Il giudice può fondare il proprio convincimento sulla consulenza tecnica di parte

Le risultanze di una consulenza tecnica di parte possono essere apprezzate dal giudice di merito ai sensi dell’art. 116 c.p.c Qualora il giudice di merito le abbia apprezzate e le abbia ritenute condivisibili ai fini della decisione, esse assumono il valore di argomenti con cui il giudice ha espresso direttamente il suo convincimento e, pertanto, il ricorrente che voglia censurare la pronuncia di merito sotto tale profilo è tenuto a sottoporle a critica secondo quanto dispone l’art. 360, n. 5, c.p.c. nella formulazione di cui al d.lgs. n. 40/2006 o prospettando una violazione dell’art. 116 c.p.c

È quanto stabilito dalla Corte con la sentenza n. 18303/15, depositata il 21 settembre. Il caso. Un uomo conveniva in giudizio il Ministero dell’Interno per ottenere il risarcimento dei danni sofferti durante il servizio in qualità di agente della Polizia di Stato, dal momento che aveva contratto, a suo dire a causa della presenza di un batterio nelle tubazioni della caserma presso cui prestava servizio, una gravissima infermità, per la quale gli era stata riconosciuta l’invalidità permanente assoluta al servizio di istituto con giudizio di invalidità totale. La causa veniva istruita con l’assunzione di prove testimoniali e l’espletamento di una ctu all’esito, il tribunale condannava il Ministero al risarcimento del danno. Appellata in via principale dal Ministero e in via incidentale dall’uomo la pronuncia di primo grado, la corte d’appello territoriale confermava quanto deciso dal tribunale. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il Ministero, contestando il nesso eziologico riconosciuto tra malattia contratta dall’uomo e derivazione di essa dall’acqua della caserma in cui lo stesso prestava servizio. Va censurato il cattivo esercizio del potere di prudente apprezzamento dei fatti del giudice. Censura non condivisa dagli Ermellini, che, anzi, hanno ritenuto inammissibile il motivo di ricorso. Ed infatti, i Giudici di Piazza Cavour hanno evidenziato che non solo il Ministero ricorrente ha omesso di individuare expressis verbis il fatto controverso rispetto al quale sollecita il controllo della motivazione, ma ha di fatto sollecitato la Corte a fornire un nuovo giudizio sulle risultanze istruttorie. La Corte di legittimità, inoltre, ha precisato che la pretesa del ricorrente di svalutare la ctp sulla quale la motivazione della sentenza impugnata ha fatto leva solo perché atto di parte deve considerarsi priva di fondamento, dal momento che la giurisprudenza del Supremo Collegio ha già avuto modo di affermare che le relazioni del consulente tecnico di parte eventualmente presentate a confutazione dell’accertamento tecnico di ufficio non costituiscono mezzi di prova, ma possono essere utilizzate dal giudice per ricavarne elementi di giudizio e per formare il proprio convincimento, qualora le ritenga fondate. La ratio è data dalla circostanza che quando il giudice di merito fa proprie le valutazioni del consulente tecnico di parte lo fa nell’esercizio del proprio potere di prudente apprezzamento dei fatti ne deriva che chi impugna la decisione con cui il giudice abbia valorizzato tali considerazioni non può limitarsi ad assumere che il giudice di merito non le poteva utilizzare per la loro provenienza, ma è tenuto a criticare la motivazione della decisione impugnata perché essa ha fatto eventualmente cattivo esercizio del potere di cui all’art. 116 c.p.c. oppure dei criteri logici corrispondenti alle massime di comune esperienza, avuto riguardo alle complessive risultanze probatorie. Il principio di diritto enunciato dalla Corte. Pertanto, a giudizio della Corte, viene in rilievo il seguente principio di diritto le risultanze di una consulenza tecnica di parte, in quanto consacrate in un documento introdotto nel processo e nel quale il ctp ha espresso le sue valutazioni tecniche e, dunque, ha fornito la rappresentazione di fatti tecnici, possono essere apprezzate dal giudice di merito ai sensi dell’art. 116 c.p.c ne segue che, qualora il giudice di merito le abbia apprezzate e le abbia ritenute condivisibili ai fini della decisione, esse assumono il valore di argomenti con cui il giudice ha espresso direttamente il suo convincimento e, pertanto, il ricorrente in Cassazione che avesse voluto criticare, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 nel testo di cui al d.lgs. n. 40 del 2006 ovvero prospettando una violazione dell’art. 116 c.p.c., la decisione assunta dal giudice sulla base dei detti argomenti non se ne poteva disinteressare, adducendo che, in quanto provenienti dal ctp, non avrebbero potuto essere utilizzare dal giudice, ma era tenuto a sottoporle a critica secondo quanto consentiva il paradigma normativo invocato . Per tali motivi, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso in esame.