Convivente more uxorio e parenti sono in posizioni incompatibili: non possono avere lo stesso difensore

Ai fini del diritto al risarcimento del danno iure haereditatis, il convivente more uxorio del defunto a cui sia stata negata la qualità di erede universale si trova in posizione di conflitto di interessi rispetto agli eredi legittimi. Pertanto, è inammissibile la loro costituzione in giudizio a mezzo di uno stesso procuratore.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella pronuncia n. 13218 del 26 giugno 2015. Il caso. A seguito del decesso di una donna riconducibile presumibilmente a negligenze mediche, il convivente more uxorio nonché i fratelli della stessa convenivano in giudizio il medico e la clinica presso cui era in cura, chiedendo il risarcimento dei conseguenti danni. In accoglimento della domanda, il giudice di prime cure condannava i convenuti, in solido, al pagamento di una somma di denaro in favore degli attori, liquidando però un risarcimento maggiore ai fratelli. I 3 attori proponevano congiuntamente appello, il quale però veniva respinto dalla Corte territoriale sul presupposto della nullità della procura, rilasciata al medesimo difensore con un unico atto nonostante il conflitto di interessi tra le tre posizioni. In particolare, a giudizio della Corte, la qualità di eredi legittimi vantata dai due fratelli confliggeva con quella di erede universale del convivente more uxorio , il quale fin dal giudizio di primo grado aveva dichiarato di possedere detta qualità in forza di un testamento olografo redatto dalla de cuius . Avverso tale sentenza propongono ricorso in cassazione – questa volta con due atti separati – sia il convivente che i fratelli. La rappresentanza di parti in conflitto di interessi. Entrambi i ricorsi sono incentrati sulla presunta erroneità della sentenza di primo grado, laddove è stata esclusa la qualità di erede in capo al convivente mentre è stata riconosciuta quella di eredi legittimi in capo ai fratelli della defunta. A giudizio dei ricorrenti, la Corte d’appello non avrebbe rimediato all’errore compiuto dal Tribunale perché, omettendo di verificare ed analizzare le singole posizioni degli appellanti, ha ritenuto esistente un conflitto di interessi, da cui è conseguita la nullità dell’atto di appello. Ebbene, nel giudicare il motivo infondato, la Suprema Corte richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, qualora tra due o più parti sussista conflitto di interessi – attuale, ovvero anche virtuale, nel senso che appaia potenzialmente insito nel rapporto tra le medesime, i cui interessi risultino, in astratto, suscettibili di contrapposizione – è inammissibile la loro costituzione in giudizio a mezzo di uno stesso procuratore, al quale sia stato conferito mandato con un unico atto, e ciò anche in ipotesi di simultaneus processus , dato che il difensore non può svolgere contemporaneamente attività difensiva in favore di soggetti portatori di istanze tra loro in conflitto. Profili procedurali. Gli Ermellini chiariscono, poi, che la violazione del suddetto principio è rilevabile d’ufficio, anche in sede di appello, in quanto investe il diritto di difesa ed il principio del contraddittorio, valori costituzionalmente garantiti, e comporta l’invalidità degli atti relativi al giudizio di impugnazione. Del resto, il carattere dell’attualità del conflitto può anche venire meno, ma a detto fine è necessario che dalle risultanze processuali emerga che la contrapposizione di interessi sia stata effettivamente superata, come accade nel caso in cui una delle parti abbia rinunciato alle proprie pretese, in conflitto con quelle vantate dalla parte rappresentata dallo stesso difensore. Impossibilità di individuare spazi di esclusione del conflitto. Ciò premesso, i Giudici di legittimità condividono le conclusioni cui è pervenuta la Corte d’appello, la quale ha osservato che il riconoscimento dello status di erede universale da parte del convivente costituiva, in quel grado di giudizio, la premessa per svolgere uno specifico motivo di doglianza, volto al riconoscimento del danno iure haereditatis negato dal primo giudice e affermato, invece, per i fratelli. Il motivo di ricorso censura la sentenza sul rilievo che la Corte di merito non avrebbe potuto dichiarare la nullità dell’intero atto di appello e si sarebbe dovuta limitare a verificare in quali punti le domande proposte fossero effettivamente in contrasto tra loro. Osserva, invece, la Suprema Corte che dal contenuto dell’atto di appello e della relativa comparsa conclusionale risulta che i ricorrenti chiesero, col patrocinio dello stesso difensore, il risarcimento dei danni iure haereditario e iure proprio ed è evidente che la formulazione di tali domande, oltre a porre in luce il conflitto di interessi, rende molto difficile individuare le possibili diversità delle domande e, eventualmente, l’esistenza di spazi concreti per l’esclusione del conflitto di interessi, anche solo in relazione a parte delle richieste avanzate.