Carenza di competenza giurisdizionale per il giudice contabile se la società partecipata esercita attività di impresa

La partecipazione societaria totale o maggioritaria di un ente pubblico in una società per azioni non basta a fondare la competenza giurisdizionale del giudice contabile per l’azione di risarcimento dei danni subiti dalla società per effetto di condotte illecite dei suoi amministratori o dipendenti.

Lo hanno stabilito le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione con sentenza n. 15199/15, depositata il 21 luglio. Il caso. La sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei Conti aveva condannato un componente del consiglio di amministrazione e il consulente di una società per azioni a totale partecipazione pubblica - sottoposta a poteri di vigilanza del Ministero per i beni culturali – al pagamento di una somma di denaro a titolo di danno erariale. Il danno in questione conseguiva alla costituzione di una società di gestione del risparmio, istituita al fine di associare capitale privato nel finanziamento di produzioni cinematografiche. La terza sezione giurisdizionale centrale di appello della Corte annullava la pronuncia, ritenendo il giudice contabile carente di giurisdizione. Avverso tale sentenza ricorre il PG contabile, che ne lamenta l’erroneità dal momento che alla società di gestione del risparmio costituita dai resistenti deve essere riconosciuto il ruolo di società strumentale del Ministero. La partecipazione totale o maggioritaria dell’ente pubblico non determina la giurisdizione contabile. La Corte di Cassazione ritiene infondato il ricorso proposto dal PG contabile. La Corte dei Conti, infatti, nel dichiarare il proprio difetto di giurisdizione ha seguito la più recente e ormai consolidata giurisprudenza di legittimità delle Sezioni Unite, secondo cui rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la competenza giurisdizionale in tema di azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti qualora non sia configurabile - avuto riguardo all’autonoma personalità giuridica della società – né un rapporto di servizio tra l’agente e l’ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o ad un altro ente pubblico. Non può essere, infatti, ritenuto sufficiente a determinare la giurisdizione contabile nei confronti degli amministratori di una società per azioni, la totale o maggioritaria partecipazione societaria dell’ente pubblico. Il carattere imprenditoriale dell’attività esclude la possibilità di considerarla amministrativa. La giurisprudenza del Supremo Collegio, infatti, subordina la legittima devoluzione di una controversia al giudice contabile alla sussistenza di tre presupposti imprescindibili l’essere la società a totale partecipazione pubblica l’essere la sua destinazione statutaria volta ad operare in via esclusiva o prevalente in favore della P.A. partecipante l’esistenza di un c.d. controllo analogo sulla gestione societaria rispetto a quello che la P.A. sarebbe legittimata ad esercitare su di una propria articolazione interna. Tali condizioni, nel caso di specie, non sono state ravvisate dagli Ermellini. La società cui appartenevano i resistenti, invero, era sì soggetta a pregnanti atti di indirizzo e vigilanza ed a rilevanti controlli sulla gestione societaria da parte del Ministero per le attività culturali, nonché al controllo della Corte dei Conti ex art. 12, l. n. 259/1958, ma non esercitava la sua attività esclusivamente o prevalentemente in favore della P.A. partecipante. Tale attività, peraltro, doveva essere qualificata come attività d’impresa”, essendo improntata a parametri di economicità e di concorrenza non astratta. La società costituita dai resistenti, infatti, era finalizzata alla raccolta di investimenti privati diretti al finanziamento delle produzioni cinematografiche, nell’ambito di un più ampio disegno destinato all’investimento di capitali di rischio nell’industria cinematografica e alla produzione di utili da ripartirsi tra gli investitori privati e pubblico . Alla luce delle considerazioni sovraesposte, pertanto, la Corte di Cassazione ha ritenuto che l’accertamento della responsabilità dei resistenti vada devoluto al giudice ordinario e, pertanto, ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 2 dicembre 2014 – 21 luglio 2015, n. 15199 Presidente Rovelli – Relatore Travaglino I fatti La sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei conti condannò, tra gli altri, gli odierni resistenti, nella rispettiva qualità di componente del consiglio di amministrazione e di consulente della s.p.a. Cinecittà Holding - società a totale partecipazione pubblica sottoposta a poteri di vigilanza dei Ministero per i beni