i Giudici di legittimità, per lunghi anni hanno dato adito a contrasti giurisprudenziali, per dirimere i quali sono intervenute le Sezioni Unite, affermando che l’interpretazione corretta è quella che esclude dal calcolo dell’indennità richiesta per la diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore di una prestazione in virtù di un contratto invalido, quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace . Da tale affermazione, la successiva evoluzione giurisprudenziale, proseguono da Piazza Cavour, ha tratto che l’impoverimento non può essere determinato sulla base della tariffa professionale applicabile alle prestazioni eseguite dall’impoverito in caso contrario, a quest’ultimo verrebbe accordato un indennizzo esattamente pari a quanto avrebbe avuto diritto di pretendere dalla PA stipulando con essa un contratto valido. Non va condivisa la giurisprudenza in senso contrario. I Giudici di Piazza Cavour, pur riconoscendo che, anche dopo l’intervento delle Sezioni Unite, sono intervenute alcune pronunce contrastanti con quanto sopra esposto, hanno chiarito che tali decisioni non meritano condivisione, dal momento che non motivano la propria opinione dissenziente, ed anzi, affermano apoditticamente il principio secondo cui l’indennizzo può essere liquidato in base alle tariffe professionali. Nel caso di specie, la corte territoriale ha determinato l’impoverimento del professionista in misura pari al compenso professionale che gli sarebbe spettato se, invece che lavorare per la ricorrente, avesse dedicato il suo tempo allo svolgimento di attività libero – professionali inoltre, la corte di merito ha determinato l’arricchimento della società ricorrente in base a quanto avrebbe dovuto pagare, ai sensi della tariffa professionale, per ottenere il lavoro eseguito dal professionista. Il principio di diritto enunciato dalla Corte. La Corte di Cassazione, pertanto, cassa la sentenza impugnata, con rinvio dalla corte di appello, che nel riesaminare la controversia dovrà attenersi al seguente principio di diritto l’indennizzo per ingiustificato arricchimento dovuto al professionista che abbia svolto la propria attività in favore della pubblica amministrazione, ma in difetto di un contratto scritto, non può essere determinato in base alla tariffa professionale che il professionista avrebbe potuto ottenere se avesse svolto la sua opera a favore d’un privato, né in base all’onorario che la p.a. avrebbe dovuto pagare, se la prestazione ricevuta avesse formato oggetto d’un contratto valido .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 4 giugno – 6 ottobre 2015, n. 19886 Presidente Russo – Relatore Rossetti Svolgimento del processo 1. Nel 1995 V.S. convenne dinanzi al Tribunale di Vallo della Lucania il Consorzio dei comuni per gli Acquedotti del Cilento poi Consac Gestioni Idriche s.p.a. d'ora innanzi, per brevità, la Consac , chiedendone la condanna al pagamento del corrispettivo dovuto per l'incarico di progettazione delle opere di captazione delle falde acquifere di omissis . In subordine, chiese la condanna dell'ente convenuto al pagamento dell'indennizzo per ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c 2. La Consac si costituì negando di avere stipulato un contratto con V.S. , ed in subordine negando che sussistessero i presupposti di cui all'art. 2041 c.c 3. Con sentenza 29.1.2007 n. 79 il Tribunale rigettò ambedue le domande proposte dall'attore. 4. La sentenza venne appellata da V.S. . La Corte d'appello di Salerno con sentenza 5.9.2011 n. 636 confermò il rigetto della domanda di adempimento contrattuale, sul presupposto che il contratto stipulato tra V.S. e la Consac fosse nullo per difetto di forma scritta. Accolse invece la domanda di ingiustificato arricchimento, ritenendo che la pubblica amministrazione, utilizzando il progetto predisposto da V.S. per richiedere un finanziamento, avesse per facta concludentia ammesso l'utilità dell'opera. 5. La sentenza d'appello è stata impugnata dalla Consac sulla base di due motivi, illustrati da memoria. Ha resistito con controricorso V.S. , anch'egli depositando memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Questioni preliminari. 1.1. V.S. ha eccepito l'inammissibilità del ricorso. Assume che nella copia a lui notificata dell'atto di impugnazione non sono indicate le generalità della persona che, in rappresentanza della Consac, avrebbe conferito la procura speciale all'avv. Tullio Mautone. 