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 14 aprile – 26 giugno 2015, n. 13218 Presidente Segreto – Relatore Cirillo Svolgimento del processo 1. M.D., M.D.P. e G. P. - il primo nella qualità di convivente more uxorio e gli altri nella qualità di fratelli di E. P. - convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Monza, Sezione distaccata di Desio, la Clinica San Carlo di Paderno Dugnano ed il dott. C.T., affinché fossero condannati in solido al risarcimento dei danni conseguenti alla morte di E. P., a loro dire riconducibile a negligenze professionali del medico e della clinica. A sostegno della domanda esposero che la loro congiunta aveva subito, in data 20 aprile 1999, l'asportazione di una piccola formazione cutanea peduncolata, senza che sulla medesima fossero praticate le dovute indagini istologiche. La formazione era, in realtà, un melanoma che, riprodottosi nel d giro di pochi mesi, aveva portato a morte la P. in data 16 novembre 2001. Si costituì in giudizio la sola casa di cura, chiedendo il rigetto della domanda, mentre il dott. C.T. rimase contumace. Svolta l'istruttoria, il Tribunale accolse in parte la domanda e condannò i convenuti, in solido, al pagamento della somma di euro 50.000 in favore di M.D. e la somma di euro 60.000 per ciascuno in favore dei fratelli M.D. e G. P., con gli interessi e la rifusione delle spese di lite. 2. La sentenza è stata impugnata in via principale dagli attori ed in via incidentale dalla casa di cura, mentre il dott. C.T. è rimasto contumace. La Corte d'appello di Milano, con pronuncia del 5 maggio 2011, ha dichiarato la nullità dell'atto di appello principale e del conseguente giudizio di appello, nonché la perdita di efficacia dell'appello incidentale in quanto tardivo ed ha compensato le spese del grado. Ha osservato la Corte territoriale che doveva essere ritenuta nulla la procura alle liti rinnovata nell'atto di gravame da tutti e tre gli appellanti e rilasciata al medesimo difensore con unico atto, nonostante l'evidente conflitto di interessi tra tutte e tre le posizioni . A tale conclusione la Corte è pervenuta rilevando che la qualità di eredi legittimi vantata da M.D. e G. P. confliggeva con quella di erede universale del convivente more uxorio M.D., il quale fin dal giudizio di primo grado aveva dichiarato di possedere detta qualità in forza di un testamento olografo redatto da E. P Il conflitto di interessi era rilevante in quanto la condizione di erede universale costituiva la premessa indispensabile affinché M.D. potesse chiedere il risarcimento del danno lure haereditatis negato dal primo giudice e riconosciuto dal medesimo, invece, in favore dei fratelli. La situazione processuale venutasi a creare - ha aggiunto la Corte milanese - determinava la nullità del mandato difensivo siccome rilasciato da più parti in conflitto di interessi tra di loro, questione rilevabile d'ufficio secondo il dettato della sentenza 10 maggio 2004, n. 8842, della Corte di cassazione. Alla nullità della procura conseguiva la nullità dell'appello principale e degli atti conseguenti, mentre l'appello incidentale veniva a perdere efficacia, ai sensi dell'art. 334, secondo comma, cod. proc. civ., per la sua tardività. 3. Contro la sentenza della Corte di appello di Milano propongono ricorso, con due atti separati affidati ciascuno a due motivi, M.D., nella qualità di convivente ed erede di E. P. , nonché M.D. e G. P., in proprio e nella qualità di fratelli di E. P. . Resiste la casa di cura Clinica San Carlo di Paderno Dugnano con due separati controricorsi. Il dott. C.T. non ha svolto attività difensiva in questa sede. Motivi della decisione l. Con il primo motivo formulato in modo pressoché identico in entrambi i ricorsi si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 83 e 103 cod. proc. civ., con riferimento al rilevato conflitto di interessi. Rilevano i ricorrenti che l'errore in cui è incorsa la Corte d'appello trarrebbe origine dalla sentenza di primo grado, nella quale il Tribunale ha escluso la qualità di erede in capo a M.D. ed ha riconosciuto quella di eredi legittimi in capo ai fratelli della defunta. Il problema non si sarebbe posto se il Tribunale avesse indicato quale unico erede M.D. e M.D. e G. P. come fratelli in tal modo il primo avrebbe avuto diritto al risarcimento iure haereditatis e iure proprio, mentre i secondi avrebbero ottenuto il solo risarcimento iure proprio quale danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale . In tal modo, ovviamente, nessun conflitto avrebbe potuto manifestarsi. La Corte d'appello, invece, non avrebbe rimediato all'errore compiuto dal Tribunale perché, omettendo di verificare ed analizzare le singole posizioni degli appellanti, ha ritenuto esistente un conflitto di interessi, non si sa se potenziale od attuale , facendo derivare da tale ipotetico conflitto la nullità dell'atto di appello. 