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 18 marzo – 18 settembre 2015, numero 18303 Presidente Petti – Relatore Frasca Svolgimento del processo § 1. A.M. nell'ottobre del 1991 conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Messina, il Ministero dell'Interno per ottenere il risarcimento dei danni sofferti durante il servizio in qualità di agente della Polizia di Stato presso il Distaccamento di Polizia Stradale di Termini Imerese, allorché aveva contratto, a suo dire a causa della presenza del batterio ameba a vita libera nelle tubazioni e nei serbatoi della caserma in cui prestava il servizio, una gravissima infermità, la meningomielite protozoaria da ameba del gruppo limax , per la quale la Commissione Medica Ospedaliera di Messina aveva riconosciuto la sua invalidità permanente assoluta al servizio di istituto con giudizio di invalidità totale. Nella costituzione dell'Amministrazione convenuta, che contestava la fondatezza della domanda, la causa veniva istruita con l'assunzione di prove testimoniali e l'espletamento di una c.t.u. All'esito, il Tribunale, con sentenza del gennaio 2001, riconosciuta la responsabilità del Ministero, lo condannava al risarcimento nella misura di allora L. 1.589.593.480. § 2. La sentenza veniva appellata in via principale dal Ministero e in via incidentale dall'A. e la Corte d'Appello di Messina, dopo l'espletamento di altra c.t.u. contabile, rigettava entrambi gli appelli con sentenza del 3 novembre 2011. § 3. Contro questa sentenza il Ministero dell'Interno ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. L'A. ha resistito con controricorso. Motivi della decisione § 1. Il controricorso è inammissibile, in quanto vi si dice che si agisce in forza di procura rilasciata in calce alla copia notificata del ricorso. Ora, è principio di diritto consolidato che Nel giudizio di legittimità, la procura rilasciata dal controricorrente in calce o a margine della copia notificata del ricorso, anziché in calce al controricorso medesimo, non è idonea per la valida proposizione di quest'ultimo, né per la formulazione di memorie, in quanto non dimostra l'avvenuto conferimento del mandato anteriormente o contemporaneamente alla notificazione dell'atto di resistenza, ma è idonea ai soli fini della costituzione in giudizio del controricorrente e della partecipazione del difensore alla discussione orale, non potendo a tali fini configurarsi incertezza circa l'anteriorità del conferimento del mandato stesso”. Cass. sez. unumero numero 13431 del 2014 . Ne segue che il difensore dell'intimato non avrebbe nemmeno potuto essere ammesso a discutere in udienza, dove, peraltro, egli non è comparso. § 2. Con il primo motivo si denuncia insufficiente e illogica motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360, numero 5 c.p.c. . Il motivo dichiara di assumere come oggetto di critica la motivazione della sentenza impugnata quanto al nesso eziologico tra malattia contratta dall'A. e derivazione di essa dall'acqua dei depositi e delle condotte idriche della caserma in cui il medesimo prestava servizio. Sostiene, quindi, nella premessa d'esordio che la motivazione de qua si mostrerebbe assolutamente deficitaria in punto motivazionale, laddove l'iter argomentativo seguito dai giudici si pone in netto contrasto con l'effettivo valore degli aspetti presi in considerazione, in base all'applicazione di elementari principi di logica induttiva, la cui semplice applicazione avrebbe dovuto condurre a risultati opposti a quelli raggiunti dalla sentenza medesima.”