Decreto presidenziale di fissazione di udienza: il termine per la notificazione non è perentorio

Nelle controversie soggette al rito del lavoro, il termine di dieci giorni assegnato all’appellante per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione ai sensi dell’art. 435, comma 2, c.p.c., non è un termine perentorio e, pertanto, la sua inosservanza non comporta decadenza, purché resti garantito all’appellato uno lasso temporale per apprestare le proprie difese non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza di discussione della causa.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18473/15, depositata il 21 settembre. Il caso. Una s.p.a. ricorre per cassazione avverso la sentenza della corte di appello territoriale dichiarativa dell’improcedibilità dell’appello avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta dalla ricorrente nei confronti di due persone per il rilascio di porzioni immobiliari per occupazione sine titulo . La sentenza impugnata aveva dichiarato l’improcedibilità dell’appello per la considerazione che la copia del decreto presidenziale di fissazione di udienza era stata consegnata all’ufficio postale per la notificazione solo oltre il termine di dieci giorni di cui all’art. 435 c.p.c Il termine di cui all’art. 435, comma 2, c.p.c. non è perentorio. Condiviso dagli Ermellini il secondo motivo di ricorso svolto della società ricorrente. La Corte ha innanzitutto rilevato che il ricorso in appello era sì stato inoltrato per la notifica oltre il termine di cui all’art. 435, comma 2, c.p.c., ma, comunque, era stato notificato nel rispetto del termine di cui all’art. 435, comma 3, c.p.c Tale rilievo risulta di fondamentale importanza, a giudizio del Supremo Collegio, dal momento che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, nelle controversie soggette al rito del lavoro, il termine di dieci giorni assegnato all’appellante per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione ai sensi dell’art. 435, comma 2, c.p.c., non è un termine perentorio e, pertanto, la sua inosservanza non comporta decadenza, purché resti garantito all’appellato uno lasso temporale per apprestare le proprie difese non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza di discussione della causa. I commi 2 e 3 dell’art. 435 c.p.c. vanno letti contestualmente. Ed infatti, prosegue la Corte, l’art. 435, comma 2, c.p.c., l’appellante, nei dieci giorni successivi al deposito del decreto, provvede alla notifica del ricorso e del decreto dell’appellato deve essere letto ed interpretato in relazione al contenuto del successivo comma 3 tra la data di notificazione all’appellato e quella dell’udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque giorni dal complesso dei due commi della norma appare chiaro che il legislatore ha regolato normativamente le conseguenze dell’inosservanza del termine di cui al comma 2, prevedendo in via generalizzata il permanere degli effetti della compiuta notifica nell’ipotesi prevista dal comma 3, in tal modo superando la necessità di uno specifico provvedimento autorizzatorio o di proroga da parte del giudice prima della scadenza del termine stesso . Il quadro di riferimento così delineato, poi, non contrasta, secondo i Giudici di Piazza Cavour, con il principio affermato dalle Sezioni Unite del Supremo Collegio con la sentenza n. 20604/2008, richiamata dalla decisione impugnata esso, infatti, si riferisce alle sole ipotesi idonee a comportare un effettivo allungamento del processo potenzialmente attribuibili a negligenza della parte attrice, cioè alle ipotesi di inesistenza giuridica o di fatto della notificazione del ricorso e del decreto, che violano contestualmente il termine dilatorio di cui al comma 2 dell’art. 435 c.p.c. e il termine a tutela del diritto di difesa del resistente fissato dal successivo terzo comma dello stesso articolo. Ne deriva l’inapplicabilità del suesposto principio al caso in esame, in cui la notificazione del ricorso e del decreto dell’udienza in appello è avvenuta nel rispetto del termine dilatorio di cui al comma 3 del cit. art. 435 c.p.c Per tutte le ragioni sopra esposte, la Corte ha accolto il motivo di ricorso oggetto di esame, cassando la sentenza impugnata in relazione alla censura de qua .