Diffamazione: un dominio informatico riservato dell'Associazione nazionale magistrati non è “zona franca”

È jus receptum, in tema di delitti contro l'onore, che la volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone si reputa accertata se l’autore la comunichi ad almeno due persone e perfino ad una sola, se si abbia, in via preventiva, la certezza morale che la notizia sarà poi divulgata ad altri.

Le Sezioni Unite della Cassazione, con la decisione numero 10796 depositata il 26 maggio 2015, hanno confermato la sanzione disciplinare inflitta ad un magistrato che aveva tenuto, nei confronti di colleghi magistrati e di avvocati, comportamenti ben poco armonizzabili con il prestigio e il decoro della magistratura. Il caso. Il CSM dichiarava un magistrato responsabile dei capi di incolpazione di cui agli articolo 1 e 2, commi 1 e 2, lett. d del d.lgs. 23 febbraio 2006 numero 109, per aver palesato in plurime riprese un comportamento gravemente scorretto nei confronti di altri magistrati, togati e onorari, di avvocati e di personale amministrativo dell'ufficio, e di aver altresì tenuto un'udienza civile in violazione dei criteri tabellari di trattazione degli affari. Lo stesso magistrato veniva altresì sanzionato per l'illecito disciplinare di cui all'articolo 4, comma 1, lett. d del medesimo decreto legislativo, in relazione all'articolo 595 c.p., per aver leso la reputazione di più persone. Veniva quindi inflitta la sanzione disciplinare della perdita di anzianità di mesi 4 e del trasferimento di ufficio presso la altra Corte d'appello con funzioni di magistrato giudicante distrettuale. Più in dettaglio, erano considerati provati vari episodi di condotta scorretta nei confronti di taluni colleghi, anche mediante messaggi telematici denigratori, contenenti notazioni negative circa la loro moralità che integravano pure gli estremi della diffamazione e non potevano in alcun modo qualificarsi come esercizio legittimo di critica. Inoltre, era provata la gestione di un'udienza civile in violazione del provvedimento di sostituzione già adottato dal presidente del tribunale, dal magistrato incolpato infondatamente contestato come falso perché predisposto ex post . Quanto meno - verrebbe da dire - veniva considerata infondata l'ulteriore accusa di molestie nei confronti di una collega, perché riferita ad un singolo episodio di pedinamento, mai più ripetuto. Questo il quadro all’interno del quale si colloca il ricorso per cassazione deciso con la pronuncia in esame. Una perizia psichiatrica aveva escluso la presenza di una malattia” invalidante. La sentenza impugnata aveva escluso, sulla base di una perizia psichiatrica, la presenza di alcuna malattia invalidante all'origine del convincimento radicato dell'incolpato di essere destinatario di provvedimenti discriminatori adottati dal presidente del tribunale per favorire altra collega perizia che avrebbe reso l’incolpato inimputabile in sede disciplinare. I messaggi telematici diffamatori e l’irrilevanza della exceptio veritatis”. Era considerata raggiunta la prova delle condotte denigratorie sulla base di messaggi telematici contenenti apprezzamenti negativi, e talvolta volgari sulla moralità di colleghi, e di plurime deposizioni testimoniali, ritenute attendibili. A questo proposito l' exceptio veritatis , vertente su pretesi comportamenti discriminatori in danno dell'incolpato, neppure avrebbe efficacia esimente sotto il profilo disciplinare, non giustificando reazioni svoltesi fuori dei corretti canali istituzionali e consistenti in comportamenti oggettivamente lesivi dell'altrui dignità, oltre che del prestigio dell'ufficio. Le comunicazioni diffamatorie non sono avvenute in ambito riservato”. Le SS.UU., ribadito il carattere oggettivamente lesivo dell'onore e del decoro dei messaggi telematici, si osserva come la circostanza che la comunicazione sia avvenuta nell'ambito di un dominio informatico riservato dell'Associazione nazionale magistrati non vale certo a renderlo zona franca per espressioni e giudizi offensivi, destinati con certezza ad essere percepiti da una pluralità vasta, se non indefinita, di utenti della rete. È jus receptum , in tema di delitti contro l'onore, che la volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone si reputa accertata se l’autore la comunichi ad almeno due persone e perfino ad una sola, se si abbia, in via preventiva, la certezza morale che la notizia sarà poi divulgata ad altri. E la circostanza che i destinatari della notizia diffamatoria siano un numero a priori indeterminabile di colleghi della vittima vale ad escludere che si possa parlare di corrispondenza strettamente privata, penalmente e disciplinarmente irrilevante.