. § 2.1. Senonché, la successiva struttura argomentativa dell'illustrazione si articola come segue a si allude allo specifico motivo di appello avanzato sulla questione, assumendosi che in esso si era dedotto che il Tribunale di Messina si era appiattito sulla c.t.u di primo grado, eseguita dal dott. C. , il quale, per le scarse competenze in materia infettivologica ed epidemiologica non aveva condotto esami rivolti al raggiungimento di un proprio convincimento, ma si era basato sulle risultanze degli accertamenti del Prof. I. , travisandole senonché a1 dell'atto di appello, tuttavia, non si riproduce il tenore e nemmeno, se si volessero intendere i sommari riferimenti come riproduzione indiretta, si dice in quale parte dell'atto troverebbero corrispondenza a2 inoltre nemmeno si indica se e dove l'atto di appello sarebbe stato prodotto i questo giudizio di legittimità, al fine di poter esser esaminato, e neppure si dice che non lo si è prodotto - siccome imponeva l'art. 369, secondo comma, numero 4 c.p.c. - perché si è inteso fare riferimento alla sua presenza nel fascicolo d'ufficio del giudice d'appello, come ammette, esigendo, però, tale indicazione, Cass. sez. unumero numero 22726 del 2011 a3 ne segue la violazione dell'art. 366 numero 6 c.p.c. b di seguito, premettendo che lo si era detto in appello e lo si era ribadito con la prima e seconda conclusionale, si riproduce il contenuto della seconda conclusionale, dalla pagina 4 sino al quintultimo rigo della pagina 8 ed in essa si fa riferimento sia alla c.t.u. del dottor C. , sia a quella agli accertamenti, non meglio identificati, del prof. I. in disparte che in tal modo si impone a questa Corte l'integrale lettura di un atto di parte con abdicazione all'onere di riassumerne il contenuto ed argomentare sui suoi punti che dovrebbe contraddistinguere un motivo di ricorso per cassazione, sicché è come se - non riproducendolo - si fosse invitato la Corte a leggere l'atto, si rileva che sia riguardo alla c.t.u., sia riguardo agli accertamenti I. si omette l'indicazione specifica del se e dove l'uno e l'altro atto sarebbero stati prodotti e sarebbero esaminabili in questo giudizio di legittimità, con conseguente violazione dell'art. 366 numero 6 c.p.c. c si evocano, poi, sempre senza rispetto dell'art. 366 numero 6 c.p.c., i detti accertamenti I. , riportandone un rigo che sarebbe presente nella sua pagina 7 e quindi, si dice che la sentenza della Corte territoriale avrebbe confermato la decisione di primo grado, la quale si era basata sulle conclusioni della relazione C. , ma, immediatamente di seguito si dice che avrebbe rigettato il motivo di appello assumendo che la sentenza di prime cure si sarebbe fondata non solo sulla detta relazione, ma anche su altri elementi e, quindi, si riproduce dalle ultime quattro righe della pagina 9 sino al terzultimo rigo della pagina 12 un brano della motivazione della sentenza impugnata d di seguito si dichiara che la cattiva gestione del materiale probatorio da parte della Corte d'Appello in punto di deficienza logica nella inferenza del valore accertativo dei singoli elementi, va colto ponendosi oltre quella che può sembrare, al contrario, un'attenzione da parte del giudicante - in un giudizio in cui si appalesano decisive risultanze tecniche di alta specializzazione, affidabili alla competenza di ausiliari competenti del ramo -nel fornire ulteriori elementi che confermerebbero la bontà di quelle risultanze provenienti dalla consulenza tecnica d'ufficio e si dice, quindi, che infatti, nel caso che ci occupa, da una parte abbiamo una inequivocabilmente contraddittoria c.t.u. e, dall'altra, gli ulteriori elementi a conferma, enucleati dalla lett. a alla lett. d dell'estratto della sentenza su riportato e, di seguito, si prendono in considerazione singolarmente tali elementi - appunto tratti dalla parte di motivazione riportata - nei termini seguenti e1 quanto all'elemento che nella riportata motivazione risulta indicato sub lett. a accertata e non contestata presenza di numerose amebe dello stesso gruppo limax nell'acqua dei mal tenuti e vetusti serbatoi del Distaccamento Polstrada di termini Imerese dove l'attore era il solo militare accasermato si evocano nuovamente gli accertamenti I. , sempre con violazione dell'art. 366 numero 6 c.p.c., ed inoltre si deduce che a torto la Corte territoriale avrebbe affermato che non vi era stata contestazione, ma, in tal modo si prospetta un