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 18 giugno – 21 settembre 2015, numero 18473 Presidente Segreto – Relatore Ambrosio Svolgimento del processo La C.A.N. s.p.a. ricorre per cassazione, svolgendo otto motivi, avverso la sentenza numero 2921 del 13 luglio 2011 della Corte di appello di Roma, sez. specializzata agraria, dichiarativa dell'improcedibilità dell'appello avverso la sentenza numero 19909/2007 del Tribunale di Roma, sez. specializzata agraria, di rigetto della domanda da essa ricorrente proposta nei confronti di G. B. e di A.M. B. di rilascio di porzioni immobiliari per occupazione sine titulo. Hanno resistito G. B. e A.M. B., depositando controricorso. Motivi della decisione 1. La sentenza impugnata ha dichiarato l'improcedibilità dell'appello per la considerazione che il decreto presidenziale di fissazione di udienza era stato comunicato via fax in data 16.12.2008 e che il ricorso e la copia del ridetto decreto rilasciata in data 29.12.2008 erano stati consegnati all'Ufficio postale per la notificazione solo in data 19.01.2009 e, quindi, oltre il termine di giorni dieci di cui al comma dell'art. 435 cod. proc. civ 1.1. Con i motivi di ricorso si denuncia a ai sensi dell'art. 360 nnumero 3 e 4. cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione degli articolo 136 e 176 cod. proc. civ. e dell'art. 24 Cost. b ai sensi dell'art. 360 numero 3 e 4 cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione degli articolo 153 e 154 cod. proc. civ., dell'art. 111 Cost. in riferimento alla declaratoria di improcedibilità dell'appello c ai sensi dell'art. 360 numero 3 e 4 cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione degli articolo 83 e 112 cod. proc. civ. d ai sensi dell'art. 360 numero 3 e 4 cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione degli articolo 36 e 112 cod. proc. civ., nonché dell'art. 46 L.numero 203/1982 e ai sensi dell'art. 360 numero 3 e 4 cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione degli articolo 112, 115, 116, 156 e seq. 61 e 191 e segg. cod. proc. civ. f ai sensi dell'art. 360 numero 3 e 4 cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione degli articolo 112, 115, 116, 156 e seg. 61 e 191 e segg., 214 e segg., 191 e segg. cod. proc. civ., articolo 1599, 2697 e 2702 cod. civ., art. 49 L.202/1982 g ai sensi dell'art. 360 numero 3 e 4 cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione degli articolo 2721 e segg. cod. civ. e 244 e segg. cod. proc. civ. h ai sensi dell'art. 360 numero 3 cod. proc, civ. violazione dell'art. 92 cod. proc. civ 2.1. E' fondato e assorbente rispetto ad ogni altra censura il secondo motivo di ricorso, perché da esso discende l'erroneità della regula iuris enunciata dalla Corte di appello in punto di improcedibilità dell'appello sulla base di un'errata interpretazione dei contenuti della sentenza S.U. numero 20604/2008. Va premesso che è incontroverso e, comunque, in ragione della natura processuale della censura, è riscontrabile in atti che il ricorso in appello, ancorché inoltrato per la notifica oltre il termine di cui al comma 2 dell'art. 435 cod. proc. civ., venne, comunque, notificato nel rispetto del termine di cui al comma 3 dell'art. 435 cod. proc. civ Ciò posto, si osserva, secondo principio ripetutamente affermato da questa Corte, che nelle controversie soggette al rito del lavoro come quelle in materia agraria , il termine di dieci giorni assegnato all'appellante per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza di discussione art. 435, comma 2, cod. proc. civ. non è perentorio e, pertanto, la sua inosservanza non comporta decadenza, sempre che resti garantito come nel caso all'esame all'appellato lo spatium deliberandi non inferiore a venticinque giorni prima dell'udienza di discussione della causa art. 435, comma 3, cod. proc. civ. , perché egli possa apprestare le proprie difese ex multis, cfr. Cass. ord. 14 luglio 2011, numero 15590 Cass. ord. 15 ottobre 2010, numero 21358 . Invero - come evidenziato in specie nell'ordinanza numero 21358/2010 - l'art. 435 cod. proc. cív., comma 2, alla stregua del quale l'appellante, nei dieci giorni successivi al deposito del decreto, provvede alla notifica del ricorso e del decreto all'appellato , deve essere letto ed interpretato in relazione al contenuto del successivo comma 3 dello stesso articolo, alla stregua del quale tra la data