Niente permesso di soggiorno, scatta l’espulsione: irrilevante la convivenza in Italia con uno zio

Respinte le obiezioni mosse da un cittadino kosovaro, approdato nella Penisola. Confermata la legittimità del provvedimento di espulsione emesso dal Prefetto, a seguito del diniego, su decisione del Questore, del permesso di soggiorno.

Respinta, da parte del Questore, la richiesta di permesso di soggiorno”. Consequenziale la decisione del Prefetto di mettere ‘nero su bianco’ il decreto di espulsione” nei confronti di un cittadino straniero – nazionalità kosovara – arrivato nel ‘Belpaese’. Tutto regolare per la giustizia italiana. Secondario il fatto che l’uomo conviva in Italia con suo zio. Così ha stabilito la corte di Cassazione con l’ordinanza 14610, depositata oggi. Vita familiare. Accompagnato, metaforicamente, alla porta. Così si può riassumere la vicenda di un cittadino kosovaro emigrato in Italia. Egli, difatti, ha prima dovuto registrare un ‘no’, da parte del Questore alla sua richiesta di permesso di soggiorno , e poi ha dovuto subire un decreto di espulsione , firmato dal Prefetto, e infine ha visto respinte le proprie obiezioni con una decisione del Giudice di Pace. Ultimo capitolo della vicenda, infine, in Cassazione. E anche nel contesto del ‘Palazzaccio’, il cittadino kosovaro non può far altro che prendere atto del proprio destino, cioè l’obbligo di lasciare l’Italia. Per i Giudici di legittimità, difatti, è legittimo il decreto di espulsione . Irrilevante il richiamo fatto dall’uomo al suo preteso diritto al rispetto della vita privata e familiare , con riferimento, in sostanza, al fatto che egli è stato espulso nonostante conviva, in Italia, con un suo zio . Di fronte a tale obiezione, i Giudici ricordano che il diritto alla vita privata e familiare è sì da tutelare, ma esso non è incondizionato, essendo l’ingerenza dell’autorità pubblica nella vita degli individui consentita allorché sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati . Ebbene, tale margine di discrezionalità , riconoscono i Giudici, è esercitabile soprattutto in materia di disciplina dell’immigrazione .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 24 febbraio – 13 luglio 2015, n. 14610 Presidente Di Palma – Relatore De Chiara Premesso Che nella relazione ai sensi dell'ars. 380 bis c.p.c. si legge quanto segue 1. - Il Giudice di pace di Firenze ha respinto il ricorso proposto dal sig. M.K., di nazionalità kosovara, avverso il decreto di espulsione in data 1 ° febbraio 2011, emesso dal Prefetto della stessa città ai sensi dell'art. 13 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 a seguito del diniego di permesso di soggiorno disposto dal Questore il 25 novembre 2010. II sig. K. ha proposto ricorso per cassazione articolando cinque motivi di censura, cui l'Amministrazione intimata ha resistito con controricorso. 2. - I primi tre motivi di ricorso sono inammissibili perché riguardano l'omessa concessione di un termine per la partenza volontaria dell'espulso, ai sensi della direttiva 2008/115/CE profilo, questo, estraneo al giudizio d'impugnazione dell'espulsione, riguardando piuttosto l'esecuzione di quest'ultima, e censurabile solo in sede di convalida del conseguente provvedimento di accompagnamento alla frontiera ovvero di trattenimento in un centro di identificazione ed espulsione cfr., da ult., Cass. 15185/2012, 10243/2012,2612/2010 . 3. - Con il quarto motivo si ribadisce la censura, già svolta in primo grado, di violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, tutelato anche dall'art. 8 CEDU, essendo stato il ricorrente espulso nonostante conviva in Italia con suo zio. 3.1. - II motivo è infondato atteso che, in base alla stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo richiamata dal ricorrente, tale diritto non è incondizionato, essendo l'ingerenza dell'autorità pubblica nella vita privata e familiare degli individui consentita, ai sensi del par. 2 del richiamato art. 8 CEDU, allorché sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui sicché compete agli Stati un margine di discrezionalità - indubbiamente esercitabile, in particolare, in materia di disciplina dell'immigrazione -- che non può dirsi, manifestamente, travalicato in una situazione come quella dedotta dal ricorrente. 4. - Con il quinto motivo si lamenta che il Giudice di pace abbia escluso la rilevanza dell'impugnazione del diniego di rilascio del permesso di soggiorno - atto presupposto del decreto di espulsione - pendente davanti al giudice amministrativo. 4.1. - Il motivo è infondato. Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, hanno già avuto occasione di chiarire, con la sentenza n. 22217 del 2006, che al giudice investito dell'impugnazione del provvedimento di espulsione non è consentita alcuna valutazione sulla legittimità del provvedimento del questore che abbia rifiutato, revocato o annullato il permesso di soggiorno ovvero ne abbia negato il rinnovo, poiché tale sindacato spetta unicamente al giudice amministrativo, la cui decisione non costituisce in alcun modo un antecedente logico della decisione sul decreto di espulsione con la conseguenza, per un verso, che la pendenza del giudizio promosso dinanzi al giudice amministrativo per l'impugnazione dei predetti provvedimenti del questore non giustifica la sospensione del processo instaurato dinanzi al giudice ordinario con l'impugnazione del decreto di espulsione del prefetto, attesa la carenza di pregiudizialità giuridica necessaria tra il processo amministrativo e quello civile e, per l'altro verso, che il giudice ordinario, dinanzi al quale sia stato impugnato il provvedimento di espulsione, non può disapplicare l'atto amministrativo presupposto emesso dal questore rifiuto, revoca o annullamento del permesso di soggiorno o diniego di rinnovo che detta relazione è stata notificata agli avvocati delle parti costituite e comunicata al P.M. che l'avvocato di parte ricorrente ha presentato memoria Considerato Che il Collegio condivide quanto osservato nella relazione sopra trascritta, non superato dalle osservazioni di cui alla memoria di parte ricorrente, la quale deduce, in particolare, di aver ottenuto dal Consiglio di Stato l'annullamento del diniego di permesso di soggiorno, cui ha fatto seguito il rilascio, da parte del Questore, di permesso di soggiorno per attesa occupazione, che produce in copia che, infatti, detto ultimo documento, dal quale potrebbe in astratto derivare la cessazione della materia del contendere, non è stato prodotto ritualmente ai sensi dell'art. 372 c.p.c., ossia con notifica alla controparte costituita con la conseguenza che la sua produzione è inammissibile fermo restando, in ogni caso, che se il permesso di soggiorno effettivamente é stato rilasciato, tale rilascio supera comunque la precedente espulsione, oggetto dei presente giudizio che il ricorso va in conclusione respinto che la particolarità, della vicenda giustifica la compensazione delle spese processuali tra le parti P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate tra le parti le spese processuali.