L’atto processuale contenente la richiesta di esecuzione della pretesa notificato al difensore è atto idoneo a interrompere la prescrizione?

Ai fini dell’individuazione del regime di impugnabilità di una sentenza occorre avere riguardo alla legge processuale in vigore al momento della sua pubblicazione.

Per la liquidazione delle spese processuali, il Magistrato deve utilizzare i parametri in vigore al momento della liquidazione stessa ancorché parte della prestazione professionale sia stata erogata sotto la vigenza delle tariffe ormai abrogate in applicazione della nozione di corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata. La fattispecie. Nel caso in esame la Corte d’Appello di Brescia aveva dichiarato inammissibile l’appello avverso una sentenza del Tribunale con la quale era stata accolta l’opposizione all’esecuzione. Ciò in quanto, a dire del Collegio di gravame, la sentenza era stata pubblicata il 6 agosto 2007 successivamente alla novella normativa introdotta dalla Legge n. 52/2006, entrata in vigore l’1 marzo 2006, che aveva modificato l’art. 616 c.p.p Appello o ricorso in Cassazione? Il Supremo Collegio asserisce che ai fini dell’individuazione del regime di impugnabilità di una sentenza occorre avere riguardo alla legge processuale in vigore al momento della sua pubblicazione ne consegue che le sentenze che abbiano deciso opposizioni all’esecuzione pubblicate prima del 1° marzo 2006 restano esclusivamente appellabili mentre quelle pubblicate successivamente a tale data sino al 4 luglio 2009 sono ricorribili in Cassazione, quelle pubblicate dopo tale data tornano ad essere appellabili. La regolazione delle spese. In tema di spese processuali la Corte osserva che i parametri da utilizzare sono quelli in vigore al momento in cui viene effettuata la liquidazione dal Magistrato senza che rilevi che l’attività professionale sia iniziata sotto l’imperio delle tariffe abrogate stante l’accezione omnicomprensiva di compenso che ha come corollario l’unitarietà del corrispettivo per l’opera complessivamente prestata.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 19 maggio – 2 luglio 2015, n. 13628 Presidente Finocchiaro – Relatore Barreca Premesso in fatto E' stata depositata in cancelleria la seguente relazione 1. Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Brescia ha dichiarato inammissibile l'appello proposto dall'Accademia Marketing & amp Comunicazione avverso la sentenza del Tribunale di Brescia, con la quale era stata accolta l'opposizione all'esecuzione avanzata nei confronti della medesima da parte di M.G. sas e di S.M., avverso il precetto intimato a questi ultimi dall'Accademia sulla scorta di un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Firenze il 20 ottobre 1990. La Corte d'Appello ha ritenuto inammissibile l'appello perché proposto, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. civ., avverso una sentenza pubblicata in data 6 agosto 2007, pronunciata in controversia avente ad oggetto opposizione all'esecuzione avverso atto di precetto, quindi inappellabile alla stregua dell'art. 616 cod. proc. civ., nella formulazione introdotta dall'art. 14 della legge n. 52 del 2006 con decorrenza dal 1° marzo 2006 e vigente alla data di proposizione del gravame. Il ricorso è proposto con due motivi. Gli intimati non si difendono. 2. Col primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 17, 91, 92, 99, 100, 104, 112, 113, 615, 616, 339 cod. proc. civ., nonché del D.M. n. 127 del 2004, al fine di censurare la pronuncia di inammissibilità dell'appello e la omessa pronuncia sulla domanda di riforma della condanna alle spese del giudizio di primo grado. Il motivo è inammissibile ai sensi dell'art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ. La Corte d'Appello di Brescia ha deciso la questione di diritto concernente l'appellabilità delle sentenze pronunciate in giudizi di opposizione all'esecuzione in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte, per la quale ai fini dell'individuazione del regime di impugnabilità di una sentenza, occorre avere riguardo alla legge processuale in vigore alla data della sua pubblicazione pertanto, le sentenze che abbiano deciso opposizioni all'esecuzione pubblicate prima del primo marzo 2006, restano esclusivamente appellabili per quelle, invece, pubblicate successivamente a tale data e fino al 4 luglio 2009, non è più ammissibile l'appello, in forza dell'ultimo periodo dell'art. 616 cod. proc. civ., introdotto dalla legge 24 febbraio 2006, n. 52, con la conseguenza dell'esclusiva ricorribilità per cassazione ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost. le sentenze, infine, in cui il giudizio di primo grado sia ancora pendente al 4 luglio 2009, e siano quindi pubblicate successivamente a tale data, tornano ad essere appellabili, essendo stato soppresso l'ultimo periodo dell'art. 616 cod. proc. civ., ai sensi dell'art. 49, secondo comma, della legge 18 giugno 2009, n. 69. Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, n. 1, cod. proc. civ. da Cass. ord. n. 17321/11 . Il motivo di ricorso non offre elementi per mutare detto orientamento, poiché il regime di impugnabilità di una sentenza si estende a tutte le statuizioni di questa, compreso il capo di pronuncia sulle spese. In merito a quanto esposto in ricorso a proposito del regolamento di competenza con l'indicazione, peraltro, di un orientamento oramai superato nei termini che risultano da Cass. S.U. ord. n. 14205/05, per la quale Il regolamento necessario di competenza avverso la sentenza che ha pronunciato soltanto sulla competenza e sulle spese di lite comporta la devoluzione alla S.C. anche della decisione sul capo concernente le spese, non avendo il ricorrente l'onere di impugnare la pronuncia sulle spese, nè potendo ciò fare mediante un'impugnazione distinta, proposta nei modi ordinari ammissibile soltanto qualora detta parte censuri esclusivamente il capo concernente le spese, ovvero nel caso in cui sia la parte vittoriosa sulla questione di competenza a censurare tale statuizione in quanto siffatto regolamento costituisce un mezzo di impugnazione al quale sono applicabili le norme generali in materia di impugnazioni non derogate dalla specifica disciplina per esso stabilita e perché la pronuncia sulle spese processuali non costituisce una statuizione autonoma e separata rispetto alla dichiarazione di incompetenza, sicchè la rimessione alla S.C. della questione di competenza, mediante l'istanza di regolamento, implica, in via consequenziale, anche la cognizione sulla pronunzia in tema di spese, destinata ad essere caducata, nel caso di suo accoglimento , si rileva che, con riferimento a tale rimedio, ricorre un'eccezione all'enunciato principio generale, dovuta alla peculiare natura del regolamento di competenza, che consente di devolvere alla Corte Suprema soltanto la questione di competenza e quindi quella sulle spese quando sia consequenziale , sicché, quando la questione concernente il regime delle spese è svincolata dalla questione di competenza, torna ad operare il regime impugnatorio ordinario. Nel caso delle opposizioni esecutive, invece, alla stregua della disciplina sopra menzionata, è espressamente escluso tale ultimo regime. Conseguentemente, la Corte d'Appello di Brescia, in regime di non impugnabilità della sentenza, non avrebbe potuto come sostiene la ricorrente pronunciare l'inammissibilità dell'appello nel merito e decidere comunque sul motivo di gravame concernente la regolamentazione delle spese del giudizio di primo grado. Ed, invero, anche rispetto alla doglianza relativa a questo capo di sentenza il testo dell'art. 616 cod. proc. civ. applicabile ratíone temporis escludeva l'impugnabilità, consentendo soltanto il ricorso straordinario ex art. 111 Cost. Va perciò dichiarata l'inammissibilità del primo motivo di ricorso. 3. Col secondo motivo si lamenta, per un verso, la mancata compensazione delle spese del giudizio di appello per altro verso, l'errata liquidazione di queste spese. La prima censura è inammissibile. Al riguardo è sufficiente richiamare il precedente a Sezioni Unite, per il quale, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l'eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione Cass. S.U. n. 14989/05 . 3.1. La seconda censura è, invece, fondata e va accolta. La sentenza impugnata è stata pronunciata il 27 dicembre 2012, quando era oramai in vigore il d.m. 20 luglio 2012 n. 140, che ha fissato i nuovi parametri cui commisurare, tra gli altri, i compensi degli avvocati, ai sensi dell'art. 9, comma secondo, del d.l. n. 1 del 2012 convertito nella legge n. 27 del 2012. Pertanto, la Corte non avrebbe potuto liquidare le spese seguendo le tariffe professionali di cui al d.m. n. 127 del 1994. Piuttosto, avrebbe dovuto dare seguito al principio espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 17405 del 2012, in ragione del quale In tema di spese processuali, agli effetti dell'art. 41 del d.m. 20 luglio 2012, n. 140, i1 quale ha dato attuazione all'art. 9, secondo comma, del d.1. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l'accezione omnicomprensiva di compenso la nozione di un corrispettivo unitario per l'opera complessivamente prestata. . In conclusione, si propone la dichiarazione di inammissibilità del primo motivo di ricorso e della prima censura del secondo motivo l'accoglimento della seconda censura del secondo motivo, con la cassazione della sentenza impugnata per quanto di ragione. . La relazione è stata comunicata e notificata come per legge. Parte ricorrente ha depositato memoria. Ritenuto in diritto A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione, fatta salva la precisazione di cui appresso. La memoria depositata da parte ricorrente non offre elementi per superare le argomentazioni svolte nella relazione. Conclusivamente, vanno dichiarati inammissibili il primo motivo e la prima censura del secondo motivo. Il ricorso va accolto limitatamente alla seconda censura del secondo motivo. Giova aggiungere soltanto che ogni altra questione non affrontata nella relazione, concernente il valore della controversia e le voci liquidabili per esborsi e compensi in favore degli appellati, resta assorbita in forza della rimessione al giudice del rinvio della determinazione delle spese del secondo grado di giudizio. La sentenza impugnata infatti va cassata nei limiti dell'accoglimento della seconda censura del secondo motivo. Le parti vanno rimesse alla Corte d'Appello di Brescia per la determinazione delle spese di lite del secondo grado di giudizio, da effettuarsi in applicazione del principio di cui alla sentenza a Sezioni Unite di questa Corte indicata nella relazione, e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibili il primo motivo e la prima censura del secondo motivo. Accoglie la seconda censura del secondo motivo, secondo quanto specificato in motivazione cassa la sentenza impugnata nei limiti di questo accoglimento e rinvia alla Corte d'Appello di Brescia, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, il giorno 19 maggio 2015, nella camera di consiglio della sesta sezione civile 3 della Corte suprema di cassazione.