Il notaio ha l’obbligo di attestare personalmente l’esistenza di beni da inventariare: in caso di violazione è passibile di sanzione

Nella redazione dell’inventario, tra i compiti del notaio, rientra anche la diretta attestazione circa l’esistenza o no di ulteriori beni mobili da inventariare, risultando, in caso di mera riproduzione della dichiarazione in tal senso ricevuta dall’erede, pregiudicata l’elevata affidabilità che l’ordinamento pretende sul contenuto degli atti direttamente ricevuti dal pubblico ufficiale. L’inadempimento a tale specifico dovere può comportare l’applicazione al notaio di una sanzione disciplinare.

E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 17266 del 28 agosto 2015. Il caso. Una donna, reputando incongrua la richiesta di pagamento di compenso rivoltale da un notaio, presentava un esposto al Consiglio Notarile. Esaminati gli atti, il Consiglio rilevava che era stato redatto un atto di inventario nel quale mancava l’indicazione dell’ora di inizio delle operazioni e difettava un’attestazione diretta, da parte del notaio rogante, sulla presenza di beni mobili nell’appartamento ove si svolgevano le operazioni, essendosi limitato il notaio a recepire una dichiarazione della cliente sull’assenza di ulteriori beni mobili da inventariare. A seguito di uno scambio di missive tra il notaio e il Consiglio, veniva avviato un procedimento disciplinare, che si concludeva con l’applicazione della sanzione della censura. Presentato reclamo avverso la decisione, la Corte d’appello adita confermava la sanzione, reputando integrato l’illecito di cui all’art. 147, comma 1, lett. a , legge notarile poiché la condotta dell’incolpato era idonea a ledere la dignità e la reputazione del notaio, ovvero i beni giuridici tutelati dalla norma richiamata. Il notaio si rivolge, quindi, alla Corte di Cassazione. L’obbligo di attestare personalmente la presenza di beni. Osserva, innanzitutto, il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto a suo carico l’obbligo di indicare personalmente e direttamente i beni presenti nell’appartamento, laddove tale obbligo non potrebbe in alcun modo evincersi dagli artt. 775 c.p.c. e 192 disp. att. c.p.c Ebbene, nel respingere la censura mossa dal professionista, la Suprema Corte afferma che la natura pubblica dell’ufficio ricoperto dal notaio e la pubblica fede attribuita dalla legge agli atti dal medesimo rogati non consentono di ritenere irrilevanti le omissioni oggetto dei rilievi disciplinari. In particolare, a sostegno della sussistenza dell’obbligo, in capo al notaio, di attestare personalmente la presenza o meno di ulteriori beni da inventariare, soccorre un argomento di ordine letterale, costituito dall’art. 775 c.p.c., che individua analiticamente il contenuto dell’inventario. Ulteriore conferma è rintracciabile nell’art. 192 disp. att. c.p.c., che prevede, quale fase conclusiva della procedura, l’interpello agli eredi presenti sull’esistenza di altri beni da ricomprendere nell’inventario. Invero, tale interpello non può logicamente essere svolto, da parte di chi proceda alla redazione dell’inventario, se non dopo una personale ricognizione sui beni da inventariare. Dal punto di vista sistematico, poi, considerato che una delle principali finalità dell’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario è quella di tutelare i creditori del de cuius dai pregiudizi che potrebbero derivargli dalla confusione tra il patrimonio dell’erede e quello del defunto debitore, una qualsiasi omissione parziale potrebbe ledere i loro diritti. Invero, la ragione della previsione della redazione del verbale di inventario per mezzo di un pubblico ufficiale non risiede nella necessità di garantire il mero dato quantitativo della completezza delle attestazioni dell’erede, quanto piuttosto nella necessità di garantire un fattore qualitativo, derivante dall’elevato grado di perizia che ragionevolmente deve attendersi dallo svolgimento dell’attività da parte di un pubblico ufficiale. Utilizzo di clausole generali nella descrizione dell’illecito disciplinare. Sotto altro profilo, il ricorrente deduce che la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto integrato l’illecito di cui all’art. 147, comma 1, lett. a , legge notarile dal momento che non si era verificato uno degli elementi essenziali di tale illecito, ovvero l’evento dannoso. In particolare, secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe applicato la disposizione come se ivi fosse previsto un illecito di pericolo astratto e, inoltre, avrebbe violato il principio di tipicità dell’illecito, avendo riconosciuto la responsabilità del notaio in assenza di una specifica norma incriminatrice che sancisca la rilevanza disciplinare di una omissione come quella contestatagli. Nel respingere anche tale motivo di censura, gli Ermellini osservano innanzitutto che la disposizione richiamata prevede una fattispecie disciplinare a condotta libera, all’interno della quale è punibile ogni comportamento, posto in essere sia nella vita pubblica che nella vita privata, idoneo a compromettere l’interesse tutelato, dovendosi escludere che il verificarsi di un’eco negativa nella comunità integri un elemento costitutivo di tale illecito e che, tanto meno, occorra la prova della sua esistenza. Tale norma descrive fattispecie d’illecito disciplinare, non mediante un catalogo di ipotesi tipiche, ma mediante clausole generali o concetti giuridici indeterminati, sicché il relativo perimetro non è esaurito dalle fattispecie tipiche lesive che possano rinvenirsi nel codice deontologico professionale. La categoria normativa impiegata finisce, quindi, con l’attribuire agli organi disciplinari notarili un compito di individuazione delle condotte sanzionabili, nel quale non può ammettersi una sostituzione da parte del giudice di legittimità, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza. Lo scrutinio di ragionevolezza riservato alla Cassazione. Sulla scorta di tali principi, i Giudici di legittimità ritengono che la Corte d’appello abbia motivato in maniera esaustiva circa la ricorrenza, nel caso di specie, degli elementi necessari per ritenere integrato l’illecito di cui all’art. 147, lett. a , della legge notarile, pervenendo alla conclusione che le mancanze del notaio incolpato fossero tali da determinare un pregiudizio per il decoro, la dignità e la reputazione tanto del singolo notaio, quanto della classe notarile. Ciò in quanto, alla luce della peculiarità della funzione affidata dall’art. 769 c.p.c. proprio ad un notaio, quale garanzia di corretto svolgimento dei suoi compiti di pubblico ufficiale, la palese superficialità dell’atto, gli errori nello stesso contenuti e il mancato corretto adempimento del suo compito, risultava evidente che i fatti contestati fossero suscettibili di produrre nell’Autorità Giudiziaria e nei potenziali interessati all’atto creditori del de cuius una negativa valutazione della professionalità del notaio e del suo modus operandi. Invero, ciò che è stato oggetto di contestazione disciplinare, prima, e di applicazione di una sanzione disciplinare, poi, è l’inadempimento del notaio ad uno specifico dovere, che discende dalla legge prima ancora che dalle norme deontologiche, che è quello di redigere gli atti in maniera precisa e in modo che siano idonei ad assolvere la funzione per la quale è previsto che l’atto sia redatto proprio da un notaio o da altro pubblico ufficiale .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 24 marzo – 28 agosto 2015, n. 17266 Presidente Oddo – Relatore Petitti