vizio di natura revocatoria, come tale estraneo all'ambito del vizio ai sensi del numero 5 dell'art. 360 c.p.c. nel testo applicabile al ricorso e2 a proposito dell'argomento della lettera b che nella motivazione è del tutto genericamente indicato conclusioni del ct. di parte , ma assumendosi che le avrebbe considerate il primo giudice , si dice genericamente che la Corte territoriale avrebbe basato il proprio convincimento su valutazioni contenute in un atto di parte, ma nulla si precisa sul contenuto di detto atto e3 a proposito dell'elemento indicato dalla motivazione della sentenza impugnata sub c si fa riferimento ad un abbaglio che avrebbe preso la Corte mamertina nel considerare un verbale della C.M.O. del 22 ottobre 1990 e di esso si riproduce la parte che lo evidenzierebbe, ma ci si astiene dall'indicare se e dove l'atto sia stato prodotto in questo giudizio di legittimità, con conseguente inosservanza dell'art. 366 numero 6 c.p.c. e4 a proposito dell'elemento sub d , in fine, si evocano nuovamente documenti, una perizia del 4 gennaio 1995 della Commissione medico-legale, il già citato parere ed altro parere del C.P.P.O. del 24 giugno 1991, ma ancora una volta - salvo quanto si dirà a proposito della perizia del 4 gennaio 1995 -senza indicare se e dove essi siano stati prodotti e siano esaminabili in questo giudizio di cassazione, di modo che è ancora violato l'art. 366 numero 6 c.p.c e5 sempre a proposito dell'elemento sub d la perizia-parere del 4 gennaio 1995 la si dice trascritta nel decreto del 27 giugno 1995, con cui venne attribuito all'A. l'equo indennizzo e, dalla pagina 16 alla 20 si riporta tale documento. f dopo la riproduzione del detto documento si assume ce i dubbi che erano stati palesati nel documento riprodotto no avrebbero potuto essere agilmente oltrepassati dalla sentenza di appello e si assume che invece la Corte di Messina avrebbe finito per intendere il riconoscimento dell'indennizzo quasi come un riconoscimento della pretesa risarcitoria ai sensi dell'art. 2043 c.c., mentre le motivazioni che nel procedimento amministrativo possono spingere gli organi tecnici dell'amministrazione ad esprimersi positivamente sulla causa di servizio sarebbero espressione di una natura tecnico-discrezionale. § 2.2. A questo punto, nella pagina 22, sull'asserto che la svolta attività illustrativa avrebbe fato venire meno gli elementi sui quali avrebbe fatto leva la Corte territoriale in aggiunta alla c.t.u. C. , si sostiene che solo su di essa poggerebbe il risarcimento riconosciuto all'A. e, quindi, in asserita osservanza del principio di autosufficienza si riproduce il testo di detta relazione dalla pagina 23 alla pagina 29. Di seguito si ribadisce l'incompetenza specifica del redattore e, quindi, si torna a prospettare che il c.t.u. si sarebbe avvalso della sola relazione I. , rivoltandone, però, completamente gli esiti e giungendo, senza alcuna propria originale osservazione motivatoria, a dar per sussistente quel nesso eziologico che lo I. aveva escluso”. Senonché, nessuna indicazione del se e dove la relazione I. sarebbe stata prodotta e sarebbe esaminabile in questa sede si fa e, pertanto, risulta ancora una volta inosservato l'art. 366 numero 6, il che non mette in grado questa Corte di verificare le allegazioni dell'argomentazione svolta che si chiude alla pagina 33 discettando proprio sulle pretese implicazioni di detta relazione e prospettando che semmai la Corte dello Stretto avrebbe dovuto far luogo a rinnovazione della c.t.u § 2.3. Il motivo - i passaggi della cui lunga illustrazione si sono riassunti -non solo, là dove non rispetta l'art. 366 numero 6 c.p.c. sulla cui esegesi si rinvia alle già remote Cass. ord. numero 22303 del 2008 e Cass. sez. unumero numero 20547, nonché alla successiva Cass. sez. unumero numero 7161 del 2010, oltre che a Cass. sez. unumero numero 22726 del 2011, già citate e ancora a Cass. numero 7455 del 2013, fra tante si presenta per ciò solo inammissibile e l'inammissibilità sussiste in via decisiva ed assorbente quanto al so fondarsi sulla relazione I. , ma, inoltre, per la sua oggettiva struttura, presenta ulteriori ragioni di palese inammissibilità e precisamente le seguenti aa omette di individuare espressis verbis , chiamandolo come tali, il fatto controverso o i