Esdebitazione: non c’è nessun automatismo ma discrezionalità del giudice

E’ di competenza del giudice valutare la significatività dei versamenti effettuati in materia di esdebitazione prevista dalla legge fallimentare non c’è infatti alcun automatismo nella concessione dei benefici e la valutazione dell’autorità giudiziaria è necessaria e ineludibile ed è, in ogni caso, indispensabile un pagamento almeno significativo dei creditori.

La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 17386, del 1 settembre 2015, in materia di esdebitazione, ha affermato che ci deve essere sempre una valutazione discrezionale del giudice se questo si convince che i pagamenti effettuati, dopo la chiusura del fallimento, non siano stati sufficienti a soddisfare i creditori, rispetto a quanto complessivamente dovuto. Il caso. Nel gennaio del 2010 la Corte d’appello ha rigettato la richiesta di esdebitazione presentata da una persona fisica, ex imprenditore, dopo la chiusura per definitiva ripartizione dell’attivo del suo fallimento. I giudici del merito hanno ritenuto che, benché sussistano i requisiti soggettivi dell’esdebitazione, la domanda del contribuente non poteva essere accolta per la esigua percentuale dei creditori soddisfatti, risultando il totale dei pagamenti effettuati complessivamente pari a € 56.878,00 a fronte di un totale dei crediti ammessi al passivo di € 3.884.494,92, vantati per lo più dal ceto chirografario e rimasti insoddisfatti. Il contribuente ha proposto reclamo in Cassazione. L’esdebitazione cenni. L’istituto dell’esdebitazione è contenuto nel r.d. numero 267/42, cd. Legge Fallimentare, al capo IX, dall’art. 142 al 145. L’esdebitazione è un beneficio previsto dalla Legge fallimentare che consente all’imprenditore fallito, che sia persona fisica, di liberarsi dai debiti che residuano nei confronti dei creditori non soddisfatti dopo la chiusura del fallimento. Possono beneficiare dell’esdebitazione gli imprenditori individuali, ma anche i soci illimitatamente responsabili di una società dichiarata fallita nel caso di società di persone snc, sas, società semplice . Il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti a condizione che 1 abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all'accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni 2 non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura 3 non abbia violato le disposizioni di cui all'art. 48, l. fall. Corrispondenza diretta al fallito 4 non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta 5 non abbia distratto l'attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito 6 non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l'esercizio dell'attività d'impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione. Se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati, il tribunale sospende il procedimento fino all'esito di quello penale. L'esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali. Restano esclusi dall'esdebitazione a gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’esercizio dell’impresa b i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale nonché le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti. Sono salvi i diritti vantati dai creditori nei confronti di coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso. Il tribunale, con il decreto di chiusura del fallimento o su ricorso del debitore presentato entro l'anno successivo, verificate le condizioni di cui all'art. 142 e tenuto altresì conto dei comportamenti collaborativi del medesimo, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dichiara inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente. Il ricorso e il decreto del tribunale sono comunicati dal curatore ai creditori a mezzo posta elettronica certificata. Contro il decreto che provvede sul ricorso, il debitore, i creditori non integralmente soddisfatti, il pubblico ministero e qualunque interessato possono proporre reclamo a norma dell'art. 26 Reclamo contro i decreti del giudice delegato e del tribunale La sentenza della Cassazione. I giudici di legittimità evidenziano , preliminarmente, che l’art. 142, l.fall. prevede al comma 2, che l’esdebitazione non può essere concessa qualora non sia stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali . Il riferimento alla soddisfazione, almeno parziale, dei creditori concorsuali attribuisce evidentemente al giudice un ambito di valutazione discrezionale quanto alla portata effettivamente satisfattiva, almeno parziale, delle ripartizioni.E, infatti, la parzialità, affermano i giudici di legittimità, può essere riferita non solo al numero dei creditori soddisfatti, sul totale di quelli ammessi, ma anche alla percentuale di pagamento dei singoli crediti, con la conseguenza che si sconta una inevitabile valutazione