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 24 marzo – 26 maggio 2015, numero 10796 Presidente Roselli – Relatore Bernabai Svolgimento del processo Con sentenza 9 settembre 2014, nell'ambito di due procedimenti disciplinari riuniti, il Consiglio Superiore della Magistratura dichiarava la dr.ssa F.G. , giudice del Tribunale di Crotone, responsabile dei capi di incolpazione di cui agli articoli 1 e 2, commi 1 e 2, lettera D del d.lgs. 23 febbraio 2006 numero 109 Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f , della legge 25 luglio 2005, numero 150 per aver palesato in più riprese un comportamento gravemente scorretto nei confronti di altri magistrati, togati e onorari, di avvocati e di personale amministrativo dell'ufficio, e di aver altresì tenuto un'udienza civile in violazione dei criteri tabellari di trattazione degli affari nonché, dell'illecito disciplinare di cui all'articolo 4, comma 1, lettera D del medesimo decreto legislativo, in relazione all'articolo 595 cod. penale, per aver leso la reputazione di più persone. Per l'effetto, le irrogava la sanzione disciplinare della perdita di anzianità di mesi quattro e del trasferimento di ufficio presso la corte d'appello di Potenza con funzioni di magistrato giudicante distrettuale. Motivava che erano provati i vari episodi, analiticamente elencati nei capi di incolpazione, di condotta scorretta nei confronti di taluni colleghi, anche mediante messaggi telematici denigratori, contenenti notazioni negative circa la loro moralità che integravano pure gli estremi della diffamazione e non potevano in alcun modo qualificarsi come esercizio legittimo di critica così come era provata la gestione di un'udienza civile in violazione del provvedimento di sostituzione già adottato dal presidente del tribunale, da lei infondatamente contestato come falso perché predisposto ex post mentre, appariva infondata l'ulteriore accusa di molestie nei confronti di una collega, perché riferita ad un singolo episodio di pedinamento, mai più ripetuto. Avverso la sentenza la dr.ssa F. proponeva ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, previa eccezione pregiudiziale di incostituzionalità dell'articolo 24 del d.lgs. 23 febbraio 2006 numero 109 per contrasto con gli articoli 3,27,105 e 111 della Costituzione. Deduceva 1 la violazione dell'articolo 606, primo comma, lettera B cod. proc. penumero e dell'articolo 6, terzo comma, lettera D della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, nonché la carenza di motivazione nella mancata ammissione dei testimoni a discarico da lei indotti, con violazione del contraddittorio e del diritto di difesa 2 la violazione di legge ed il vizio di motivazione per omessa enunciazione delle ragioni di inattendibilità delle prove contrarie offerte dalla difesa 3 la violazione di legge nella ritenuta responsabilità disciplinare per un illecito funzionale non ricompreso nelle fattispecie tipizzate in particolare, in ordine a giudizi espressi in messaggi privati di posta elettronica all'indirizzo informatico dell'associazione nazionale magistrati e nel corso di colloqui riservati con una collega. 