fatti controversi riguardo ai quali sollecita il controllo della motivazione ed infatti nel suo esordio dice di volersi riferire ad una questione, quella del nesso causale e nel dipanarsi dell'esposizione nemmeno usa quella terminologia, il che disvela che in realtà esso non ha la struttura del motivo ai sensi del numero 5 dell'art. 360 nella versione introdotta dal d.lgs. numero 40 del 2006, ma si risolve nella postulazione di una nuova valutazione dei fatti, estranea alla logica del controllo della Corte di cassazione sulla motivazione secondo quel paradigma bb ripercorre tutta l'ampia motivazione della Corte territoriale sul punto del nesso causale in modo atomistico, così sollecitando questa Corte a fornire un nuovo giudizio sulle complessive risultanze istruttorie, del tutto al di fuori della logica del detto numero 5 dell'art. 360 c.p.c. cc lungi dall'evidenziare - sebbene senza consentire di riscontrarle per le rilevate inosservanze dell'art. 366 numero 6 c.p.c. - vizi della motivazione su fatti decisivi ed aventi carattere decisivo , si articola solo nella prospettazione di possibili spiegazioni alternative circa l'origine della malattia dell'A. . Con riferimento a quanto osservato sub cc si rileva che il paradigma dell'art. 360 numero 5 vigente prima del d.lgs. numero 40 del 2006, quello che correlava il vizio motivazionale ad un punto decisivo della controversia, era stato spiegato, quanto al significato della decisività, nei seguenti termini La nozione di punto decisivo della controversia, di cui al numero 5 dell'art. 360 cod. proc. civ., sotto un primo aspetto si correla al fatto sulla cui ricostruzione il vizio di motivazione avrebbe inciso ed implica che il vizio deve avere inciso sulla ricostruzione di un fatto che ha determinato il giudice all'individuazione della disciplina giuridica applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio di merito e, quindi, di un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo od estintivo del diritto. Sotto un secondo aspetto, la nozione di decisività concerne non il fatto sulla cui ricostruzione il vizio stesso ha inciso, bensì la stessa idoneità del vizio denunciato, ove riconosciuto, a determinarne una diversa ricostruzione e, dunque, asserisce al nesso di casualità fra il vizio della motivazione e la decisione, essendo, peraltro, necessario che il vizio, una volta riconosciuto esistente, sia tale che, se non fosse stato compiuto, si sarebbe avuta una ricostruzione del fatto diversa da quella accolta dal giudice del merito e non già la sola possibilità o probabilità di essa. Infatti, se il vizio di motivazione per omessa considerazione di punto decisivo fosse configurabile sol per il fatto che la circostanza di cui il giudice del merito ha omesso la considerazione, ove esaminata, avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione del fatto diversa da quella adottata dal giudice del merito, oppure se il vizio di motivazione per insufficienza o contraddittorietà fosse configurabile sol perché su uno specifico fatto appaia esistente una motivazione logicamente insufficiente o contraddittoria, senza che rilevi se la decisione possa reggersi, in base al suo residuo argomentare, il ricorso per cassazione ai sensi del numero 5 dell'art. 360 si risolverebbe nell'investire la Corte di Cassazione del controllo sic et sempliciter dell'iter logico della motivazione, del tutto svincolato dalla funzionalità rispetto ad un esito della ricostruzione del fatto idoneo a dare luogo ad una soluzione della controversia diversa da quella avutasi nella fase di merito.” così Cass. numero 22979 del 2004, seguita da numerose conformi . L'esegesi del riferimento al duplice significato del carattere decisivo del vizio motivazionale in ordine al fatto controverso, con riferimento al paradigma dell'art. 360 numero 5, una volta sostituito al punto il fatto controverso , era rimasta immutata, come aveva sottolineato Cass. ord. numero 16002 del 2007, sebbene essa ne avesse tratto conferma anche dall'introduzione della norma dell'art. 366-bis c.p.c., norma che è stata eliminata dalla l. numero 69 del 2009 e che era stata individuata come allusiva proprio al secondo dei caratteri della decisività. L'eliminazione della norma dell'art. 366-bis, peraltro, non esclude che comunque