Pericoli al ritorno in patria? Sì, ma di carattere privato. Niente protezione

Lacunoso, innanzitutto, il racconto fatto da una cittadina straniera approdata in Italia. Peraltro, i danni gravi prospettati dalla donna, in caso di rimpatrio, sono legati non a problemi generali del Paese d’origine ma a circostanze di carattere meramente privato.

Racconto lacunoso e pieno di contraddizioni. E, comunque, caratterizzato dal richiamo a pericoli, una volta tornata in patria, legati a circostanze connesse alla vita privata. Così, la richiesta di protezione avanzata da una donna, appena approdata in Italia, viene ritenuta non accoglibile. Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza n. 18195/15 depositata oggi Protezione. ‘Altalena’ giudiziaria per la cittadina straniera, che, nell’ordine, si vede prima negati protezione internazionale e permesso di soggiorno dalla Commissione territoriale, poi riconosciuta la protezione sussidiaria in tribunale, e, infine, negata ogni possibile tutela in corte d’appello. Legittime, per i giudici di secondo grado, le obiezioni mosse dal Ministero dell’Interno, anche tenendo presenti, peraltro, genericità e contraddizioni nelle dichiarazioni rese dalla donna. Contraddizioni. E le valutazioni compiute in appello vengono ritenute corrette, e condivise, ora dai giudici della Cassazione. Questi ultimi ribadiscono il ‘peso specifico’ delle lacune probatorie del racconto della richiedente asilo , lacune che consentono di ritenere non veritiere e non attendibili le parole della cittadina straniera. Peraltro, non si può trascurare il fatto che il racconto della donna non contiene alcun riferimento alla minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante da una situazione di violenza indiscriminata nel Paese d’origine determinata da situazioni di conflitto armato interno o internazionale , mentre il danno grave prospettato , in caso di ritorno in patria, parrebbe scaturire semplicemente da circostanze attinenti alla sfera privata . Infine, sempre le dichiarazioni contrastanti e inattendibili rese dalla donna non consentono di ricostruire durata e modalità del periodo di permanenza nel territorio libico , quindi, sanciscono i giudici, è da escludere il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari . A fronte di questo quadro è consequenziale la conferma della decisione emessa in appello nessuna possibilità di protezione per la donna straniera.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 16 giugno – 16 settembre 2015, n. 18195 Presidente Di Palma – Relatore Bernabai Ritenuto in fatto - che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione, in applicazione dell'articolo 380-bis cod. proc. civile Con decisione del 18/04/2013 la Commissione Territoriale di Torino - sezione distaccata di Bologna negava il riconoscimento della protezione internazionale ai sensi dell'articolo 2 e seguenti del d.lgs. 251/2007 nonché il rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell'ari. 5 del d.lgs. 286/1998. Contro il provvedimento l'odierna ricorrente presentava ricorso davanti al competente Tribunale civile di Bologna che in data 2 dicembre 2013 pronunciava ordinanza con la quale riconosceva la protezione sussidiaria di cui agli artt. 2 e 14 del d.lgs. 251/2007. Il Ministero dell'Interno proponeva impugnazione dinanzi la Corte d'Appello di Bologna, chiedendone la riforma. La signora J. si costituiva chiedendo il rigetto del gravame proposto e la conferma del provvedimento impugnato e, proponendo appello incidentale, la riforma parziale dell'ordinanza ed il riconoscimento della protezione umanitaria di cui all'ari. 5, comma 6, d.lgs. 286/1998. La Corte d'Appello di Bologna con sentenza 13 giugno 2014 accoglieva l'appello proposto dal Ministero dell'Interno. Avverso la decisione la J. proponeva ricorso per Cassazione, articolato in tre motivi. Resisteva il Ministero dell'interno con controricorso. Così riassunti i fatti di causa, il ricorso sembra, prima facie, infondato. Il primo dei tre motivi, con il quale la ricorrente denuncia la violazione dell'ari. 360 n. 5 c. p. c. e del principio dell'onere della prova attenuato in relazione all'accertamento dei requisiti per il riconoscimento della protezione internazionale di cui all'articolo 3, comma 5, d.lgs. 251/2007, è infondato. La giurisprudenza di questa Corte è concorde nel ritenere che le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell'onere della prova, potendo essere superate della valutazione che il giudice di merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate alle lettere a ed e della norma da ultimo citata Cass. Civ. Sez. 6-1 n. 15782 del 10/07/2014, Cass. Civ. S. U. n. 27310 del 17/11/2008 . Nel caso di specie tale valutazione, che è di merito e non può essere oggetto di riesame in sede di legittimità, è stata compiuta dai giudici secondo grado. Secondo questi ultimi le genericità e le contraddizioni emergenti dal verbale non consentono di ritenere veritiere ed attendibili le dichiarazioni rese, non suffragate da prove. Il secondo motivo, con il quale la ricorrente denuncia la violazione dell'articolo 360 n. 3 c. p. c. e dell'articolo 14, lettera c , d.lgs. 251/2007, appare infondato. Nel motivare sul punto la Corte d'Appello ha rilevato che il racconto della ricorrente, così come risulta dai verbali, non contiene alcun riferimento alla minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante da una situazione di violenza indiscriminata nel paese d'origine determinata da situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Il danno grave prospettato dalla donna in caso di rimpatrio scaturirebbe piuttosto da circostanze attinenti alla sfera privata, dalle quali peraltro deriverebbe l'applicazione dell'ari. 10, comma 2, lettera b , d.lgs. 251/2007. Anche il terzo motivo è infondato. Con esso la ricorrente censura la violazione dell'articolo 360 n. 3 c. p. c. e dell'ad. 5, comma 6, d. lgs. 286/1998. Secondo la Corte d'Appello le dichiarazioni contrastanti ed inattendibili rese dalla J. non consentono di ricostruire durata e modalità del periodo di permanenza nel territorio libico e dunque è da escludere il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui all'ad. 5, comma 6, d.lgs. 286/1998. Tale valutazione, di merito, non appare viziata da illogicità e non può essere oggetto di riesame in questa sede. - che la relazione è notificata ai difensori delle parti - che ha presentato memoria l'avv. M.M. per la ricorrente F.J. Considerato in diritto - che il collegio, discussi gli atti delle parti, ha condiviso la soluzione prospettata nella relazione e gli argomenti che l'accompagnano - che il ricorso dev'essere dunque rigettato, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni svolte. P.Q.M. - Rigetta il ricorso e compensa le spese. - Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato p a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.