4 la violazione di legge nella dichiarazione di responsabilità disciplinare per il reato di diffamazione, non ravvisabile in confidenze private dell'incolpata senza neppure consentirle Yexceptio veritatis, pur doverosa, data la qualità di pubblico ufficiale della persona offesa articolo 596 cod. penumero 5 la violazione dell'articolo 22 del d. lgs.23 febbraio 2006 numero 109 nell'applicazione della sanzione della perdita di anzianità, non prevista per alcune delle contestazioni mosse nei capi di incorporazione. All'udienza del 24 Marzo 2015 il P.G. ed il difensore precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate. Motivi della decisione L'eccezione di incostituzionalità dell'articolo 24 del d.lgs. 23 febbraio 2006 numero 109 per contrasto con gli articoli 3, 27, 105 e 111 della Costituzione, in ragione della penalizzante disparità di trattamento dei magistrati nei confronti degli altri pubblici dipendenti, per omessa previsione dell'appello in materia disciplinare, è manifestamente infondata. Il principio del doppio grado di merito nella giurisdizione non ha copertura costituzionale Cass., sez. unite, 24 ottobre 2014 numero 22610 ed il richiamo a principi affermati nella Convenzione Europea dei diritti dell'uomo articolo 2, primo comma, protocollo addizionale non è conferente, dal momento che è ivi assicurata la possibilità di impugnare una sentenza penale di condanna, dinanzi ad una giurisdizione superiore ciò che, appunto, è garantito, in subiecta materia, mediante il ricorso per cassazione avverso la sentenza della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. Oltre al rilievo che la particolare qualificazione ed il rango costituzionale dell'organo giurisdizionale di primo grado rendono improponibile il parallelo con i procedimenti disciplinari degli impiegati amministrativi, rimessi al giudice ordinario del lavoro. Vengono ora all'esame i singoli motivi di ricorso, tutti a censura multipla e spesso eterogenea, ai limiti dell'inammissibilità Cass., sez. 1, 20 settembre 2013 numero 21611 Cass., sez. 1, 23 settembre 2011 numero 19443 Cass., sez. lavoro, 11 aprile 2008 numero 9470 . Con il primo motivo si deduce la violazione del diritto di difesa, per violazione del diritto alla prova, la carenza di motivazione sulla mancata ammissione di testi a discarico, nonché la violazione del principio di imparzialità del giudice. Il motivo è infondato. Premesso che la mancata ammissione di mezzi istruttori integra un error in procedendo solo ove essi si palesino decisivi, all'esito di un giudizio prognostico di elevata probabilità basato sulle ragioni addotte in motivazione a fondamento della pronuncia frustra probatum quod probatum non relevat Cass., sez. 3, 17 novembre 2009 numero 24221 Cass., sez.3, 17 maggio 2007 numero 11457 Cass. sez. 1, 31 gennaio 2007 numero 2201 Cass., sez.3 , si osserva come la censura parta dal presupposto che la circostanza esimente della provocazione, prevista in tema di diffamazione articolo 596, terzo comma, cod. penumero , costituisca causa di giustificazione anche nel procedimento disciplinare per il medesimo fatto. Ma l'illazione non è fondata, dal momento che l'offesa arrecata all'onore ed al decoro altrui è idonea ad incidere sulla credibilità e sull'immagine del magistrato che ne sia l'autore anche se, per qualsivoglia ragione, non raggiunga la soglia della perseguibilità penale come nella specie, per difetto della condizione di procedibilità della querela articolo 4, lett. D decreto legislativo 109/2006 , o per l'eventuale presenza di una causa speciale di non punibilità di esclusiva rilevanza penale. Il che trova la sua spiegazione sistematica nel più alto livello di correttezza esigibile da un rappresentante dell'ordine giudiziario, rispetto al comune cittadino concettualmente riconducibile, in sede assiologica, ad un valore di rango costituzionale articolo 54, secondo comma, Cost. . Ciò premesso, i capitoli di prova riportati nel ricorso non si palesano punto decisivi, relativi come sono a circostanze estranee ai fatti contestati - e neppure coeve ad essi - genericamente volte a dimostrare, appunto, la provocazione onde, non appare viziato da violazione di legge il provvedimento assunto in data 17 luglio 2014 con cui il presidente del collegio, visto il parere negativo del giudice relatore, ha rigettato la richiesta di autorizzazione alla citazione dei testi articolo 468 cod. proc. penumero provvedimento, implicitamente confermato dal collegio all'esito della discussione. Contenuto affatto eterogeneo ha l'ulteriore doglianza, promiscuamente esposta nel contesto del medesimo motivo, sulla violazione dell'articolo 34 cod. proc. penumero per