il concetto di decisività del paradigma evocativo del fatto controverso sia rimasto in ogni caso quello duplice di cui al principio di diritto sopra riportato. Ebbene, la prospettazione del motivo in esame, se esso non fosse inammissibile per le altre due ragioni indicate, impingerebbe in inammissibilità comunque perché sulle varie circostanza che passa in rassegna, ivi compresi gli elementi a-d della parte di motivazione trascritta come sugli altri, propone solo spiegazioni alternative di grado meramente possibilistico del loro modo di essere. § 2.4. Si deve, in fine aggiungere che là dove la motivazione della sentenza impugnata ha fatto leva sulla c.t.p. P. , la pretesa del ricorrente di svalutare tale atto solo perché di parte è priva di prego, atteso che già in epoca remota questa Corte ha avuto modo di affermare che Le eventuali relazioni del consulente tecnico di parte, presentate a confutazione dell'accertamento tecnico di ufficio, costituiscono, al pari delle perizie stragiudiziali, una semplice difesa tecnica che può essere presentata come atto difensivo autonomo oppure essere contenuta negli scritti difensivi della parte nell'uno e nell'altro caso esse non costituiscono mezzi di prova, ma possono essere utilizzate dal giudice per ricavarne elementi di giudizio ed anche per formare il proprio convincimento, qualora le ritenga fondate.” Cass. numero 724 del 1973 . La ragione giustificativa di tale utilizzo risiede nella circostanza che quando il giudice di merito fa proprie le valutazioni del ct. di parte lo fa nell'esercizio del suo potere di prudente apprezzamento dei fatti e nella specie dei fatti tecnici esposti nella c.t.p., che come veicolo che le contiene è un documento. Ne segue che, qualora il giudice di merito faccia proprie le considerazioni del c.t.p. di parte, chi impugna la decisione con cui il giudice abbia valorizzato tali considerazioni non se ne può disinteressare semplicemente assumendo che il giudice di merito non le poteva utilizzare per la loro provenienza, ma è tenuto a criticare la motivazione della decisione impugnata perché essa ha fatto eventualmente cattivo esercizio del potere di cui all'art. 116 c.p.c. oppure dei criteri logici corrispondenti alle massime di comune esperienza, avuto riguardo alle complessive risultanze probatorie. Il principio di diritto che viene in rilievo è il seguente le risultanze di una consulenza tecnica di parte, in quanto consacrate in un documento introdotto nel processo e nel quale il c.t.p. ha espresso le sue valutazioni tecniche e, dunque, ha fornito la rappresentazione di fatti tecnici, possono essere apprezzate dal giudice di merito ai sensi dell'art. 116 c.p.c Ne segue che, qualora il giudice di merito le abbia apprezzate e le abbia ritenute condivisibili ai fini della decisione, esse assumono il valore di argomenti con cui il giudice ha espresso direttamente il suo convincimento e, pertanto, il ricorrente in Cassazione che avesse voluto criticare, ai sensi del numero 5 dell'art. 360 nel testo di cui al d.lgs. numero 40 del 2006 ovvero prospettando una violazione dell'art. 116 c.p.c., la decisione assunta dal giudice sulla base dei detti argomenti non se ne poteva disinteressare, adducendo che, in quanto provenienti dal c.t.p., non avrebbero potuto essere utilizzate dal giudice, ma era tenuto a sottoporle a critica secondo quanto consentiva il paradigma normativo invocato. ”. § 2.5. Il primo motivo è, conclusivamente, dichiarato inammissibile per le plurime ragioni indicate. § 3. Con il secondo motivo si denuncia Error in iudicando . Violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. e dell'art. 345 c.p.c., ex art. 360 nnumero 3 e 4 c.p.c. . Il motivo si duole che la Corte territoriale abbia considerato come domande nuove in appello la deduzione con l'atto di appello, da parte del Ministero, delle seguenti circostanze a con d.m. numero 2700 del 27 giugno 1995 all'A. era stato concesso l'equo indennizzo di prima categoria per un importo di L. 52.087.500 b con d.m. 9 maggio 1997 gli era stata liquidata la somma di L. 25.000.000 a titolo di indennità una tantum per la menomazione dell'integrità fisica patita c con d.m. numero 7300 del 14 dicembre 1996 gli era stata conferita la pensione privilegiata di prima categoria d con d.m. 2 aprile 1993, a