Doppiamente limitata la possibilità di contestare le determinazioni dell'arbitratore

Il Supremo Collegio, chiamato ad occuparsi di una controversia nascente dal recesso di un socio di una società a responsabilità limitata e dalla conseguente necessità di quantificare il valore della quota, ha fornito alcuni utili chiarimenti in relazione all’arbitraggio contrattuale e ai suoi limiti.

Ogni volta che un terzo è chiamato, a vario titolo, a decidere di una controversia, giuridica o economica, è molto probabile che una delle parti alcune volte anche entrambe siano insoddisfatte delle scelte del terzo e tentino di modificare quelle scelte attraverso i rimedi che l'ordinamento appresta loro. Ebbene la situazione appena descritta si verifica sia con riferimento ai terzi che decidono, a vario titolo e con varie modalità, le liti giuridiche come il giudice e l'arbitro, sia rituale che irrituale che con riferimento ai terzi chiamati a determinare un elemento mancante nel contratto. L'arbitraggio contrattuale. Questo terzo assume la denominazione di arbitratore ed è previsto dall'art. 1349 c.c. che stabilisce che se la determinazione della prestazione dedotta in contratto è deferita a un terzo e non risulta che le parti vollero rimettersi al suo mero arbitrio, il terzo deve procedere con equo apprezzamento . Ma i problemi sorgono proprio quando una delle parti ritiene che la determinazione del terzo non sia equa. Il primo limite la manifesta iniquità. Il rimedio esiste e consiste nell'impugnazione della determinazione davanti al giudice, ma soltanto quando quella determinazione sia manifestamente iniqua o erronea. Il recesso del socio e il valore della quota. Ed è proprio questo che è accaduto nel caso di specie dove, a seguito del recesso di un socio di una società a responsabilità limitata era sorta la necessità di quantificare il valore della quota. In prima battuta società e socio erano ricorsi al rimedio previsto dall'art. 2473, comma 3, c.c. in base il quale in caso di disaccordo la determinazione è compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale secondo lo schema, quindi, dell'arbitraggio. Avverso quella determinazione la società aveva proposto ricorso al tribunale che, in parziale accoglimento della domanda, aveva ridotto il valore della quota che poi era stata parzialmente riformata dalla corte di appello sempre su ricorso della società. Ma l'ulteriore riduzione della quota fa insorgere il socio receduto che decide di proporre ricorso per cassazione. Il secondo limite il controllo della motivazione. Senonché, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19677 del 1 ottobre 2015 dichiara inammissibile il ricorso proposto. Ed infatti, l'accertamento della equità della determinazione della prestazione dedotta in contratto ad opera del terzo [] è deferito al prudente apprezzamento del giudice di merito e, se sorretto da congrua e sufficiente motivazione, immune da vizi logici e giuridici, è insindacabile in sede di legittimità . Per la Cassazione una volta che la determinazione negoziale sostitutiva delle parti sia sopraggiunta ad opera del giudice il sindacato su di essa non ricalca quello verso il lodo arbitrale ma è limitato alla sola congruità e sufficienza della motivazione del giudice . Ecco allora che la resistenza della determinazione sostitutiva della volontà delle parti è doppiamente solida perché a la determinazione del terzo è impugnabile soltanto se manifestamente iniqua e b l'eventuale valutazione del giudice sull'iniquità e la sua determinazione del contenuto negoziale è insindacabile in sede di legittimità in quanto rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito. Peraltro, a seguito delle ultime modifiche al giudizio di cassazione, il controllo che la Corte di Cassazione esercita sulla motivazione della sentenza di merito è un sindacato ridotto al c.d. minimo costituzionale e, cioè, un controllo consentito soltanto quando sia del tutto mancante la motivazione della sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 14 luglio – 1 ottobre 2015, n. 19677 Presidente Ragonesi – Relatore Genovese Fatto e diritto Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 28 maggio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ Con sentenza in data 30 ottobre 2013, la Corte d'Appello di Bari ha parzialmente accolto l'impugnazione proposta dalla srl M.C. contro la sentenza dei Tribunale di Lucera che, a sua volta, aveva parzialmente accolto la domanda della società e quantificato, in una minor misura, la quota del socio, rispetto alla determinazione originaria, disposta con relazione giurata, ai sensi dell'art. 2743, III co., c.c., da un esperto nominato dal Tribunale, qualificata - senza alcuna disputa - come arbitraggio, e compensato le spese tra le parti. Avverso la sentenza della Corte d'Appello il M. ha proposto ricorso, con atto notificato il 27 giugno 2014, sulla base di tre motivi, con cui denuncia, sotto vari profili violazione e falsa applicazione dell'art. 11.3 c.p.c. 113, 116 c.p.c. e 1 DL n. 143 del 1991 112 c.p.c. l'ulteriore riduzione al valore della quota liquidata in riferimento all'eliminazione, dalla determinazione del valore di stima della propria quota, un suo presunto debito nei confronti della società. La srl M.C. non ha svolto difese in questa sede. Il ricorso appare inammissibile, alla luce del principio di diritto posto da questa Corte Sez. 2, Sentenza n. 1598 del 1963 , secondo cui l'accertamento della equità della determinazione della prestazione dedotta in contratto ad opera del terzo, cui è stata rimessa dalle parti contraenti, è deferito al prudente apprezzamento del giudice di merito e, se sorretto da congrua e sufficiente motivazione, immuni da vizi logici e giuridici, è insindacabile in sede di legittimità . Infatti, se è vero che Arbitrato rituale, arbitrato irrituale e arbitraggio si distinguono fra loro poiché si risolvono, rispettivamente, il primo in una pronunzia avente il contenuto sostanziale di un atto giurisdizionale il secondo in un atto sostitutivo della volontà delle parti ed il terzo nella determinazione, da parte dell'arbitratore, di qualche elemento del negozio giuridico non definito dalle parti di esso Sez. 1, Sentenza n. 3922 del 1968 , e che dal fondamento negoziale dell'arbitraggio consegue che, eseguito il mandato, i punti composti dall'arbitratore devono ritenersi disciplinati come se il regolamento per essi risultante promanasse direttamente dai soggetti del rapporto onde detto regolamento è impugnabile solo con i mezzi che la legge sostantiva appresta contro i negozi nulli od annullabili Sez. 1, Sentenza n. 2795 del 1966 , è, di conseguenza, vero che, avverso la determinazione sostitutiva di alcune determinazioni dell'arbitratore da parte dei giudici di merito come è stato nella specie , non è possibile far valere censure che attengano ai presunti vizi del giudizio sul dictum dell'arbitratore, com'è proprio dell'impugnazione del lodo arbitrale e com'è avvenuto nella specie, attraverso la prospettazione, nel ricorso, di doglianze di presunto travisamento della prova documentale, di pronuncia secondo diritto art. 113 , di valutazione delle prove art. 116 e di corrispondenza tra chiesto e pronunciato art. 112 . Infatti, se il terzo deve procedere con equo apprezzamento e se un tale esito è manifestamente iniquo o erroneo cosicché la determinazione sostitutiva, anche parziale, è fatta dal giudice art. 1349 c.c. sulla base di censure attinenti a vizi di quella determinazione negoziale sostitutiva dell'attività delle parti, una volta che questa sia sopraggiunta il sindacato su di essa non ricalca quello verso il lodo arbitrale ma è limitato alla sola congruità e sufficienza della motivazione del giudice di merito, che deve presentarsi immune da vizi logici e giuridici, ciò che non è prospettato né ipotizzato nel ricorso, dove si prospettano solo censure sul giudizio. . Letta la memoria di parte ricorrente e udite le difese orali all'udienza ordierna. Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra che le osservazioni critiche contenute nella memoria di parte ricorrente inducono il Collegio alla seguente ulteriore precisazione del principio di diritto che, secondo tale memoria, infatti, il ricorso avrebbe inteso evidenziare proprio i vizi inerenti alla coerenza logico-giuridica della motivazione, la sua congruità e sufficienza che, tuttavia, tali precisazioni, richiamate dal ricorrente nella memoria, incorrono nella conseguente causa di inammissibilità, con riferimento alle sentenze come quella oggetto del presente giudizio pubblicate oltre il termine di trenta giorni successivo all'entrata in vigore della legge n. 134 del 2012 che ha convertito il DL n. 83 del 2012 , per le quali è stato dettato un diverso tenore della previsione processuale al di là delle formulazioni recate dal ricorso sostanzialmente invocata ossia, l'art. 360 n. 5 c.p.c. la cui interpretazione è stata così chiarita dalle SU civili nella Sentenza n. 8053 del 2014 la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, cony. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione che, nel caso di specie, non si evidenzia alcuna ipotesi di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili mentre è esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione che neppure l'allegazione orale svolta all'odierna udienza procedimento di revocazione della sentenza incardinata presso gli uffici giudiziari di Bari ha pregio, risultando irrilevante tale domanda rispetto al giudizio odierno, del tutto estraneo ed indipendente, quanto ad errores prospettati che in conclusione, il ricorso deve essere respinto, così rettificandosi il principio di diritto sopra richiamato In tema di arbitraggio,l'accertamento della equità della determinazione della prestazione dedotta in contratto ad opera del terzo, cui é stata rimessa dalle parti contraenti, è deferito al prudente apprezzamento del giudice di merito che rimane sindacabile in sede di legittimità, secondo la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, cony. in legge 7 agosto 2012, n. 134, nella sua riduzione al minimo costituzionale del sindacato della Cassazione sulla motivazione, ossia solo per la mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico , per la motivazione apparente , e per il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oltre che per la motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile che le spese giudiziali seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -- Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi euro 7.100, di cui euro 100 per esborsi, oltre a spese generali forfettarie e ad accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma l-quater,del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012,dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bís dello stesso art. 13.