incompatibilità di quattro dei giudici del Collegio, che si sarebbero già espressi sulla medesima res judicanda in sede cautelare, ed ancor prima, avrebbero conosciuto della pratica aperta nei confronti della dr.ssa F. per la dispensa dal servizio. Premessa la manifesta infondatezza di quest'ultima ipotesi di incompatibilità in ordine ad un'attività di tipo amministrativo priva di alcuna connessione con il presente giudizio, si osserva come appaia corretta la statuizione di tardività articolo 52, secondo comma, cod, proc. civ. di un'istanza presentata nel corso della stessa udienza, in carenza di allegazione dell'impossibilità di conoscere preventivamente la composizione soggettiva del collegio, impossibilità, dovuta, in ipotesi, alla violazione del principio di precostituzione tabellare del giudice, o ad altra cicostanza imprevedibile. Oltre a ciò, si deve comunque rilevare, nel merito, come nessuna incompatibilità sussista tra il giudice della cautela civile e quello della fase decisoria dibattimentale, stante il carattere monofasico del processo disciplinare e la necessità, improntata ad un criterio di razionalità, di non rompere l'unità del processo attribuendo ogni singola decisione, accessoria o incidentale come la sospensione cautelare nell'ambito di una stessa fase, ad un giudice diverso Cass. civile, sez. unite, 12 giugno 1998 numero 5895 Cass. penale, 24 marzo 2009 numero 17401 Cass. penale, 22 settembre 2004 numero 38657 . Ed è appena il caso di aggiungere che non costituiscono fonte di diritto, la cui violazione sia censurabile in Cassazione, le tabelle della sezione disciplinare, riportate nel ricorso, che prescrivono, per pur plausibili motivi di opportunità, la diversità di composizione del collegio della decisione disciplinare rispetto a quello dell'eventuale misura cautelare. Sussiste, dunque, la fattispecie di illecito disciplinare conseguente a reato, idoneo a ledere l'immagine del magistrato articolo 4 lett. D d.lgs. 23 febbraio 2006 numero 109 restando altresì infondata la concorrente censura di violazione dei principi di accessibilità delle norme e di prevedibilità della sanzione, riferita al suddetto rispetto delle disposizioni tabellari emanate dalla sezione disciplinare del C.S.M Le ulteriori argomentazioni circa la mancata valutazione diretta delle prove appaiono generiche non precisandosi neppure se vi sia stata un'istanza di rinnovazione dibattimentale delle deposizioni testimoniali, ed in relazione a quali addebiti per i più gravi dei quali la prova risulta essere principalmente documentale . Anche il secondo motivo, con cui si denunzia l'omessa enunciazione delle ragioni di inattendibilità della tesi difensiva dell'incolpata sulle discriminazioni ingiuste subite, come causa della reazione verbale, e delle relative prove offerte, è infondato. La sentenza impugnata, dopo aver escluso sulla base di una perizia psichiatrica la presenza di alcuna malattia invalidante all'origine del convincimento radicato dell'incolpata di essere destinataria di provvedimenti discriminatori adottati dal presidente del tribunale per favorire altra collega - tale, da renderla inimputabile in sede disciplinare - ha considerato raggiunta la prova delle condotte denigratorie sulla base di messaggi telematici contenenti apprezzamenti negativi, e talvolta volgari sulla moralità di colleghi, e di plurime deposizioni testimoniali, ritenute attendibili oltre che, in parte, dalle stesse ammissioni della dr.ssa F. . Non vi sono violazioni di legge, né lacune motive nell' iter argomentativo al quale la difesa contrappone una diversa ricostruzione dei fatti, avente natura di merito e, come tale, inammissibile in questa sede. Occorre anche aggiungere che l’ exceptio veritatis , vertente su pretesi comportamenti discriminatori in danno dell'incolpata, neppure avrebbe efficacia esimente sotto il profilo disciplinare, non giustificando reazioni svoltesi fuori dei corretti canali istituzionali e consistenti in comportamenti oggettivamente lesivi dell'altrui dignità, oltre che del prestigio dell'ufficio. Anche il terzo ed il quarto motivo, da trattare congiuntamente per affinità di contenuto, sono infondati. Ribadito