1.2. L'eccezione è manifestamente infondata. Nella procura speciale scritta in margine alla prima facciata del ricorso per cassazione è chiaramente indicato che la procura all'avv. Tullio Mautone è stata conferita da Luigi Rispoli, presidente del consiglio di amministrazione della Consac s.p.a La circostanza che la copia notificata del ricorso non rechi tale indicazione è irrilevante ai fini dell'ammissibilità del ricorso. Questa Corte, infatti, ha già più volte stabilito che ai fini dell'ammissibilità del ricorso per cassazione, qualora l'originale dell'atto rechi la firma del difensore munito di procura speciale e l'autenticazione, ad opera del medesimo, della sottoscrizione della parte che la procura ha conferito, la mancanza di tale firma e dell'autenticazione nella copia notificata non determinano l'invalidità del ricorso, purché la copia stessa contenga elementi, quali l'attestazione dell'ufficiale giudiziario che la notifica è stata eseguita ad istanza del difensore del ricorrente, idonei ad evidenziare la provenienza dell'atto dal difensore munito di mandato speciale Sez. 5, Sentenza n. 5932 del 11/03/2010, Rv. 612035 Sez. 1, Sentenza n. 13524 del 13/06/2014, Rv. 631377 . Tale attestazione nel nostro caso è debitamente presente a p. 19 dell'originale del ricorso. 2. Il primo motivo di ricorso. 2.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all'art. 360, n. 3, c.p.c Si assumono violati gli artt. 1398, 1399, 2042 cc. Espone, al riguardo, che l'azione di arricchimento proposta da V.S. era in realtà inammissibile, per mancanza del requisito della residuante l'attore infatti, poiché l'incarico gli era stato conferito del Presidente del consorzio, che a suo tempo aveva agito quale falsus procurator di quest'ultimo, poteva agire ex 1398 c.c. nei confronti del suddetto presidente. 2.2. Il motivo è inammissibile. La sussistenza d'una responsabilità colposa del falsus procurator , così come la circostanza che il Presidente del consorzio abbia agito quale falsus procurator nel conferire incarichi a V.S. , sono fatti del tutto nuovi, mai prospettati nei precedenti gradi di giudizio, come correttamente rilevato dal Procuratore Generale nella sua requisitoria nella pubblica udienza. Tale questione, inoltre, non è una mera prospettazione in ture, ma comporta indagini di fatto su circostanze non tempestivamente dedotte in giudizio sui poteri del presidente del consorzio , e quindi ormai da tempo precluse. 2.3. Vale la pena soggiungere che la Corte d'appello ha dichiarato il contratto stipulato tra Consac e V.S. nullo per difetto di forma, non inefficace per difetto di potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome della Consac. Un contratto nullo per difetto di forma resta sempre tale, sia se stipulato dalla persona legittimata, sia se stipulato da un vero rappresentante, sia se stipulato da un falso rappresentante con la conseguenza che chi stipula un contratto nullo per difetto di forma non ha certo azione di danno nei confronti del falsus procurator . 3. Il secondo motivo di ricorso. 3.1. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che a sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all'art. 360, n. 3, c.p.c Si assume violato l'art. 2041 c.c Espone, ai riguardo, che la Corte d'appello avrebbe errato nel liquidare l'indennizzo ex 2041 c.c., perché ha posto a base del calcolo le tariffe professionali. Tale statuizione sarebbe erronea, perché questa Corte ha già in passato stabilito che nella determinazione dovuto dalla pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 2041 c.c., nel caso di acquisizione di prestazioni professionali nulle per difetto di forma scritta, non può farsi riferimento né al mancato guadagno del professionista, né alle tariffe professionali. 3.2. Il motivo è fondato. La Corte d'appello ha correttamente affermato in iure il principio secondo cui la misura dell'indennizzo dovuto ex art. 2041 c.c. è pari alla minor somma tra l'arricchimento dell’ accipiens e l'impoverimento del solvens . Nel calcolare in concreto questa misura, tuttavia, la Corte d'appello ha a calcolato l'impoverimento di V.S. in misura pari al mancato incasso del corrispettivo dovutogli secondo la tariffa professionale vigente ratione temporis b calcolato l'arricchimento della Consac in misura pari al compenso che avrebbe dovuto pagare per ottenere da un libero professionista una prestazione professionale analoga a quella di V.S. , previa applicazione della massima decurtazione consentita dalla tariffa professionale ovvero il 20% . 3.3. I criteri con i quali debba essere calcolato l'indennizzo dovuto all'impoverito, ai sensi dell'art. 2041 c.c., per lunghi anni avevano dato adito a contrasti giurisprudenziali. Per dirimere tali contrasti sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte, le quali con la decisione Sez. U, Sentenza n. 23385 del 11/09/2008, Rv. 604467, hanno affermato che l'interpretazione corretta è quella che esclude dal calcolo dell'indennità richiesta per la diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore di una prestazione in virtù di un contratto invalido, quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace . La suddetta sentenza con argomenti storici, comparatistici ed esegetici, che questo collegio pienamente condivide, ha con ampia motivazione dimostrato per quali ragioni la opposta tesi sia insostenibile. Dall'affermazione secondo cui l'indennizzo dovuto all'impoverito, ai sensi dell'art. 2041 c.c., non possa comprendere il lucro che questi avrebbe realizzato se il contratto stipulato con la p.a. fosse stato valido ed efficace, la giurisprudenza successiva ha tratto il necessario corollario secondo cui l'impoverimento non può essere determinato sulla base della tariffa professionale applicabile alle prestazioni eseguite dall'impoverito. Applicare quella tariffa, infatti, significherebbe accordargli un indennizzo esattamente pari a quanto avrebbe avuto diritto di pretendere dalla p.a. nell'ipotesi di stipula con essa d'un contratto valido così si sono pronunciate Sez. U, Sentenza n. 1875 del 27/01/2009, Rv. 606124 nello stesso senso, Sez. 3, Sentenza n. 3905 del 18/02/2010, Rv. 611568 Sez. 3, Sentenza n. 23780 del 07/11/2014, Rv. 633449 . 