1.1. Il motivo, quando non inammissibile, è comunque privo di fondamento. Si deve innanzitutto rilevare che esso è formulato come se l'errore fosse da addebitare alla pronuncia di primo grado, per cui il tono con cui la censura viene posta è vagamente ipotetico. A ciò va aggiunto che il motivo è generico, perché non indica con precisione l'errore della sentenza, cioè non indica da quali atti si sarebbe dovuta dedurre l'assenza di un conflitto né risulta che il presunto errore commesso dal Tribunale e di cui oggi si lamentano i ricorrenti sia stato in qualche modo fatto valere davanti alla Corte d'appello. 1.2. Tanto premesso in punto di ammissibilità, osserva il Collegio che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato in più occasioni che, qualora tra due o più parti sussista conflitto di interessi - attuale, ovvero anche virtuale, nel senso che appaia potenzialmente insito nel rapporto tra le medesime, i cui interessi risultino, in astratto, suscettibili di contrapposizione - è inammissibile la loro costituzione in giudizio a mezzo di uno stesso procuratore, al quale sia stato conferito mandato con un unico atto, e ciò anche in ipotesi di simultaneus processus, dato che il difensore non può svolgere contemporaneamente attività difensiva in favore di soggetti portatori di istanze tra loro in conflitto. Tale violazione è rilevabile d'ufficio, anche in sede di appello, in quanto investe il diritto di difesa ed il principio del contraddittorio, valori costituzionalmente garantiti, e comporta l'invalidità degli atti relativi al giudizio di impugnazione. Il carattere dell'attualità del conflitto, peraltro, può anche venire meno, ma a detto fine è necessario che dalle risultanze processuali emerga che la contrapposizione di interessi è stata effettivamente superata, come accade nel caso in cui una delle parti abbia rinunciato alle proprie pretese, in conflitto con quelle vantate dalla parte rappresentata dallo stesso difensore sentenze 10 maggio 2004, n. 8842, 19 luglio 2005, n. 15183, 4 novembre 2005, n. 21350, 26 luglio 2012, n. 13204 . 1.3. La Corte d'appello di Milano ha fatto buon governo dei principi ora richiamati, ai quali l'odierna pronuncia intende dare continuità. La sentenza impugnata, come si è detto, ha osservato che il riconoscimento dello status di erede universale da parte del D. costituiva, in quel grado di giudizio, la premessa per svolgere uno specificoe motivo di doglianza, volto al riconoscimento del danno iure haereditatis negato dal primo giudice e affermato, invece, per i fratelli . Il motivo di ricorso in esame, formulato allo stesso modo sia nel ricorso D. che in quello dei fratelli P., censura la sentenza sul rilievo che la Corte di merito non avrebbe potuto dichiarare la nullità dell'intero atto di appello e si sarebbe dovuta limitare a verificare in quali punti le domande proposte fossero effettivamente in contrasto tra loro. Si osserva, invece, che dal contenuto dell'atto di appello e della relativa comparsa conclusionale risulta in modo sicuro che gli odierni ricorrenti chiesero, col patrocinio dello stesso difensore, il risarcimento dei danni iure haeredítario e iure proprio ed è evidente che la formulazione di tali domande, oltre a porre in luce il conflitto di interessi, rende molto difficile individuare le possibili diversità delle domande e, eventualmente, l'esistenza di spazi concreti per l'esclusione del conflitto di interessi, anche solo in relazione a parte delle richieste avanzate. Il ricorso, del resto, non è formulato in modo tale da chiarire dove e in quali limiti il conflitto di interessi poteva essere, in concreto, escluso né assume rilievo decisivo il fatto, evidenziato in sede di discussione orale, che i fratelli P. non abbiano impugnato il testamento che istituiva il D. erede universale. 2. Il primo motivo di entrambi i ricorsi, pertanto, è rigettato. Ciò comporta l'assorbimento del secondo, attinente al merito della liquidazione dei danni, punto sul quale la Corte d'appello ha correttamente omesso ogni decisione, stante la nullità dell'atto di appello. 3. I due ricorsi, pertanto, sono rigettati. A tale pronuncia segue la condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali. P.Q.M. La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 10.200, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.