Il superamento del termine di ragionevole durata del processo non comporta obbligatoriamente il riconoscimento all'equa riparazione

Il diritto all'equo indennizzo per superamento del termine di ragionevole durata del processo non deve essere riconosciuto automaticamente ogniqualvolta il processo sia durato oltre termini prefissati aritmicamente o statisticamente, ma soltanto tenuto conto, caso per caso, di tutti gli elementi della fase giudiziale come ad esempio il risultato ottenuto rispetto alla domanda proposta .

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16313/2015, depositata il 3 agosto 2015. Il caso. A seguito di un procedimento della durata quantificata in 3 anni e 8 mesi, il sig. T. si è rivolto alla Corte d'Appello di Lecce ai sensi degli artt. 2 e segg. l. n. 89/2001 c.d. Legge Pinto , onde vedersi riconosciuto l'equo indennizzo per la durata del processo non considerata, a suo dire, ragionevole”. La Corte di Appello adita ha respinto il ricorso presentato da T., il quale ha presentato ricorso per cassazione, lamentando la non corretta motivazione della sentenza impugnata sia in punto determinazione della durata del processo che in punto valutazione della sofferenza psicologica. La valutazione della durata del processo e sindacabilità in sede di legittimità. La Corte di Cassazione ha ribadito un principio oramai consolidato della giurisprudenza di legittimità, ovvero che la valutazione dei criteri attraverso cui accertare la violazione delle norme sulla ragionevole durata del processo complessità del caso, comportamento del Giudice e delle Parti , trattandosi di apprezzamento di fatto, può essere impugnata in Cassazione solo per vizi attinenti la motivazione, ex art. 360 c.p.c In ogni caso, viene nuovamente ribadito come il superamento del termine di ragionevole durata del processo non possa tradursi in formule aritmetiche fisse, predeterminate a seconda del tipo di giudizio, del grado ecc., ovvero da rilievi statistici, ma vada valuto con specifico riferimento ad ogni caso concreto. Risarcimento del danno non patrimoniale. Viene altresì confermato che il Giudice adito, una volta accertata la violazione delle norme sulla durata ragionevole del processo debba ritenere sussistente il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze che facciano escludere che tale danno sia stato effettivamente patito. Nel caso di specie, l'indennizzo è stato negato poiché il ricorrente, nel procedimento in esame, aveva ottenuto soddisfazione della pretesa creditoria azionata, poco più di un anno dopo l'instaurazione del giudizio medesimo, e il giudizio, dichiarata la cessazione della materia del contendere, era proseguito solo in punto distrazione delle spese legali a favore del difensore. Ha ritenuto dunque la Corte che la soddisfazione della pretesa creditoria azionata abbia fatto cessare quegli elementi malesseri dovuti all'incertezza dell'esito della lite che avrebbero dovuto provocare ripercussioni negative sullo stato psicologico del ricorrente. La Suprema Corte ha dunque ribadito la stretta correlazione tra criteri di valutazione e diritto ad ottenere l'equo indennizzo per violazione della ragionevole durata del processo, da una parte, ed elementi peculiari del singolo caso di specie dall'altra.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, sentenza 17 marzo – 3 agosto 2015, numero 16313 Presidente Di Palma – Relatore Ragonesi Svolgimento del processo T.N. adiva in data 18.02.2009 la Corte di Appello di Lecce, ai sensi degli artt. 2 e ss. della L. 24 Marzo 2001, numero 89, al fine di ottenere l'equo indennizzo per la violazione del principio di ragionevole durata del processo civile. All'esito del procedimento, la Corte di Appello di Lecce rigettava il ricorso proposto e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Avverso tale pronuncia il T. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso. Motivi della decisione Con i due motivi di ricorso, tra loro connessi e da esaminarsi congiuntamente, il ricorrente lamenta che il Giudice di merito non abbia correttamente motivato la decisione di rigetto della domanda di equa riparazione sia sotto il profilo della determinazione della durata che sotto i riflessi concernenti la sofferenza psicologica. Va premesso che in tema di equa riparazione, la valutazione dei criteri attraverso i quali accertare la violazione del precetto della ragionevole durata del processo - ovverosia, la complessità del caso, il comportamento della parte e del giudice - risolvendosi in un apprezzamento di fatto, è riservata al giudice del merito e può essere sindacata in sede di legittimità solo per i vizi attinenti la motivazione, consentiti dall'art. 360 cod. proc. civ. Cass. 25008/2005 . Nel caso di specie il Giudice di merito ha ampiamente motivato sia in fatto che in diritto la sua decisione. Infatti ha dapprima escluso che il superamento del termine di ragionevole durata comporti obbligatoriamente un riconoscimento all'equa riparazione sulla base del fatto che, come consolidata giurisprudenza afferma, lo stesso non può tradursi in formule aritmetiche fisse per determinate categorie di controversie o singole fasi del giudizio né è desumibile da dati di durata media ricavati da analisi statistiche, ma va determinato caso per caso. Cass. 25008/2005 . Nella fattispecie, il Giudice ha quantificato la durata del procedimento di primo grado in tre anni e otto mesi ed ha escluso, tuttavia, che il superamento del termine di tre anni giustificasse il riconoscimento all'equa riparazione. A tal proposito va rammentato che il giudice, una volta accertata e determinata l'entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata legge numero 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente. Cass. 5992/2005 . Il Giudice di merito non ha riconosciuto il diritto asserito dal ricorrente sulla base del fatto che quest'ultimo aveva avuto soddisfatta la pretesa attivata nel procedimento presupposto in corso di causa, precisamente dopo meno di un anno dal deposito del ricorso, tanto che il procedimento, conclusosi per cessazione della materia del contendere, proseguiva per il solo riconoscimento della distrazione delle spese in favore del difensore. La circostanza dell'avvenuto pagamento del credito azionato dal T. ha fatto venire meno, già prima del termine di durata triennale, l'ansia ed il malessere correlati all'incertezza della lite, e dunque, la sussistenza di alcuna ripercussione psicologica negativa nei confronti del ricorrente medesimo. I motivi, pertanto, non meritano accoglimento. Il ricorso va conclusivamente rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in solido delle spese di giudizio liquidate in Euro 800,00 oltre Euro 100,00 per esborsi ed oltre spese prenotate a debito.