il carattere oggettivamente lesivo dell'onore e del decoro dei messaggi telematici, si osserva come la circostanza che la comunicazione sia avvenuta nell'ambito di un dominio informatico riservato dell'Associazione nazionale magistrati non vale certo a renderlo zona franca per espressioni e giudizi offensivi, destinati con certezza ad essere percepiti da una pluralità vasta, se non indefinita, di utenti della rete. Del resto, è jus receptum , in tema di delitti contro l'onore, che la volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone si reputa accertata se l'autore la comunichi ad almeno due persone e perfino ad una sola, se si abbia, in via preventiva, la certezza morale che la notizia sarà poi divulgata ad altri Cass. penumero , 15 luglio 2010 numero 36602 . E la circostanza che i destinatari della notizia diffamatoria siano un numero a priori indeterminabile di colleghi della vittima vale ad escludere che si possa parlare di corrispondenza strettamente privata, penalmente e disciplinarmente irrilevante. Sulla concorrente doglianza circa l'illegittima acquisizione della prove si richiamano i rilevi già esposti. Anche l'ultimo motivo, con cui si censura l'applicazione della sanzione della perdita di anzianità, non prevista per alcune delle contestazioni mosse nei capi di incolpazione, è infondato. La sanzione irrogata appare conforme ai parametri di cui all'articolo 12, primo comma lett. E d.lgs. 109/2006 - con riferimento ai comportamenti previsti dall'articolo 2, comma l,lett. D senza che ne sia ammissibile il riesame di congruità, in questa sede, sulla base delle difformi valutazione di merito esposte nel ricorso. Al riguardo si osserva che la sezione disciplinare del Consiglio superiore ha adeguatamente motivato la sanzione, tenendo conto, da un lato, dell'oggettiva gravità dei comportamenti lesivi della credibilità della funzione giurisdizionale e, dall'altro, in senso mitigativo, del contesto di disagio psicologico soggettivo nel quale essi si sono manifestati pur se inidoneo a configurare una causa di inimputabilità, come espressamente rilevato in apertura di motivazione . In ordine alla doglianza relativa all'esclusione della prova liberatoria prevista dall'articolo 596, terzo comma, numero 1, cod. penumero Quando l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto medesimo è però sempre ammessa nel procedimento penale se la persona offesa è un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all'esercizio delle sue funzioni , si osserva, infine, come ne difettino i presupposti non solo perché le persone offese non erano tutti i magistrati, bensì anche avvocati, ma soprattutto perché i comportamenti, di varia natura e contenuto, pur se costantemente lesivi dell'altrui decoro, sulla base dell'accertamento di fatto operato in sentenza, non puntualmente smentito dalla ricorrente, non appaiono strettamente connessi ad un fatto relativo all'esercizio delle funzioni del pubblico ufficiale, quanto piuttosto ad antecedenti di fatto aventi origine da una contrapposizione di politica associativa. Né è seriamente contestabile la conoscibilità dell'antigiuridicità del comportamento denigratorio descritto in sentenza, da parte di un magistrato, professionalmente edotto dei parametri discretivi tra libera manifestazione del pensiero e lesione dell'altrui decoro fuori dell'ipotesi motivatamente esclusa dal giudice disciplinare di un'incapacità, anche solo transeunte, di intendere e di volere. Sussiste, dunque, la fattispecie di illecito disciplinare conseguente a reato, idoneo a ledere l'immagine del magistrato articolo 4 lett. D d.lgs. 23 febbraio 2006 numero 109 , restando altresì infondata la concorrente censura di violazione dei principi di accessibilità delle norme e di prevedibilità della sanzione. Sussiste, dunque, la fattispecie di illecito disciplinare conseguente a reato, idoneo a ledere l'immagine del magistrato articolo 4 lett. D d.lgs. 23 febbraio 2006 numero 109 , restando altresì infondata la concorrente censura di violazione dei principi di accessibilità delle norme e di prevedibilità della sanzione. Il ricorso è dunque infondato e va respinto. P.Q.M. Rigetta il ricorso.