di notificazione all'appellato e quella dell'udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque giorni . Dal che si evince che lo stesso legislatore, nel porre il suddetto termine ordinatorio di cui al comma 2, ha disciplinato le conseguenze di una eventuale inosservanza di tale termine, prevedendo, in buona sostanza, al comma 3, che la notifica effettuata mantiene i suoi effetti, anche in caso di mancato rispetto del termine di cui al comma precedente, allorchè tra la data di notificazione e quella dell'udienza permanga un termine non inferiore a venticinque giorni. In sostanza appare chiaro, dal complesso dei due commi della disposizione all'esame, che il legislatore ha regolato normativamente le conseguenze della inosservanza del termine di cui al comma 2, prevedendo in via generalizzata il permanere degli effetti della compiuta notifica nell'ipotesi prevista dal comma 3, in tal modo superando - alla stregua delle stesse previsioni codicistiche - la necessità di uno specifico provvedimento autorizzatorio o di proroga da parte del giudice prima della scadenza del stesso termine. 2.2. Non contrasta con quanto sopra il principio affermato dalle SS.UU. con sentenza numero 20604 del 2008, richiamata nella decisione impugnata, posto che esso si riferisce alle sole ipotesi idonee a comportare un effettivo allungamento del processo, potenzialmente attribuibile a negligenza della parte attrice, di inesistenza, giuridica o di fatto, della notificazione del ricorso e del decreto e, cioè, ad ipotesi di contestuale violazione del termine dilatorio di cui al comma 2 dell'art. 435 cod. proc. civ. e del termine a tutela del diritto di difesa del resistente fissato dal successivo terzo comma dello stesso articolo ne deriva l'inapplicabilità di detto principio al caso in esame, in cui la notificazione del ricorso e del decreto dell'udienza in appello è avvenuta nel rispetto del termine dilatorio di cui al comma 3 del cit. art. 435 cod. proc. civ 2.3. La non riferibilità della sentenza delle SS.UU. del 2008 all'ipotesi di ritardo della notificazione nel rispetto tuttavia del termine posto a tutela di controparte dell'art. 435 cod. proc. civ., comma 3, si evince dalla circostanza che il richiamo operato nella predetta sentenza all'art. 111 Cost., comma 2, nel testo novellato dalla L. 23 novembre 1999, numero 2, ed alla regola della ragionevole durata del processo, non si attaglia in alcun modo a fattispecie come quella all'esame in cui pacificamente la notifica, ancorchè in ritardo rispetto al termine di gg. 10 di cui al comma 2 della norma, è avvenuta entro un termine tale, rispetto a quello dell'udienza di comparizione fissata dal presidente, da garantire all'altra parte il necessario spatium deliberandi. Peraltro la non pertinenza della decisione delle SS.UU., rispetto alla questione di diritto in esame, risulta confermata anche dalla Corte costituzionale ordinanza numero 60 del 2010 , che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 435 cod. proc. civ., prospettata sulla base della suddetta decisione, per evidente erroneità del presupposto interpretativo. 2.4. Merita aggiungere che, da ultimo, la Corte Costituzionale con ordinanza numero 253 del 2012 - nel dichiarare la manifesta infondatezza della q.l.c. dell'articolo 435 comma 2 cod. proc. civ. sollevata proprio dalla Corte di appello di Roma in riferimento all'art. 111 Cost. con riguardo all'interpretazione della norma, sopra esposta e assunta a diritto vivente - ha evidenziato che la norma, nella interpretazione censurata dal collegio rimettente, lungi dal violare la parità delle parti, è finalizzata, invece, a realizzarla sul piano del reciproco diritto di azione e di difesa. Con il risultato di tutelare, all'un tempo, l'interesse dell'appellante - impedendo che la sola violazione del termine ordinatorio in questione determini l'improcedibilità del gravame - e quello dell'appellato, cui resta comunque garantito un termine a comparire sufficiente ad apprestare le proprie difese. In conclusione il secondo motivo di ricorso va accolto, assorbiti gli altri ciò comporta la cassazione della sentenza impugnata in relazione e il rinvio alla Corte di appello di Roma, sez. specializzata agraria in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Roma, sez. specializzata agraria in diversa composizione.