Nessuna violazione del diritto di difesa se la sanzione contiene un elenco di operazioni

In riferimento ai provvedimenti erogati nei confronti di una banca, non integra violazione del diritto di difesa e del contraddittorio l’elencazione di una serie di operazioni, contestate nel provvedimento dell’autorità sanzionante emesso nei confronti di esponenti bancari.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 10745 depositata il 25 maggio. Il caso. A seguito di accertamenti svolti dalla Banca d’Italia nei confronti della Banca Monte Parma s.p.a., il Ministero dell’economia irrogò a carico degli amministratori della banca una sanzione per infrazioni consistenti nella gestione di pratiche di fido generalizzate e ripetute nel tempo, che insieme alle iniziative di sostegno della clientela hanno inciso negativamente sul complesso andamento dell’azienda. Gli ingiunti proposero ricorso innanzi alla Corte d’appello di Roma, la quale respinse l’opposizione e di seguito gli stessi impugnarono la sentenza in Cassazione. L’elenco delle operazioni contestate nella sanzione ammnistrativa non violano il diritto di difesa. Secondo i ricorrenti, il provvedimento amministrativo, contestando un numero esiguo di operazioni ed attribuendogli un carattere esemplificativo, avrebbe violato il diritto di difesa e del contraddittorio. Tuttavia, si è potuto vedere come questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto a norma dell’articolo 145 d.lgs. numero 385/1993, non integra violazione del diritto di difesa ed al contraddittorio l’elencazione di una serie di operazioni, contestate nel provvedimento dell’autorità sanzionante emesso nei confronti di esponenti bancari, sebbene ivi indicate quali meramente esemplificative della situazione irregolare complessivamente riscontrate nel caso concreto . Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 16 aprile – 25 maggio 2015, n. 10745 Presidente Forte – Relatore Nazzicone Svolgimento del processo In esito ad accertamenti ispettivi svolti dalla Banca d'Italia nei confronti della Banca Monte Parma s.p.a. e su conforme proposta della stessa, il Ministero dell'economia, con provvedimento del 18 novembre 2005, n. 1570, reso ai sensi dell'art. 145, 2° comma, del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, nel testo allora in vigore, irrogò a carico degli amministratori della banca la sanzione amministrativa di € 4.000,00, in relazione all'art. 53, 1° comma, lett. d , del citato decreto legislativo e del titolo IV, cap., 11, delle istruzioni di vigilanza consistenti, per infrazioni consistenti in carenze riscontrate nella gestione di pratiche di fido generalizzate e ripetute nel tempo [che] unitamente alle iniziative di sostegno alla clientela in stato di difficoltà, hanno inciso negativamente sul complessivo andamento degli impieghi aziendali . Gli ingiunti proposero opposizione innanzi alla Corte d'appello di Roma, la quale con decreto del 12 marzo 2007 respinse l'opposizione, fra l'altro osservando che - vi è piena identità tra contestazione degli addebiti e proposta sanzionatoria posta a base del provvedimento, trattandosi del mero utilizzo di espressioni lessicali diverse, ma di uguale significato, posto che sia le contestazioni, sia la proposta sono riferite ad anomalie ripetute nell'istruttoria e nella gestione delle pratiche di fido, anomalie tali da alterare l'effettiva percezione del rischio - la sussistenza nel merito di tali violazioni risulta dalla relazione ispettiva ed assume carattere generalizzato, trattandosi di plurime e diffuse irregolarità , per la superficialità eccessiva nella concessione di extrafido e sconfinamenti, l'omesso vaglio del foglio accettato salvo buon fine e l'insufficiente esame delle partite insolute le quali non sono escluse né dalla dedotta falsificazione dei bilanci della Parmalat s.p.a. con occultamento del dissesto, posto che la relazione del Governatore della Banca d'Italia al Parlamento nella quale egli aveva dichiarato come gli operatori stessi fossero stati vittime della frode era di un anno antecedente agli accertamenti ispettivi né dalla circostanza che nella proposta fossero menzionate, a titolo esemplificativo, solo alcune operazioni irregolari, dal momento che erano stati comunque accertati inopportuni ampliamenti di fido con refluenze di tenore economico patrimoniale ed una insufficiente disamina condotta sulle partite insolute la quale aveva, in alcune fattispecie, ridotto la percezione del rischio effettivamente assunto , con conseguente elenco di svariate società clienti, enumerate a mero titolo di esempio - la circostanza del non essere stati sanzionati anche i sindaci non conduce, di per sé, alla deduzione di un carattere meramente episodico delle irregolarità riscontrate - è infondata la doglianza di utilizzo di parti del rapporto ispettivo non contestate, in quanto invece si tratta della `constatazione' ispettiva regolarmente notificata ai soggetti sanzionati. Avverso questa sentenza propongono ricorso la banca e i suoi amministratori, sulla base di due motivi. La Banca d'Italia ha replicato con controricorso, mentre non si è costituito il Ministero. I ricorrenti hanno depositato una memoria. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione dell'art. 145 t.u.b., in quanto il provvedimento sanzionatorio aveva accertato disfunzioni organizzative nell'erogazione del credito, contestando un numero esiguo di operazioni ed attribuendo loro carattere esemplificativo, in tal modo violando però il diritto alla difesa e al contraddittorio, ed in quanto, inoltre, la Banca d'Italia aveva dichiarato di aver tenuto conto di informazioni acquisite nell'esercizio dell'attività di vigilanza, tuttavia non comunicate agli ingiunti. Con il secondo motivo, essi lamentano il vizio di motivazione sotto ogni profilo, per non avere la corte del merito risposto all'argomentazione difensiva degli opponenti, secondo cui il dissesto della Parmalat s.p.a. era stato abilmente occultato ed il sistema bancario ne era stato vittima, mentre nulla essa ha chiarito circa la censura di omessa comunicazione delle informazioni acquisite nell'esercizio dell'attività di vigilanza, non ha risposto circa il trattamento differenziato dei sindaci, non destinatari delle sanzioni, a riprova trattarsi di fatti meramente episodici e non ha motivato quanto alla difformità tra contestazione e proposta sanzionatoria della Banca d'Italia. 2. - Il primo motivo è infondato in entrambe le censure in cui si risolve. 2.1. - La doglianza di avere l'autorità sanzionante posto a fondamento del provvedimento e contestato operazioni irregolari concluse con taluni clienti nominativamente indicati e di avere, sulla base di quelle, irrogato la sanzione in violazione del contraddittorio si fonda sulla dichiarata natura esemplificativa di dette vicende. Ma la censura non ha pregio, dal momento che il diritto di difesa si è incontestabilmente esercitato con pienezza in relazione alle operazioni menzionate ed alla generalmente contestata situazione di plurime e diffuse irregolarità mentre non vale ad inficiare tale conclusione il fatto che esse, secondo la frase contenuta nel provvedimento sanzionatorio e riportata in sentenza cfr., ad esempio fossero poi considerate significative della riscontrata generale condotta irregolare, consistente negli indebiti ampliamenti degli affidamenti e nell'insufficiente disamina delle partite insolute. Quel riferimento, infatti, da un lato non vale affatto a palesare che le operazioni indicate nominatim non fossero da sole sufficienti ad integrare i presupposti della norma sanzionatoria, né, dall'altro lato, come condivisibilmente ritenuto dalla corte del merito, che contestazione e proposta non fossero riferite ad anomalie ripetute nella istruttoria e nella gestione dei fidi, così che al riguardo si sia esercitato pienamente il contraddittorio. 2.2. - Nella seconda censura proposta, il motivo trascura di considerare che la corte del merito ha accertato come la constatazione ispettiva fu invece regolarmente notificata ai soggetti sanzionati. 3. - Il secondo motivo è infondato. Invero, al fine di adempiere l'obbligo della motivazione il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo sufficiente che egli indichi gli elementi sui quali è fondato il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non siano menzionati specificamente, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. Ove, poi, si lamenti che la decisione del giudice del merito non abbia esaminato un motivo di censura, il vizio integrato non è l'omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, bensì l'omessa pronuncia, onde il vizio va denunciato non ai sensi dell'art. 360, l° comma, n. 5, c.p.c., ma del n. 4 di tale disposizione, in relazione all'art. 112 stesso codice. Per il resto, le deduzioni al riguardo esposte in ricorso si risolvono in una critica dell'apprezzamento delle risultanze di causa, mediante la denunciata inadeguatezza della motivazione, onde non sono scrutinabili nell'ambito di ricorso proponibile in cassazione. 4. - In conclusione, il ricorso va respinto, affermandosi il seguente principio di diritto A norma dell'art. 145 d.lgs. n. 385 del 1993, non integra violazione del diritto di difesa ed al contraddittorio l'elencazione di una serie di operazioni, contestate nel provvedimento dell'autorità sanzionante emesso nei confronti di esponenti bancari, sebbene ivi indicate quali meramente esemplificative della situazione irregolare complessivamente riscontrata . 5. - Va disposta la consequenziale condanna dei soccombenti in solido al pagamento delle spese di questa fase processuale. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio in favore della Banca d'Italia, liquidandole nella complessiva misura di € 6.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori come per legge.