3.4. Questo Collegio non ignora che, dopo l'intervento delle Sezioni Unite, alcune decisioni delle singole sezioni di questa Corte - invocate da V.S. alle pp. 10-11 del proprio controricorso - sono tornate ad affermare che la tariffa professionale possa essere utilizzata per la stima dell'indennizzo dovuto, ex art. 2041 c.c., a chi abbia lavorato per la pubblica amministrazione senza la previa stipula d'un contratto scritto. Tali decisioni, tuttavia non possono essere affatto condivise. Non può essere condivisa, in primo luogo, la decisione pronunciata da Sez. 1, Sentenza n. 19942 del 29/09/2011, Rv. 619548 sia perché si pone in contrasto inconsapevole con la pronuncia delle Sezioni Unite sopra ricordata Cass. sez. un. 23385/08 , senza spendere una parola per motivare la propria opinione dissenziente sia soprattutto perché l'affermazione del principio secondo cui l'indennizzo può essere liquidato in base alle tariffe professionali è compiuta in modo apodittico e non corredato da ragioni giustificatrici. Per le stesse ragioni non può essere condiviso il decisum di Sez. 3, Sentenza n. 26193 del 06/12/2011 non massimata anch'essa infatti ignora di fatto le indicazioni delle Sezioni Unite e non è sorretta da alcuna approfondita motivazione. Non costituisce, invece, una dissenting opinion rispetto alle decisioni delle Sezioni Unite sopra ricordate la sentenza pronunciata da Sez. 1, Sentenza n. 21227 del 14/10/2011, Rv. 619902, pur essa invocata dal controricorrente. Nel caso ivi deciso, infatti, il giudice di merito aveva negato la possibilità di liquidare l'indennizzo ex art. 2041 c.c. in base alla tariffa professionale, e la Corte di cassazione ritenne che tale ratio decidendi [fosse] da condividersi . Si tratta, dunque, d'una sentenza che ha affermato una regula iuris esattamente opposta a quella invocata dal controricorrente. Aggiungasi che le opinioni dissenzienti appena ricordate, oltre che isolate, non avrebbero potuto nemmeno essere pronunciate, ostandovi il divieto di cui all'art. 374, comma 3, c.p.c. secondo cui se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso . 3.5. Si applichino ora i principi stabiliti dalle Sezioni Unite di questa, Corte, e sopra riassunti, al caso di specie. Nella sentenza impugnata la Corte d'appello ha determinato l'impoverimento di V.S. in misura pari al compenso professionale che gli sarebbe spettato se, invece che lavorare per la Consac, avesse dedicato il suo tempo allo svolgimento di attività libero-professionale. Dall'altro lato, ha determinato l'arricchimento della Consac in base a quanto avrebbe dovuto pagare - in base alla tariffa professionale - ad un professionista come V.S. , per ottenere il lavoro da questi eseguito. È dunque evidente che la Corte d'appello ha determinato l'indennizzo per ingiustificato arricchimento in misura sostanzialmente corrispondente all'onorario previsto dalla tariffa professionale. Ed è solo un bizantinismo discettare se tali tariffe siano state applicate in via diretta o indirettamente, quale mero parametro di riferimento , come ha fatto il consulente d'ufficio nella sua relazione, recepita sul punto dalla Corte d'appello. 3.6. Il secondo motivo d'appello deve essere dunque accolto, e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d'appello di Salerno, la quale nel riesaminare il caso applicherà il seguente principio di diritto L'indennizzo per ingiustificato arricchimento dovuto al professionista che abbia svolto la propria attività a favore della pubblica amministrazione, ma in difetto di un contratto scritto, non può essere determinato in base alla tariffa professionale che il professionista avrebbe potuto ottenere se avesse svolto la sua opera a favore d'un privato, né in base all'onorario che la p.a. avrebbe dovuto pagare, se la prestazione ricevuta avesse formato oggetto d'un contratto valido. 4. Le spese. Le spese del giudizio di legittimità e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell'art. 385, comma 3, c.p.c P.Q.M. la Corte di cassazione, visto l'art. 380 c.p.c. - accoglie il secondo motivo di ricorso - accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di Salerno in diversa composizione - rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità e di quelle dei gradi di merito.