appunto discrezionale sull’ idoneità della percentuale ottenuta dai creditori. Con un precedente orientamento la Cassazione ha riconosciuto sufficiente che, con i riparti almeno per una parte dei debiti esistenti, oggettivamente intesi, sia consentito al giudice del merito, secondo il suo prudente apprezzamento, una valutazione comparativa di tale consistenza rispetto a quanto complessivamente dovuta . La conclusione. Per la Corte di Cassazione è legittima, nel caso di specie, la decisione dei giudici del merito secondo i quali i pagamenti effettuati non garantiscono un adeguato bilanciamento tra le ragioni del fallito e quelle del ceto creditorio. I giudici di legittimità, pertanto, rigettano il ricorso e condannano il contribuente al rimborso delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 maggio – 1 settembre 2015, n. 17386 Presidente Ceccherini Relatore Nappi Svolgimento del processo Con il decreto impugnato la Corte d'appello di Roma ha confermato il rigetto della richiesta di esdebitazione presentata il 28 gennaio 2010 da P. D.B. dopo la chiusura per definitiva ripartizione dell'attivo del suo fallimento in data 6 giugno 2009. Hanno ritenuto i giudici del merito che, benché sussistano i requisiti soggettivi dell'esdebitazione, la domanda di P. D.B. non possa essere accolta, -per la oltremodo esigua percentuale dei crediti soddisfatti , risultando il totale dei pagamenti effettuati complessivamente pari €. 56.878,00, a fronte di un totale dei crediti ammessi al passivo di €. 3.884.494,92 , vantati per lo più dal ceto chirografario e rimasti totalmente insoddisfatti . Sicché non si può ritenere verificato un adeguato bilanciamento di interessi tra le ragioni del reclamante e quelle del ceto creditorio . Contro il decreto ha proposto ricorso per cassazione P. D.B. sulla base di tre motivi d'impugnazione, illustrati anche da memoria, cui resiste con controricorso l'U. C. M. B. s.p.a. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione ed erronea applicazione dell'art. 142 legge fall., lamentando che i giudici del merito abbiano negato l'esdebitazione sulla base di valutazioni estranee al dettato normativo dell'art. 142 legge fall., destinato in realtà a favorire il fallito onesto ma sfortunato, indipendentemente da qualsiasi accertamento sull'entità dei pagamenti ottenuti dai creditori concorsuali. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 12 delle preleggi nella interpretazione dell'art. 142 legge fall. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 1, comma 6, n. 13 legge n. 80 del 2005, in relazione all'art. 12 delle preleggi, lamentando che l'interpretazione dell'art. 142 legge fall. proposta dai giudici del merito sia in contrasto con gli specifici criteri della legge delega per la riforma della disciplina del fallimento, cui era rimasta estranea qualsiasi esigenza di bilanciamento tra le ragioni del fallito e le ragioni del ceto creditorio. 2. Il ricorso è infondato. L'art. 142 legge fall. prevede al secondo comma che l'esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali . Il riferimento alla soddisfazione , almeno parziale, dei creditori concorsuali attribuisce evidentemente al giudice un ambito di valutazione discrezionale quanto alla portata effettivamente satisfattiva, almeno parziale, delle ripartizioni. E infatti la parzialità può essere riferita non solo al numero dei creditori soddisfatti, sul totale di quelli ammessi, ma anche alla percentuale di pagamento dei singoli crediti con la conseguenza che si sconta una inevitabile valutazione appunto discrezionale sulla idoneità della percentuale ottenuta dai creditori. Sicché, chiamate a chiarire il significato di questa norma, le Sezioni unite hanno riconosciuto sufficiente che, con i riparti almeno per una parte dei debiti esistenti, oggettivamente intesi, sia consentita al giudice del merito, secondo il suo prudente apprezzamento, una valutazione comparativa di tale consistenza rispetto a quanto complessivamente dovuto Cass., sez. un., 18 novembre 2011, n. 24214, m.619470 Non v'è dunque nell'interpretazione recepita dai giudici del merito alcuna violazione dei criteri dettati dall'art. 12 preleggi. Quanto ai criteri della legge delega, essi indicano le condizioni minime per la disciplina della esdebitazione, non precludendo al legislatore di porre condizioni ulteriori nell'esercizio della delega per la disciplina del procedimento e dei presupposti del beneficio. Sicché non è ipotizzabile né un eccesso di delega, peraltro neppure dedotto dal ricorrente, né una preclusione al riconoscimento di poteri discrezionali del giudice ai fini dell'ammissione. Si deve pertanto concludere con il rigetto del ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi €. 7.200, di cui €. 7.000 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.