culturali -, al pagamento, in favore della predetta società, della somma di oltre 617 mila euro a titolo di danno erariale conseguente alla costituzione, mediante conferimento di 1 milione di euro, della s.p.a. Cinefund, società di gestione del risparmio istituita con finalità di associare capitale privato nel finanziamento di produzioni cinematografiche, che aveva subito rilevanti perdite. La terza sezione giurisdizionale centrale di appello della Corte annullò la pronuncia ritenendo il giudice contabile carente di giurisdizione nei confronti dell'amministratore L.F. e del consulente M La sentenza è stata impugnata dal P.G. contabile, che ne lamenta l'erroneità alla luce del conclamato ruolo della Cinecittà Holding di società strumentale del Ministero, ruolo predicabile alla luce di una serie univoca di indici - puntualmente elencati ai folli 9 e ss. dell'odierno ricorso. Resistono con controricorso M.L.F. e M.M Le ragioni della decisione Il ricorso è infondato. Nel dichiarare il proprio difetto di giurisdizione, la Corte dei conti ha fatto puntuale applicazione della più recente e ormai consolidata giurisprudenza di queste sezioni unite Cass. n. 26806 del 2009 n. 519 del 2010 n. 14655 dei 2011 n. 3692 dei 2012 nn. 3038 e 7374 del 2013 n. 71 del 2014, a mente della quale deve ritenersi spettante al giudice ordinario la competenza giurisdizionale in ordine all'azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti qualora non risulti configurabile, avuto riguardo all'autonoma personalità giuridica della società, né un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, senza che possa ritenersi sufficiente criterio di collegamento, per radicare la giurisdizione contabile nei confronti degli amministratori di una società per azioni, la totale - come nella specie - o maggioritaria partecipazione societaria dell'ente pubblico. In particolare, con l'ordinanza n. 10299 del 2013, questa Corte ha subordinato all'esistenza di tre imprescindibili condizioni - l'essere la società a totale partecipazione pubblica l'essere la sua destinazione statutaria volta ad operare in via esclusiva o prevalente in favore della P.A. partecipante l'esistenza di un cd. controllo analogo sulla gestione societaria rispetto a quello che la P.A. sarebbe legittimata ad esercitare su di una propria articolazione interna - la legittimità della devoluzione della controversia al giudice contabile, condizioni nella specie ritenute, dei tutto condivisibilmente, non interamente predicabili dalla Corte dei conti nel caso di specie, considerato che la società Cinecittà Holding, costituita all'esito della trasformazione dell'Ente autonomo di gestione per il cinema ex lege 202/1995 e successive integrazioni con capitale interamente pubblico, pur soggetta a pregnanti atti di indirizzo e vigilanza ed a pregnanti controlli sulla gestione societaria da parte del Ministero per le attività culturali - puntualmente evocati da parte del P.G. ricorrente - e pur essendo soggetta al controllo della Corte dei conti ex art. 12 della legge 259 del 1958, non esercitava, per destinazione statutaria, un'attività esclusiva o prevalente in favore della P.A. partecipante, attività che, nella specie, non poteva che definirsi di impresa , improntata cioè a parametri di economicità e di concorrenza non astratta. Decisiva è correttamente apparsa, al giudice contabile, la circostanza per la quale la raccolta di investimenti privati da parte della società avrebbe dovuto essere lo strumento funzionale a conseguire i finanziamenti delle produzioni cinematografiche, così che la creazione della Cinefund e le finalità perseguite con tale operazione - posta in essere all'esito di una indagine di mercato condotta dall'odierno controricorrente M. nella veste di consulente esterno - non potevano che configurarsi come attività di impresa, poiché la costituzione di una società di gestione del risparmio rientrava a pieno titolo in una più complessa operazione destinata, da un canto, all'investimento in capitali di rischio nell'industria cinematografica, dall'altro, alla produzione di utili da ripartirsi tra gli investitori, privati e pubblico. Il carattere chiaramente imprenditoriale dell'attività e delle finalità perseguite dalla società escludono tout court che, per esse, possa legittimamente discorrersi di attività amministrativa, onde l'accertamento della responsabilità degli amministratori non può che essere devoluta al giudice ordinario, non diversamente da quella dei semplice consulente esterno M., come già correttamente ritenuto dal giudice contabile nella sentenza oggi impugnata dinanzi a questa Corte. Il ricorso è pertanto rigettato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.