conclusione della procedura di transito nei ruoli dei altre amministrazioni dello Stato riservata agli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato che espletano funzioni di Polizia, i quali siano non più idonei allo svolgimento dei compiti di istituto, ex d.P.R. numero 3339 del 1982 , l'A. era stato inquadrato nei ruoli dell'Amministrazione civile dell'Interno, con la qualifica di coadiutore , corrispondente al quarto livello retributivo. Sulla base di tali circostanza il Ministero aveva sollecitato la detrazione delle somme riscosse per le causali dall'ammontare del danno ed all'uopo il giudice d'appello, nel corso dello svolgimento del giudizio di secondo grado, aveva disposto anche c.t.u. contabile. § 3.1. Il motivo è fondato. Va rilevato che il processo era soggetto, data l'epoca di introduzione in primo grado, che risale al 31 ottobre 1991, al regime dell'alt. 345 c.p.c. anteriore alla sostituzione operata dalla l. numero 353 del 1990 e successive modifiche, che consentiva la deduzione di nuove eccezioni in appello. Ora, la prospettazione del Ministero, là dove invocava la rilevanza ai fini della determinazione del danno risarcibile di una serie di provvidenze erogate all'A. si concretò - a differenza di quanto sostenuto dalla Corte territoriale — in una eccezione, dato che l'invocazione della cd. compensatio lucri cum damno - che sostanzialmente si doveva cogliere nella prospettazione del Ministero - non si sostanziava nella proposizione di una nuova domanda, bensì nella proposizione di un'eccezione, cioè di fatti idonei ad escludere ai fini della determinazione e liquidazione del danno risarcibile la rilevanza della parte del danno accertato corrispondente a quanto erogato all'A. . In proposito il Collegio osserva che la qualificazione della prospettazione della cd. compensatio lucri cum damno come eccezione ed anzi come eccezione c.d. in senso lato, rilevabile, quindi, d'ufficio da parte del giudice, è dato acquisito nella giurisprudenza di questa Corte. Da ultimo si veda Cass. numero 20111 del 2014, per l'espressa affermazione che L'eccezione di compensatio lucri cum damno è un'eccezione in senso lato, vale a dire non l'adduzione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto azionato, ma una mera difesa in ordine all'esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato, ed è, come tale, rilevabile d'ufficio dal giudice, il quale, per determinarne l'esatta misura del danno risarcibile, può fare riferimento, per il principio dell'acquisizione della prova, a tutte le risultanze del giudizio. Nella specie, la S.C., in applicazione del principio esposto, ha confermato la decisione con la quale il giudice di merito, pur in carenza di una valida eccezione, aveva determinato il danno per lesione da emotrasfusione detraendo quanto già riscosso dal danneggiato a titolo di indennizzo ex legge 25 febbraio 1992, numero 210 ”. Si veda ancora, ex multis , Cass. numero 992 del 2013 L'eccezione di compensatio lucri cum damno è finalizzata ad accertare se il danneggiato abbia conseguito un vantaggio in conseguenza dell'illecito, del quale tener conto ai fini della liquidazione del risarcimento, e non mira, invece, a verificare l'esistenza di contrapposti crediti. Ne consegue che la relativa deduzione non integra una eccezione in senso stretto e non è soggetta alle relative preclusioni.”. Dall'applicazione dei ricordati principi in punto di natura della prospettazione della compensatio consegue ex necesse la cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui si è rifiutata di esaminare la prospettazione da parte del Ministero delle ricordate circostanze in ordine alla provvidenze ottenute dall'A. ai fini di una rideterminazione del danno risarcibile. La cassazione parziale così necessaria va disposta con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Messina, comunque in diversa composizione. Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, stante l'inammissibilità del controricorso ed essendo mancata attività difensiva in udienza. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso. Accoglie il secondo motivo e cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia ad altra sezione della Corte d'Appello di Messina, comunque in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.